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Ormai sono diversi anni che scrivo pochissimo qui sul blog. Mi dispiace davvero molto e vorrei dire che diventerò più solerte ma... so benis...

mercoledì 10 aprile 2013

Autore implicito

L’autore implicito: come entra nei testi e quanto li influenza?

Leggendo un testo si conosce sempre qualcosa dell’autore. La presunzione di D’Annunzio emerge dai suoi versi, come la malinconia di Leopardi dai suoi, la storia personale di Pascoli compare nelle sue poesie e il rapporto con la follia di Pirandello si vede nei suoi romanzi e nelle sue novelle.
Anche quando un autore non scrive un’autobiografia, parla sempre un po’ di sé. A volte, come nei casi citati, il legame sembra palese, mentre in altri è più sottile e ci sono occasioni in cui è assolutamente impossibile coglierlo non conoscendo alla perfezione l’autore oppure certi livelli ci sono preclusi perché sono reconditi nell’animo dello scrittore o nascosti anche a lui stesso.
La parte dell’autore che emerge dal testo (a vari livelli di complessità) può essere definita autore implicito.

Un pezzo di vita
Chi scrive ha di certo sperimentato che nelle cose che scrive c’è qualcosa di lui. A volte racconta un episodio realmente, un suo sogno, a volte qualche suo pensiero diventa quello di un suo personaggio, a volte una frase sentita in treno che l’ha colpito… in un modo o nell’altro un pezzo di vita entra nel testo.

Attività molto personale
È in qualche modo inevitabile scrivendo far trapelare qualcosa di noi. Non è una cosa negativa e, anzi, ritengo sia del tutto impossibile evitarlo. La scrittura è un’attività molto personale e porta naturalmente a mettersi in gioco ed entrare in contatto con il testo e con il lettore.
Secondo me, l’autore e i suoi scritti sono legati da fili invisibili, come una linfa che scorre senza farsi vedere.

Rischio Mary Sue
Con questo non voglio dire che nei nostri testi dobbiamo inserire personaggi a nostra immagine e somiglianza. Il rischio è di creare tante piccole Mary Sue, cioè personaggi stereotipati e banali (per maggior informazioni vi rimando al mio post sul test Mary Sue).

Presa di consapevolezza
Per evitare il rischio Mary Sue è bene essere consapevoli di quanto la nostra vita entra nelle nostre storie. Se sappiamo come noi emergiamo dai nostri testi, possiamo utilizzare al meglio questo fatto come un vantaggio, contenendone i limiti. Se dobbiamo scrivere un brano in cui il personaggio è arrabbiato, può esserci utile scriverlo in un momento di arrabbiatura o ricordare un’occasione in cui siamo stati veramente arrabbiati. Se raccontiamo un evento che abbiamo vissuto (anche poi romanzandolo molto) di certo possiamo farlo con una forza e una precisione che non potremmo avere senza aver provato quelle stesse esperienze. È il motivo per cui è più semplice (e spesso auspicabile) scrivere qualcosa che si conosce, altrimenti è comunque necessario documentarsi.

Pezzi di me
Mi capita spesso di inserire pezzi di me nei miei scritti. A volte creo personaggi che mi rassomigliano o hanno avuto le mie stesse esperienze, ma spesso il passaggio è molto più sottile. A volte è solo un pensiero, un gesto, un nonnulla, ma qualcosa che resta lì e mi racconta. Spesso ben nascosto agli occhi dei più e colto solo da chi mi conosce bene.
Ci sono anche casi in cui non c’è niente di me, ovvio, ma anche solo una metafora o un frase di un dialogo viene da qualcosa di profondo. Non lo saprei spiegare e non credo nemmeno che ce ne sia bisogno.

Conclusione
L’autore implicito è quel che dell’autore capiamo o possiamo capire leggendo un suo testo.
Voi quanto siete consapevoli delle parti di voi che entrano nei vostri testi?
Di solito entrate nei vostri testi come personaggi?
Preferite invece sfruttare degli eventi reali o delle frasi sentite?

Insomma, raccontatemi un po’ cosa ne pensate di questo tema…

Sull’argomento vi consiglio un post molto interessante su Penna Blu dal titolo Non create personaggi cloni di voi stessi


10 commenti:

  1. Vero, c'è sempre qualcosa di noi in ciò che scriviamo, a volte ne siamo consapevoli a volte no. Io mi sono sforzata di prendere le distanze da me stessa, negli ultimi anni, nel creare i miei personaggi. Però mi torna sempre utile attingere a emozioni ed esperienze personali, perché come dici tu giustamente bisogna scrivere di ciò che si conosce. Quello che invece mi appare come un rischio è scivolare involontariamente in aspetti psicologici che non appartengono al personaggio, ma a me. A volte capita e non va bene...

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    1. Sì, si tratta un po' di camminare su un filo cercando di sfruttare il nostro vissuto per scrivere "meglio", senza che diventi controproducente. Non è per niente facile, ma vale la pena di tentare. Grazie per il commento.

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  2. Sicuramente c'è sempre qualcosa di mio nelle mie storie e nei miei personaggi. Però cerco anche di delineare i personaggi in un certo modo e di farli agire secondo la personalità che gli ho creato, quindi non necessariamente come agirei io.
    Sfruttare situazioni vissute per creare episodi e "scene" di un racconto è qualcosa di automatico, lo fa - inconsciamente - persino chi nega di farlo ;-)

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    1. Io sono spesso in profondo disaccordo con i miei personaggi! Del resto, loro hanno tutto il diritto di plasmare le loro vite!

      Mai negare in certi casi! Grazie.

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  3. Concordo con quanto hai scritto. Io tendo a giocarci spesso con questa cosa, ma preferisco fare composizione con i personaggi. Anche perché, l'unico personaggio che ho cercato di descrivere tale e quale a me alla fine non mi rassomiglia poi tanto...
    Però i miei pensieri ci sono sempre. Come però, se serve, anche i pensieri opposti, per lo più rubati ai miei amici e conoscenti.

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    1. Compito di uno scrittore è parlare della vita. Ritengo sia normale quindi tener conto della propria e di quella altrui. Grazie per il commento.

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  4. Ciao, Romina, sono solo passata a salutarti. Il post è interessante. In effetti l'autore dovrebbe essere consapevole di quanto di sé traspare e se lo vuol evidenziare o nascondere...

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    1. Ciao! Sì, la consapevolezza è essenziale per poi sapere cosa fare! Grazie per essere passata!

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  5. Entrare nel testo è inevitabile. Secondo me c'è un "troppo", che è quello che ho sfiorato durante il NaNoWriMo - la mia prova era costruita su un momento autobiografico, almeno l'episodio da cui partiva la vicenda. Un'altra storia che vorrei raccontare (terrificante) invece nasce da un mezzo sogno che ho fatto, il che mi allontana un po' dallo scriverla.

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    1. Sì, c'è decisamente un "troppo". Ci sono passata anch'io.
      Sto scrivendo un testo che mi tocca troppo sul vivo e non riesco ad andare avanti. Credo starà lì per anni, dato che è già da anni che sta lì, ma prima o poi lo finisco. Credo. Un passettino alla volta. Anche tu dovresti ritentare, secondo me. Non bisogna mai lasciare delle incompiute! Grazie per il commento.

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