Lo so, lo so, ci ho messo tanto.
State aspettando questi risultati già da un po', ma tra
poco potrete finalmente conoscere i
tre finalisti del concorso
per il quarto compleanno del mio blog.
In questo post, troverete tutti i 29 racconti partecipanti e l'indicazione dei tre finalisti
(in ordine casuale). Costoro devono palesare la loro identità, gli altri sono
caldamente invitati a farlo così da poter beneficiare di una maggiore influenza
del loro voto. Vi ricordo infatti che i
voti dei partecipanti varranno tre punti, mentre quelli degli altri varranno un
solo punto. Inoltre, ho in mente una sorpresa anche per coloro che non
sono saliti sul podio e che spero apprezzerete! Ma, essendo una sorpresa, ve la dirò solo più avanti.
Non è stato
facile decidere perché i racconti arrivati sono stati molti e tanti
hanno toccato argomenti che mi piacciono molto. Ho cambiato idea almeno cento
volte, togliendo e mettendo qualcuno sul podio in base all'estro del momento.
Volevo puntare sulla variabilità di temi, ma alla fine ho dovuto lottare con me
stessa per non mettere tre cose tristissime o macabre (che sono quelle che mi
piace di più interpretare, forse). Insomma, non prendetevela se non siete stati
scelti, perché il podio è stato
davvero sofferto questa volta.
Detto ciò, ecco i tre finalisti e a seguire gli altri
racconti in gara.
I tre testi
finalisti
Risposte di Luca Perri
"Un
bagliore si riflesse negli occhi grigi della donna dai capelli biondi. Una
scarica elettrica in un'iride di metallo liquido.
Quel
metallo era stato lega di terrore e stupore, quando il rapitore l'aveva
aggredita. Ora, dello stupore nessuna traccia.
Si
era risvegliata, legata ad una vecchia sedia, in un garage dalle pareti coperte
di muffa. Nella luce sfarfallante del neon aveva visto la figura tozza
dell'uomo, avvolta in una sudicia salopette rossa. La maschera di Topolino sul
volto, con un sorriso beffardo. Spessi guanti gialli sulle mani che stringevano
un seghetto.
La
donna provò ad urlare, un bavaglio glielo impedì. Iniziò ad agitarsi, le corde
erano strette. Sudore. Lacrime. Scariche di paura nel metallo liquido."
Mario
si svegliò, le coperte zuppe di sudore. Guardò la sveglia: 3.20. Poche ore al
campanello annunciante l'inizio della solita grigia giornata in ufficio.
Una
vita piatta, priva di emozioni, escludendo i sogni e qualche raro momento:
quando aveva completato la collezione di fumetti che leggeva fin da bambino;
quando si era trovato un nuovo passatempo; quando si era sentito desiderato da
una donna. Come un paio di giorni prima: la ragazza delle consegne aveva
guardato lui - generalmente invisibile a tutti - e gli aveva regalato il
sorriso più bello che avesse mai visto.
Mario
si alzò e caracollò stordito verso la cucina. Il sogno lo aveva turbato. Quella
donna così bella, cosi spaventata. Era riuscito a sentire i suoi pensieri, le
sue paure.
"Sarà
riuscita a scappare? Si sarà salvata?"
Aprì
il frigorifero, per togliere con dell'acqua fresca il cemento che gli impastava
la bocca. Un odore di carne non perfettamente conservata lo raggiunse.
Dall'interno di un sacchetto, una testa bionda lo fissava. Nessuna scarica, in
quel metallo ormai freddo. Mario richiuse il frigorifero, per tornare a letto.
"No,
non si è salvata".
Motivazione: Mi è piaciuto molto il sogno che si fa
reale, come tema. Troppo spesso ci sono storie che finiscono con un ma era solo un sogno, qui è proprio
l'opposto e la cosa mi ha colpito. Bello anche il ritmo, capace di creare la
giusta dose di tensione. Spero di saperlo rendere al meglio anche con la voce.
Fragole rosso sangue di Gabriella Grieco
Nessuna
attività umana, nessuna macchina in azione. La quiete è profonda. Solo il
cinguettio degli uccelli e lo stormire delle fronde a suggellare un patto
antico. Qui, in questo luogo, non è ammessa l’oscurità dell’anima. L’unica
ombra è quella degli alberi ad alto fusto che riscaldano i loro rami al sole.
Il
sentiero che si inerpica nel bosco sembra condurre in paradiso. Sprazzi di
luce, il sole che gioca tra le foglie, raggi di pulviscolo dorato che danza a
mezz’aria con grazia leggiadra. Tutto è dolcezza e languore, suggestione e
desiderio, sul versante della montagna…
===
È
in cerca dei piccoli frutti rosso vivo che occhieggiano nel sottobosco, quelle
fragoline asprigne e succose che si offrono solo a chi è disposto a sudare per
trovarle.
Una
fragola alla volta, come gocce di sangue che sprizzano da un terreno ferito, e
il cestino si riempie. A tratti cede alla tentazione e ne addenta una,
macchiandosi le labbra e le mani. Minuscole gocce arrossano i candidi denti. Si
lecca le dita con sensuale voluttà, una per una.
Un
sorriso si allarga sul suo volto, al ricordo...
Ma
qui sul fianco del monte nessun male è ammesso.
Qui.
Sul
fianco del monte.
===
È
stata una lunga giornata. Il sole è quasi scomparso sotto la linea
dell’orizzonte quando fa ritorno alla sua capanna.
Apre
la porta che gira sui cardini senza alcun rumore. Lei è là che lo aspetta dalla
mattina, seduta sulla sedia di legno.
La
coppa sotto i suoi polsi tagliati è colma.
Adesso,
finalmente, potrà mangiare le fragole col suo condimento preferito. Intinge le
dita nella coppa e le fa sgocciolare sui frutti, poi se le lecca con sensuale
voluttà, una per una.
Il
dolce sapore del sangue si sposerà alla perfezione col retrogusto amarognolo
delle fragole.
Motivazione: Anche se il genere è molto simile a quello
del racconto precedente (e mi ero ripromessa di variare), qualcosa in questo
racconto mi ha impedito di tagliarlo fuori dalla rosa dei finalisti. Il
connubio fragole-sangue ha un che di affascinante, forse. O il dramma è che mi
sono subito vista davanti agli occhi la fotografia perfetta per usarla come
sfondo?
Pronto Soccorso di iara R.M.
Quando
arrivò da me, irrompendo dalla porta con la furia di un uragano, i suoi occhi
erano disperati.
Con
mani tremanti mi porse il suo piccolo amico ferito.
Le
lacrime rigavano un visino pallido.
"Non
volevo fargli male! Puoi aiutarmi?"
La
sua domanda riecheggiava come una implorazione a non negargli quella tenue
speranza.
Non
avevo risposte, dovevo prima accertarmi della situazione.
Gli
indicai una sedia accostata al muro e adagiai il paziente sul tavolo
operatorio.
Valutate
le sue condizioni, mi diressi all'armadietto dove era custodito tutto
l'occorrente per un delicato intervento. Sono necessari diversi punti alla
zampa, sentenziai.
Bastarono
pochi e rapidi gesti per infilare ago e filo; poi, iniziai a ricucire con precisione
la parte interessata. Scrutavo, di tanto in tanto, l'espressione preoccupata
del giovane soccorritore.
"Ecco
fatto"! Esclamai, dopo quei momenti di forte tensione. La mia voce vibrava
di soddisfazione.
Mostrargli
il risultato finale di quell'intervento rendeva felice anche me.
"Starà
bene?" Chiese con un filo di incertezza.
Lo
rassicurai: "Devi solo occuparti di lui con amore e attenzione".
I
suoi occhi si illuminarono di gioia, mentre le sue braccia si tendevano
impazienti per accoglierlo nuovamente.
"Grazie
mamma, per aver guarito il mio Ippino".
Riscossi
il mio premio: un bacio fugace.
Non
avrei mai pensato che riparare un pupazzo potesse farmi sentire così vicina a
un chirurgo. Qualcosa di prezioso era custodito in quell'involucro di punti e
stoffa e io, ero riuscita a salvarlo.
Riposi
la mia scatola da cucito e assaporai ancora un pò di felicità guardando mio
figlio giocare col suo migliore amico.
Motivazione: La tentazione di far scorrere altro sangue
c'è stata, ma alla fine la dolcezza di questo racconto si è conquistata di
diritto un posto sul podio. C'è un po' di dramma, ma è mitigato dall'amore e
dalla tenerezza (che mi ha addolcita al punto da farmi chiudere un occhio su
qualche errore grammaticale).
Gli altri
racconti partecipanti
Casa dolce casa di gina daiano
-Ne
vuoi ancora?- lei gli porse l’insalatiera.
-No
finiscila pure tu- Lui riprese a guardare la TV.
-
Cosa stai guardando? –
-
Lo vedi anche tu. –
-
Te l’ho chiesto, mi piacerebbe che rispondessi. –
-
Pubblicità direi. –
-
Diresti … -
-
E’ pubblicità, non vedi? –
-
Già, una bella spiaggia esotica, una di quelle che frequenti tu. –
-
Tu vai in montagna, quest’estate? – Lui provò a cambiare discorso.
-
Certo, come al solito. – Iniziò a sparecchiare.
Lui
fece per alzarsi, poi si risedette.
-Prima
o poi verrò anch’io, se ti fa piacere. –
-Certo,
ed io verrò con te a Cuba, se ti fa piacere.- Lei rise di un riso cattivo e
mise in moto la lavastoviglie.
-
L’estate è ancora lontana. – lui si alzò e andò in salotto senza esitazione.
Il viaggio di gina daiano
Decise
di lasciare quella che era stata la sua casa e la sua famiglia per vent'anni,
uscì senza guardare indietro. Non sarebbe stata trasformata in una statua di
sale: nessun rimpianto. Salì in auto e prese la strada dei monti. La natura era
tutta dentro di lei. I prati, gli alberi, le punte aguzze delle guglie, le
nuvole vive nelle loro forme fantastiche la avvolgevano in un abbraccio.
Fece
presto ad arrivare al tornante che sempre l'aveva affascinata: da lì si vedeva
tutta la valle sottostante, con i tetti delle case così minuscoli da sembrare
un presepio, col raccolto cimitero tirolese dove le tombe affiancate sembravano
gareggiare in un'esplosione floreale sormontate dalle croci di ferro battuto,
dove il marmo era bandito.
Si
fermò per contemplare la bellezza e la pace di quell'immagine e si sentì
invadere da un'ondata di calore, sentì la disperazione, sua compagna abituale,
svanire come la nebbia che si alza dopo il temporale.
Schiacciò
l'acceleratore e volò leggera e felice nel vuoto.
Quando
il parabrezza esplose in mille briciole di stelle un grido libero scoppiò per
la valle, corse fra le case, avvolse in un allegro girotondo il campanile
aguzzo della chiesa, vagò felice fra gli amici sconosciuti che riposavano sotto
le croci di ferro e tacque.
Nel
nuovo silenzio mille vivaci riflessi si alternavano, tutte le sfumature
dell'arcobaleno le turbinavano intorno.
Era
scomparso solo il nero.
Senza titolo (01)
Quando
torno dall'aver accompagnato i piccoli a scuola,trovo mammma che già spignatta
in cucina. I profumini che vi aleggiano son da leccarsi i baffi, ma so che
prima dell'ora stabilita non mi concede mai niente. Mi consolo con una bevuta
d'acqua fresca e poi me ne torno sull'aia, dove papà armeggia intorno al
trattore.Io sono addetto alla sicurezza,ma la scorsa notte che è trascorsa
tranquilla, senza impegnarmi in vasti giri di perlustrazione( ne ho fatto uno
,giusto per scrupolo), mi ha lasciato fresco e riposato.L'aria mite di maggio
reca odori allettanti e vaghi fruscii, così decido di andare a bighellonare un
po' in giro. Aggirata la masseria e raggiunto il boschetto,inizio il mio solito
slalom fra i tronchi degli alberi e i cespugli, mettendo in fuga varie
bestiole.Soltanto gli uccelli mi osservano cn i loro occhietti impassibili,
tanto neanche il gatto li acchiappa lassù.D'improvviso quell'odore, forte e
sinistro, mi attrae ad una piccola ansa del rivo che scorre poco lontano, e
d'un trtto li vedo: una giovane madre rattrappita e immobile ormai spenta e
nella curva del suo grembo, fra le vesti zuppe di un liquido scuro che emana
zaffate dolciastre, il suo cucciolo appena nato. Il corpicino nudo vibra e
sussulta e, quando appoggio il mio naso al suo,sento l'alito caldo. L'istinto
mi suggerisce subito cosa fare. Mi volto e corro, salto e corro verso chi tutto
sa e tutto può fare, verso i miei dei. So che loro mi capiranno e allora abbaio
e abbaio, a perdifiato
Senza titolo (02) di Gigi The Snooper
Ho
sempre sognato di diventare un astronauta. Da piccolo, il semplice atto di
alzare gli occhi al cielo mi faceva palpitare come non mai. Tutti quei puntini
luminosi disseminati nel cielo notturno. Degli oggettini così piccoli a vederli
da quaggiù. In realtà dei giganti, pronti ad collassare su loro stessi ed
esplodere, lasciandosi dietro solo degli insignificanti cumuli di materia
sbriciolata. Mia madre è sempre stata affascinata da quello che poteva
succedere lassù, nello spazio più profondo. Diceva sempre che, un giorno o
l’altro, qualche strana forma di vita sarebbe discesa a farci visita. Sono così
orgoglioso di poter assistere a questo straordinario evento e spero che anche
mia madre lo sia, anche se avrei preferito averla accanto a me in questo
momento. Tutto accadde qualche tempo fa. Io ero uscito da pochi giorni dal
centro di addestramento. Ero finalmente un astronauta. E fu proprio la sera in
cui stavo festeggiando il mio splendido nuovo lavoro che un segnale di vita
intelligente raggiunse i nostri apparecchi. Non appena lo venni a sapere
lasciai tutto e mi proposi senza esitare per partecipare alla spedizione che ci
avrebbe portato da quella nuova civiltà. Ed ora eccomi qui, a pochi secondi
dall'atterraggio. Tutti i miei sensi cominciano a tradirmi non appena apro il
portellone. L’atmosfera è molto rarefatta e la tuta riesce a malapena a trattenerla
fuori. Davanti a me uno strano ambiente. Combinazioni di verde, marroncino ed
azzurro circondano tutta la superficie. A pochi metri dall'astronave, degli
strani esseri ci guardano stupefatti. Mi decido a muovere i primi passi sul
duro terreno di questo pianeta così singolare. Prima di avvicinarmi ai curiosi
esseri decido di richiedere ai miei supervisori il nome di questo luogo. Me lo
avranno ripetuto migliaia di volte, ma ricordarlo mi è sempre difficile. Non
appena me lo ricordano, ecco che mi sovviene. Questo pianeta si chiama “Terra”…
Frustrazione di Gigi The Snooper
Lasciatemi
solo. Non preoccupatevi per me. Non ho alcuna intenzione di elemosinare la
vostra pietà. Vi ostinate a pensare che trattarmi come uno squilibrato vi
faccia sentire meglio. Ma volete sapere una cosa. Il vostro incessante
desiderio di perfezione non è in questo corpo. In questa testa che un tempo
credevate di conoscere come il palmo delle vostre mani. Sperando fin
dall'inizio di essere in grado di esercitare il controllo. Niente di più sbagliato.
Un cervello come il mio non conosce padroni, né mai ne conoscerà. Ed
impedendomi di vivere avete causato tutto questo. Essere costretto da delle
catene invisibili. Lasciandomi quasi la speranza di poter imparare a volare, ma
senza avermi mai dato le ali. Non è quello che desidero e voi lo sapete.
Strappatemi via il cuore dal petto se pensate che al suo palpitante interno
risiedano le emozioni. Spaccatemi in due la testa ed estirpatemi il cervello se
vi farà credere che così ammaestrerete il mio pensiero. Sarà del tutto inutile.
La mia anima perdurerà, ripiena di quelle pulsioni che pensavate di avermi
tolto. Potrete ridurmi ad un cadavere che cammina, senza mai sapere quello che
mi frulla per la testa. E non appena vi sarete resi conto di quanto inutili e
vuoti siano stati i vostri tentativi, mi lascerete al mio destino. Mi
rinchiuderete tra quattro mura, come una bestia, sperando che i vostri rimorsi
non vengano mai e poi mai a tormentarvi. Lasciandomi lì. Sognatore prigioniero.
Al buio.
La luna di Patricia Moll
Prese
le candele bianche ed uscì. La sacerdotessa si era raccomandata. Candide aveva
detto. Niente per accenderle, lo avrebbero fatto diversamente.
Si
diresse verso la collina, là dove si ergeva il vecchio noce che si diceva
avesse mille anni e più.
Attraversò
il bosco di querce al buio completo. L'abito bianco che indossava pareva
illuminarle il cammino. O forse era la sua luce interiore a farle da lucerna.
Quella
notte si sarebbe verificato un evento unico e loro sarebbero state le sole a
partecipare e comprendere. Nessuno dei miscredenti se ne sarebbe accorto.
Troppo chiusi i loro occhi! Troppo buio e freddo nel cuore.
Giunse
in cima alla collina contemporaneamente alle sorelle, come se i loro passi
fossero stati coordinati da una forza superiore. Si disposero intorno al noce,
in ampio cerchio. Ognuna aveva portato sette candele candele di cera
sopraffina. Se le disposero intorno. La sacerdotessa ne aveva portate nove. Si
fermò sotto al noce, il viso rivolto a sud. Lì, si sarebbe verificato l'evento.
Lì, la luna si sarebbe fermata ad ascoltare le loro preghiere e dal cuore degli
uomini sarebbe scomparso l'odio. Si sarebbe accesa una luce che avrebbe
rivelato loro l'amore infinito.
Dapprima
sottovoce, poi in crescendo, iniziarono le loro invocazioni a Selene.
Come
per magia, la luna piena sorse squarciando l'oscurità totale e rendendole
rilucenti come diamanti.
E
fu tutto un grido. Ombre scure con fiaccole e falci si mostrarono
improvvisamente . Alla testa un domenicano, una grossa croce d'oro tempestata
di diamanti come arma.
"Streghe!
Serve del demonio! Le vostre arti malefiche non vi serviranno! Brucerete tutte!
Legatele all'albero e che siano arse insieme a quel simbolo del male! Al
rogo!".
Selene
scomparve dal cielo.
Anni di piombo di massimiliano riccardi
Immobile.
Cupo.
Chiudo
gli occhi e cerco di immaginare le mosse successive. Ho un compito da svolgere.
Sono un professionista. Ho già ucciso. Più volte. Tocco la tasca del cappotto e
percepisco la solidità rassicurante della mia pistola. Apro gli occhi. Devo
decidermi. È il momento di entrare nell'edificio. Su, al terzo piano, c'è
l'ufficio di quel fottuto che devo ammazzare. È giusto che paghi con la morte
per quello che scrive. Reazionario bastardo, giornalista servo. Mi guardo
intorno. Nessuno. Troppo freddo ed è l'ora di pranzo. Il bersaglio non mangia
mai a casa, rimane nel suo studio a scrivere, si accontenta di un panino e di
una birra. Bastardo. Salgo le scale con calma, ho deciso di non prendere
l'ascensore. Troppo rumore. Meglio lasciare che il palazzo rimanga nel silenzio
ovattato di un mezzogiorno invernale. Pochi e lontani suoni di posate e piatti
che si scontrano, qualche risata distante, un cane che abbaia. Il mio bersaglio
sa di essere nel mirino. Più volte lo abbiamo avvisato con lettere minatorie.
Impugno la mia arma e suono il campanello. Tre volte, velocemente. È lo
scampanellio di quelli di famiglia, dei collaboratori. Pedinamenti e
appostamenti servono. Un uomo mi apre, fissa la canna della pistola con
rassegnazione. Non parla. Non parlo. Alzo il cane del revolver. Improvvisamente
rumore, una porta che si apre, vociare di bimbo e una madre, forse, che urla.
In pochi secondi un ragazzino è di fianco a me. Mi fissa spaventato. Io e il
bersaglio rimaniamo immobili.
Nella
mia testa una voce: "non ti voltare, fregatene, fai quel che devi e
scappa." Mi volto. Con la coda dell'occhio vedo il bersaglio armeggiare
dietro la cintola. In pochissimi secondi accade l'inevitabile. «Tutto bene
bambino, non avere paura.» Gli sorrido.
Poi
lo sparo. Sono a terra.
Immobile.
Sorrido.
Buio.
Requiem per cicale
Quando
ero piccola mi piaceva correre nel grande prato dietro il casolare di campagna
di mia nonna. Era un vecchio casolare interamente ristrutturato, immerso in una
grande piazza fatta di fili d'erba color dello smeraldo e di qualche macchia
viola, rosa o rossa di fiori selvatici.
Il
silenzio che attorniava quella grande casa di campagna durante l'anno
improvvisamente era rotto dalle mie urla di gioia, dal pestare frenetico dei
miei piedi sull'erba e da loro, dalle cicale, il cui canto mi attirava e mi
incantava da sempre. Invidiavo il loro modo di cantare, di fare musica al punto
che un giorno decisi di catturare una cicala e imprigionarla in un vasetto di
vetro. Volevo rubare i segreti della loro melodia.
Da
quel giorno però, la cicala nel vasetto non cantò più, quasi come un rifiuto,
un sciopero. E sembrava sempre meno viva. Una mattina mi svegliai e quella
cicala la trovai immobile e con le zampette rivolte verso il cielo: era morta.
Iniziai a piangere perché non potevo più rubare i segreti del canto delle
cicale. Arrivò dalla stanza accanto mia mamma, di una disarmante e saggia
bellezza angelica che sorvegliava ogni mia avventura nella natura campestre,
trovandomi con il barattolo di vetro tra le mani e le guance rigate dalle
lacrime. Si sedette di fianco a me e aspettò che mi calmassi prima di dire
queste parole: - Hai cercato di scoprire il segreto del suo canto togliendole
la libertà. Ora rendi omaggio alla sua libertà con la cosa più preziosa che una
cicala possiede: la melodia.-.
Iniziai
a canticchiare a bassa voce una specie di requiem in onore della piccola
cicala, insignificante essere dalla voce possente. Fu lì che capii a che scopo
la mia vita era stata creata: per comporre la musica segreta delle cicale in
libertà.
Meryen di Luciana Benedetti
Che
ci fa quella bimba, dai capelli color del sole di agosto
nel
giardino della sua casa, vicino a quel cespuglio di rose,
che
aspetta qualcuno che gli racconta una bella favola per farla sognare, il suo
baldo orsacchiotto e la nonna incominciò:
C'era
un volta una favola antica, ma haimè era quasi da tutti ormai dimenticata che
continuava a volare nell'aria aspettando colui che l'avrebbe di nuovo narrata.
Era
una favola vecchia e un poco svanita, come una lattina di aranciata, lasciata
aperta sul piano della cucina, assieme al mezzo panino con il prosciutto, ma
lei non voleva rassegnarsi e cercava di non esser dimenticata.
Parlava
di una bambina bionda che non voleva dormire da sola e la sua mamma poverina
doveva starle sempre vicina.
Un
giorno venne una bella signora, tutta vestita di luce azzurra, che prese per
mano la mamma e la portò lontano.. lontano.. dalla sua bambina..
La
bimba pianse per molte sere, poi si stancò e si addormentò.
Quando
il mattino, la venne a svegliare con un bellissimo raggio di sole, vide la
mamma poverina che sotto un albero dormiva e la signora vestita di azzurro
disse:
"Non
devi più avere paura.. di restare sola"
C'era
un volta una favola antica, era una favola vecchia e un poco svanita come una
lattina di aranciata, e per non essere dimenticata diventò vera... in questa
vita!
La pittrice del tempo.
In
riva al lago due ragazzini amoreggiavano.
Io,
sulla panchina mi ero appisolata, quando due mani si posarono sulle mie spalle:
mi girai di scatto: dietro a me, una donna alta e snella. Indossava un vestito
coloratissimo, ma,pareva che i colori si alternassero tra loro a secondo dei
movimenti del corpo; i capelli raccolti, color argento con un lungo ricciolo
che gli scendeva sulle spalle e uno strano fermaglio a forma di falce di luna
che li fermava.
Non
saprei definire l'età, non era vecchia, il viso senza trucco aveva una dolcezza
infinita con occhi incredibilmente azzurri striati di viola.
I
due ragazzi, ci guardavano infastiditi.
La
donna, guardò me poi volse lo sguardo ai ragazzi:
e
con la mano disegnò nell'aria. Era una pazza?
Dal
nulla, apparvero accanto a lei una tavolozza, un cavalletto e una tela.
Si
mise a dipingere con le dita, e man mano che il disegno prendeva forma il suo
vestito perdeva colore.
Il
tempo di un respiro e il quadro era finito.
Aveva
dipinto l'attimo presente e il futuro: il tramonto che io adesso vedevo, e io
che guardavo stupita. Solo i due ragazzi erano diversi: lei teneva un bimbo tra
le braccia e piangeva, lui era un'ombra nel cielo.
Mi
volsi verso la donna: non c'era più.
Riguardai
il quadro, in calce c'era la sua firma:
"
La pittrice del tempo ". Poi pure il quadro svanì.
Quella
notte, una falce di luna brillava in cielo: aveva l'occhio azzurro striato di
viola e un ricciolo di nuvola sotto.
"Ho
sognato? "
Il comandante di luchiastro
Se
il sole non fosse di pietra, alzerei lo sguardo.
I
miei occhi non bruciano più da molto tempo.
Chi
ha scelto di accompagnarmi? Il viaggio sarà lungo, lo ripeto a tutti.
Ma
solo io sono preoccupato, i miei uomini avanzano verso di me.
Non
voglio che mi tocchino, con quelle mani viscide di tante battaglie che hanno
combattuto per me: inizio a scappare, sempre più veloce. Sono sicuro mi stiano
inseguendo, quei pezzenti. Sento il loro fiato sul collo, i loro passi pesanti
ma costanti. Non hanno mai difettato in resistenza.
Come
un ghepardo si sente stremato dopo aver raggiunto la massima velocità
possibile, così io devo rassegnarmi, non prima di aver agitato qualche manata
dietro le spalle, nella speranza di far del male almeno a qualcuno di loro. Ma
nessuno desisterà, ne sono certo.
Mi
arrotolo in un cespuglio. Non sento nulla. Trascorro ancora qualche secondo in
quella posizione. Devo alzarmi. Non c’è davvero nessuno, tuttavia non sono
felice. Stupito, ritorno sui miei passi.
Passo
dopo passo, mi avvicino allo spiazzo nel quale ci eravamo radunati.
Sono
tutti lì, l’uomo di cui mi fidavo di più, Basilio, mi si para dinnanzi.
“Capitano,
che succede, perché si è allontanato?”
Sarò
io a tirarmi indietro, dunque, io che tanta sicurezza ostentavo?
Ho
deciso. Ora!
Ritrovarsi.
Lei,
guardò con tenerezza lui che ancora dormiva:
sollevò
un attimo il lenzuolo che lo copriva e accarezzò con lo sguardo il corpo nudo.
Era
stata la loro prima notte di nozze. Sorrise, felice e soddisfatta e si
stiracchiò.
Ripensò
al loro incontro avvenuto sei mesi prima in una clinica privata. Erano in
attesa entrambi di una visita di controllo: il viso di lui gli era familiare,
ma non riusciva a capire dove l'avesse conosciuto.
Anche
lui aveva avuto la stessa impressione.
Si
presentarono:
"Sono
Luca F ..." disse lui, "ma una volta ero Lucia!"
"Io
mi chiamo ora Michela M.., ma una volta ero Michele!" Restarono ebeti
dalla sorpresa: solo sei anni prima erano stati marito e moglie. Si
abbracciarono.
Strana
la vita, nessuno di loro aveva a suo tempo avuto il coraggio di spiegarsi:
allora non erano abbastanza maturi per ammettere il loro intimo disagio. Si
erano lasciati e persi di vista: ora il destino li aveva riuniti.
Si
erano ripresi e alla faccia del mondo che non approvava si erano sposati.
Incomprensibile di Maria Todesco
Ti
guardo. Continuo a guardarti. Ma non negli occhi: quelli mi spaventano. Dicono
che sono uno specchio, ma non sono fatti di vetro, quindi come può essere?
Specchio dell’anima, aggiungono, ma che cos’è l’anima? Che cos’è un sentimento?
È
tutto astratto. Non mi piacciono le cose astratte. Non le vedo. Non mi sono
chiare. Non sono nemmeno sicura di cosa voglia dire, la parola astratto. Però
mi hanno insegnato che si dice così.
Tu
mi guardi, distendi la bocca. Mi hanno spiegato che è un sorriso e i sorrisi si
fanno quando si è felici. Sei felice di guardarmi? Io non so cosa sia essere
felici. O forse sì. Sono confusa… io sento il cuore che batte all’impazzata, lo
stomaco che si stringe, e fremo. Mi hanno detto che succede quando si è
innamorati. Però a me è successo anche quando ho visto quella brutta scena in
tv, con l’uomo che accoltellava l’altro. E quello mi hanno spiegato che si
chiama paura.
Mi
sollecitano a parlarti. Però non riesco.
Non
capisco. Non vi capisco. Non mi capisco.
Dicono
che sia perché sono autistica.
Se solo una piuma... di Alma Cattleya
Sara
era una donna forte. Lo è sempre stata. Portava, come se fossero niente, pesi
da squarciarle mente e corpo, ma al vederla sembrava che camminasse leggera.
Eppure da giorni pensava "Se solo una piuma mi portasse via." Con
questo pensiero andò a letto come se fosse un ordine per il mondo onirico.
Ed
eccolo il sogno.
Mentre
era lì in attesa, ecco la piuma: volava in alto. Ogni volta che si muoveva,
spostata da diversi venti, la piuma risuonava.
Sara
saltava con le mani in alto: desiderava prendere la piuma.
La
piuma alla fine scese leggera come se danzasse sulle punte. Alla fine Sara la
prese e le disse: "Ti prego, bella piuma, portami via di qui." La
piuma sentì le sue parole e, invece di portarla via, entrò nel suo corpo e
decise di restare lì.
Sara
sorrise sia nel sogno sia mentre stava dormendo: aveva una piuma che pulsava
nel cuore.
Ferita mortale
Lei
giace nella quiete, sanguina mortalmente da una vistosa ferita al fianco, il
suo vitale fluido si estende tutt’intorno, macchiando e sporcando qualsiasi
cosa con cui viene in contatto. La ferita è più grave di quanto si pensi, lei
non ha nemmeno la forza di urlare dal dolore.
Sfiancata
dalla perdita non può far altro che giacere su di un fianco, come se osservasse
il suo sangue che cola dalla ferita, la sua estensione tutt’intorno a sé, come
la macchia si estende coprendo ogni cosa.
Ci
sono dei soccorritori, fanno il possibile per salvare il salvabile, ma il danno
è ormai fatto, cercano di contenere il suo sangue, ma non ci riescono.
E
nonostante i loro sforzi lei continua a sanguinare, come se una forza
inarrestabile la spingesse a continuare, la forzasse a cacciar fuori di sé ogni
singola goccia di linfa vitale.
Il
mortale silenzio che la pervade quasi soppianta la cacofonia di rumori che la
circondano, le urla, le richieste di soccorso, le conversazioni a mezza voce.
Lampi
di luce la avvolgono mentre gli astanti la guardano, le fanno fotografie,
riprendono i suoi ultimi minuti d’esistenza su quel mondo così crudele.
Immancabili
arrivano gli avvoltoi.
Con
le loro unte presenze la circondano, esprimendo rammarico, profferendo scuse,
ma sogghignando al di sotto della maschera per la pubblicità che potranno
ricavare dallo show mediatico dovuto all’incidente.
Gioendo
delle ricchezze che potranno arraffare seguendo l’onda mediatica e l’isterismo
collettivo.
I
pochi che davvero s’impegnano per salvare qualcosa sono lì, sul luogo
dell’incidente, immersi fino alla cintola nel sangue nerastro che ammorba il
tratto di mare in cui la perdita è avvenuta.
Lì
dove le paratie della petroliera hanno ceduto ed il suo carico di petrolio,
come nero sangue, è sgorgato dalle viscere della nave uccidendo e distruggendo
tutto intorno a sé.
Solitudine e vendetta
Solitudine.
Essere
isolati da ciò che ci circonda, condurre un’esistenza grigia e priva di senso.
Sono
io solo? Sono io da condannare per condurre una simile vita? Si dice che la
solitudine protrattasi per lunghi periodi conduca alla pazzia.
Sono
anche pazzo quindi.
La
mia intera esistenza è stata dedicata alla solitudine, alla rinuncia del
contatto umano o animale. Sin dalla nascita ero solo e quando cercavo un
contatto mi veniva negato, rifiutato, persino allontanato.
Così
decisi che avrei fatto della solitudine la mia migliore compagna, d’altronde
non si dice meglio soli che male accompagnati?
Però
sento di starmi comportando in maniera anomala, qualcosa in me implora che io
cerchi dei contatti, che io cerchi di estendere le mie conoscenze. Ma ogni
volta che mi avvicino alla sfera umana vengo rigettato, combattuto ed infine
allontanato.
Costretto
ad isolarmi in qualche zona sperduta finché non raccolgo abbastanza coraggio da
riprovare.
Ma
è inutile.
Per
questo ho deciso di abbandonare tutto, di rinunciare al mio compito, al destino
che questa vita ingrata mi ha assegnato.
Ora
vivo qui, in questa gabbia dalle trasparenti mura, osservato e controllato
periodicamente da qualcuno, non ho contatti con loro, li ignoro quando mi si
avvicinano offrendomi doni. Rimango apatico, immoto.
Sconfitto.
Li
vedo agitarsi, preda di un’estasi che non comprendo, felici oltre ogni
immaginazione. Sono felici per la mia solitudine?
Festeggiano
per aver trovato una soluzione, ma una soluzione a cosa? Apatico continuo ad
osservarli, notando come ora puntino ed indichino verso di me.
Sì,
è me che indicano, sono davvero io che causo loro questa felicità.
Io
che mi sono isolato, costretto ad un’esistenza solitaria.
Arreso.
No,
non darò loro questa soddisfazione, vedranno, oh se vedranno.
Insegnerò
loro cosa sono capace di fare.
Insegnerò
loro il mio nome.
Ebola.
E
tremeranno dinanzi ad esso.
Orrore
Buio,
fiamme, dolore.
Con
un guizzo l'uomo si alzò dal letto in cui era steso, svegliandosi
improvvisamente dall'incubo appena vissuto.
Confuso,
volse lo sguardo intorno senza riconoscere l’ambiente in cui si trovava.
Alzatosi
dal letto poggiò i piedi sul pavimento, ritirandoli immediatamente per via del
gelido contatto. Solo in quel momento si rese conto di essere completamente
nudo.
Rapidamente
si portò le gambe al corpo iniziando a sentire i primi brividi di freddo. Il
suo sguardo dardeggiava per la stanza cercando di ricordare come fosse finito
lì, e fu in quel momento che il vero terrore si impadronì di lui.
Non
ricordava assolutamente nulla, né chi fosse, né come fosse finito lì.
Improvvisamente
il silenzio che fino a quel momento aveva pervaso la stanza si interruppe,
migliaia di suoni quasi impercettibili iniziavano a riempire l'ambiente intorno
a lui. Nel buio in cui si trovava gli risultava impossibile vedere cosa ci
fosse lì intorno a lui, eppure qualcosa c'era per creare tutto quel trambusto.
D’un
tratto sentì qualcosa sul braccio, con un gesto istintivo mosse la mano libera
e colpì lì dove aveva percepito movimento.
Sulla
sua mano sentì dei frammenti solidi e del liquido dal vago odore. Spalancando
gli occhi capì cosa c'era nella stanza lì con lui.
Insetti.
Migliaia
e migliaia di insetti.
Più
si agitava e più li percepiva su di sé, sul letto, tutt'intorno a lui.
Nel
panico si lanciò via dal letto per scacciarli, ma li sentiva sotto i piedi, le
loro corazze chitinose in frantumi sotto al suo peso.
Con
disgusto cercò di riguadagnare il letto, ma erano troppi.
Nel
panico inciampò e cadde in avanti, affondando in quello che doveva essere un
mare di creature chitinose. Li sentiva dappertutto, sul corpo, tra i capelli.
Sulle
sue stesse labbra.
Iniziò
ad urlare.
Ricordi
Non
ricordo nulla della mia esistenza, sono passato? Sarò futuro?
Non
lo so.
Qual
è il mio scopo?
Perché
sono qui?
Avevo
un nome una volta, credo. Non ne sono sicuro, ma ricordo una casa, una famiglia
felice. Una donna mi sorride contenta, bambini mi abbracciano le gambe.
Il
ricordo è...felice.
La
scena muta, la casa brucia preda di violente fiamme, la donna urla e si
dispera, i bambini…
I
bambini…
Ne
vedo i corpi abbandonati in giro, uno è steso a terra, coperto di sangue, non
si muove, non respira.
L’altro
mi guarda con incomprensione, leggo nei suoi occhi la paura per ciò che non si
conosce.
Perché
queste scene mi provocano così tanto dolore?
Le
fiamme si ergono più alte, sento un pianto intermittente, un lamento
discontinuo che mi penetra nelle ossa facendole vibrare dall’orrore.
La
donna urla di folle e pazzo dolore, un dolore chimico, ferale istinto impresso
nei suoi geni, la vedo lanciarsi tra le fiamme, ma prima….prima mi guarda negli
occhi.
Uno
sguardo cupo, orripilato e carico di rabbia e odio.
Perché?
Perché rivolgermi quello sguardo?
Basta
con queste urla…BASTA!
Il
buio mi circonda, carezzandomi con il suo freddo tocco.
Altre
immagini emergono intorno a me. Rabbrividisco mentre le guardo, il mio animo
viene scosso, tremo incontrollabilmente guardando orripilato un destino da me
inscenato!
Un
orrore creato da me stesso in un’ estasi di follia.
Mi
vedo spargere benzina per la mia dimora, dopo aver picchiato a sangue mio
figlio, lasciandolo privo di vita sul pavimento lordo di sangue.
Sangue
che ora scivola giù dai miei occhi.
Non
voglio ricordare…Non voglio!
Seduto
qui su questa poltrona incenerita guardo i corpi dei miei cari intorno a me.
Sensi
di colpa, voglia di giustizia.
Armo
il cane.
Freddo
metallo sulla tempia.
Perdonatemi.
“Macchia
di sangue sul muro.”
Mamihlapinatapai * di Michele Scarparo
Anche
per te è così?
Mi
parli, nascosto a metà da un bicchiere che contiene ormai non più di un dito di
liquido rosso, vagamente alcolico. Mi parli ma non ti sento.
Il
bar. I rumori. La gente che parla. C’è una coppia, dietro di me, che sta
discutendo di comperare una casa. Lei vorrebbe una singola, magari in campagna.
Per stare in silenzio, respirare aria buona, magari avere un cane. E un figlio,
penso io. Lui invece vorrebbe un appartamento in città. La carriera. La movida.
Il divertimento. Mi domando se litigheranno. Anche solo per il gusto di fare la
pace sotto le coperte.
Li
sento; penso che vorrei che fossimo noi, tra qualche anno. Poi spariscono,
volando oltre i confini della mia coscienza. Voglio dire, guardo le tue labbra
e ne sento il sapore. Vedo la tua lingua guizzare tra i denti mentre mi parli.
Vorrei poterti ascoltare, ma ti vedo e il mio cervello si scioglie. Ti guardo
negli occhi e ho un desiderio solo, mescolato inestricabilmente con la paura
che questo desiderio sia solo mio.
Anche
per te è così?
---
*
Mamihlapinatapai, o mamihlapinatapei, “è una parola del lessico yamana, la
lingua degli Yamana, una popolazione autoctona della Terra del Fuoco prossima
all’estinzione. Il vocabolo è noto per essere una delle parole più concise e di
difficile traduzione al mondo, come viene presentata nel libro del Guinness dei
primati. Il termine descrive l’atto di «guardarsi reciprocamente negli occhi
sperando che l’altra persona faccia qualcosa che entrambi desiderano
ardentemente, ma che nessuno dei due vuole fare per primo».
Dopo la pioggia.
Amo
la pioggia. Appena smette di piovere, esco dal luogo asciutto e sicuro in cui
mi sono riparata ed esco a esplorare i dintorni. Lentamente, per assaporare
ogni istante di frescura e tranquillità. Procedo lenta, gustando ogni secondo,
anche perchè più di tanto veloce non riesco ad andare. Il mio bagaglio pesa,
troppo, ma io vado avanti. Mi godo la differenza di suolo nel quale cammino:
erba fresca, sabbia pungente, asfalto caldo ma ora bagnato e deliziosamente
umido. Avanti, senza sosta. Pochi centimetri che però paiono un'eternità. E io
procedo. Poi li vedo. I miei peggiori incubi. anche loro escono, appena finito
di piovere, escono a godersi il paesaggio ma sono troppo attratti dalle nuvole
che si rincorrono per accorgersi di me, che avanzo tranquilla. Uno mi schiva,
anche il secondo. Pochi passi ancora e sarò salva. Ma poi ecco lui, il fanatico
del fitness, lui che corre imperterrito. Non so se mi abbia visto, se poteva
evitarmi e non l'ha fatto, se l'ha fatto apposta...
un
colpo solo, il suo piede mi schiaccia e la mia vita finisce lì, su
quell'asfalto umido, a pochi centimetri dalla salvezza.
è
questa la dura vita di una chiocciola.
La Bambina di Alma Cattleya
C'era
un gran viavai in quell'ospedale e le pareti bianche sembravano appartenere ad
un manicomio.
Il
chiasso mi rimbombava nelle orecchie, ma io automaticamente me ne distaccavo.
Dopotutto ci ero andata per visitare una bambina.
Agli
occhi degli altri, questa bambina sembrava essere invisibile: nessuno badava a
lei, nemmeno un medico.
Forse
la davano per irrecuperabile, ma io so che ce la può fare. Nonostante lei
faccia fatica a stare in piedi, abbia le mani e i piedi provati dal peso che
hanno portato per anni in silenzio, ho fiducia in lei.
E
poi il viso segnato da un pallore estremo con gli occhi che sembravano essersi
riempiti così tanto di lacrime da gonfiarsi.
Da
quanto non riesce a dormire?
Da
quanto se ne sta lì in tensione?
Ogni
tanto diceva qualche parola. A qualcuno sarà sembrato che stesse farneticando
ma io so che non è così.
L'unica
cosa che potevo fare in quel momento era stendermi accanto a lei e ascoltarla.
So
che questo momento passerà. Ne sono certa.
Non
posso mica abbandonarla a se stessa.
Le
ho cantato una ninna nanna.
Il
rumore sembrava essere sparito e io la guardavo. Un timido e lieve sorriso si è
affacciato sul suo volto.
Nonostante
un corpo che sembra essere martoriato, io lo so che dentro di sé conserva
gelosamente una scintilla di luce.
Solo
io lo so.
Dopotutto
lei è la mia bambina interiore e se non ci fossi io ad ascoltarla, chi potrebbe
farlo?
Il dolore di Seme Nero
–
Stringi. Stringi quanto vuoi, non aver paura. Sono qui.
Le
mani impallidiscono, ma le sento bollenti. Morse dalle sue, unghie come denti
che si conficcano nelle mie carni. Passano i minuti e Laura continua a tremare.
I capelli le cadono sulla fronte imperlata di sudore, trema, rannicchiata su sé
stessa. Pare una strega, magra e avvizzita, consumata dallo sforzo giorno dopo
giorno. Mi fa sembrare una ragazzina venuta a consolare la vecchia zia, eppure
è più giovane di me.
La
presa si allenta e Laura si scioglie, adagiandosi sul letto. Il petto le si
alza e abbassa lento, espira con un debole fischio che le sale dalla gola.
–
Sta passando? – le chiedo.
Annuisce,
mima con le labbra una risposta a cui non sa dare fiato.
Le
accarezzo la fronte togliendole i capelli dal viso. Con le mani intorpidite
verso un bicchiere d'acqua e glielo porgo sperando non mi cada. Beve pochi
sorsi. So che ha sete, ma ha imparato ad avere pazienza: non vuole il suo corpo
scosso da colpi di tosse in questo raro momento di riposo.
Quando
si sente abbastanza sicura per alzarsi l'accompagno in bagno. Le lascio qualche
minuto di privacy, su questo non transige. Non vuole sentirsi ancora tanto
impotente. Al ritorno le sue gote sono rosee.
–
Grazie di nuovo, Michela.
–
Non serve ripeterlo ogni volta.
–
Devo. È importante tu sia qui, soprattutto per mia madre. Non lo dice, ma le
leggo negli occhi che non ce la fa più a vedermi così.
Altruista
Elena, anche nella sua condizione. L'abbraccio, vorrei piangere, ma non mi
concedo questo lusso davanti a lei.
La
sento piegarsi tra le mie braccia, sta ricominciando. L'aiuto a stendersi, le
prendo ancora le mani, implora aiuto col suo sguardo sofferente.
–
Stringi. Stringi quanto vuoi. Sono qui.
Il diverso di gina daiano
Il
giardinetto con le panchine, i passeggini, le mamme annoiate, i bambini che
corrono chiassosi, i cani scodinzolanti che annusano e guardano eccitati tutto
quel movimento.
Il
profumo dei tigli.
Non
passano auto, solo qualche bici e il mondo sembra quieto.
Anche
lei sta seduta, rilassata, senza bambini su cui riversare la sua attenzione.
Osserva
e pensa con piacere ai fatti suoi. Lascia che lo sguardo segua la vita del
giardinetto, senza coinvolgimento.
Guarda
il sole che filtra attraverso i rami di un salice piangente creando una luce
delicata.
Sfiorando
i rami, una mamma con un ragazzino avanza . Non li vede bene, sono controluce,
nota solo l'altezza del bimbo che potrà avere 10 o 11 anni e pensa che è strano
tenga ancora per mano la mamma. Si avvicinano e occupano la panchina accanto.
Ora può vedere che il bimbo ha la sindrome di Down.
Una
contrazione allo stomaco, un disagio immediato e altrettanto immediata
l'irritazione che prova verso questa sensazione. Il diverso la colpisce ancora,
ha paura di non sapere come rapportarsi con lui. Non lo guarda, fissa
ostentatamente il salice. Poi sente i passi, un po' strascicati che le si
avvicinano e con la coda dell'occhio vede il piccolo Down sedersi accanto a
lei.
Non
può ignorarlo, non si può.
Volge
la testa e i loro sguardi si incrociano. Lui sorride con gli occhi un po'
acquosi e la lingua che si appoggia al labbro inferiore. Sorride e la guarda in
attesa. Anche lei gli sorride, cercando di essere naturale. Lui le appoggia la
fronte sul braccio, così, semplicemente, come fanno i gattini. Allora è tutto a
posto, tutto dolce e facile, è sufficiente che lei faccia altrettanto, appoggia
la fronte sui morbidi, sottili capelli biondi del piccolo Down e si sente
felice, molto felice.
Il Cavaliere lucente di Salomon Xeno
Molto
tempo fa, in una lontana provincia viveva un Cavaliere lucente. Tutti i sudditi
lo ammiravano. Il Re, un giorno, decise di dargli in sposa l'unica figlia. La
sola persona a rattristarsi fu proprio la Principessa, che a chiunque glielo
domandasse rispondeva che non ne voleva sapere nulla di un uomo la cui unica
qualità fosse la lucentezza. Non potendo sopportare quel visino triste, il Re
invitò il Cavaliere nella capitale.
Tuttavia
egli non rispose alla convocazione.
Fra
il popolino dilagò lo sconforto. Il Re, abituato a essere obbedito, si addolorò
molto per non poter dare ai sudditi ciò che chiedevano. Aspettò qualche
stagione e al termine della stagione della caccia gli mandò un nuovo invito.
Ma
il Cavaliere non si mosse dal suo castello.
Il
Re, infuriato, decise quindi di muovere guerra al proprio vassallo; chiamò a sé
i sudditi più valorosi e armò un grande esercito, che mise in marcia verso
quella lontana provincia. La sua tenera figlia, il cui cuore soffriva ogni
giorno di più, era alla finestra mentre si allontanava, e pianse.
Si
racconta che dalle lacrime di un'anima infranta siano nati i fiumi del Regno. È
per questo che un menestrello quale io sono esita a bere dal comune boccale,
tanto quanto io esiti a raccontare l'epilogo della storia.
Da
quel giorno la Principessa visse in una torre angusta, bevendo solo l'acqua più
pura e pregando ogni giorno per il ritorno del suo augusto padre. Ogni tanto
udiva nuove dalla guerra ma nulla che la rallegrasse.
Alla
fine il Re fece ritorno. Era nero in viso e nel cuore; in un carro aveva
riposto l'armatura splendente, che si trascinava in casa come una maledizione.
“Ora
sarà qui, la sola luce del Regno,” disse.
Non
ci fu più allegria, nel Castello. Solo ricordi.
Il primo giorno di Barbara Martini e Paola Pozzo
La
signora Bruna era incredula quando nacque Valentina.
-
Ci mancava anche questa! – aveva esclamato.
Più
che incredula, era delusa. Per nove mesi si era convinta che avrebbe partorito
un bel maschietto. Tutto uguale a mammà!
Aveva
sempre sognato un maschio, la signora Bruna. E, non si sa come e perché, questa
convinzione si radicò in famiglia.
Per
nove mesi, papà, nonna, zia e il parentado sparso per l’Italia, isole comprese,
erano convinti che sarebbe nato un bambino.
Tutto
uguale a mammà!
D’altronde,
come darle torto, la pancia era a punta, e se la pancia è a punta nasce un
maschio. Sì, un bel maschietto, tutto uguale a mammà!
La
signora Bruna era talmente convinta che durante l’ecografia non guardava il
monitor e al dottore diceva: - Non mi dica niente, è un maschio lo so.
Così,
quando fu il giorno del parto, la signora Bruna disse al marito di preparare la
tutina azzurra e le calzette, azzurre pure quelle.
E
quando, finalmente, il nascituro venne al mondo, la voce della signora Bruna
riecheggiò nella stanza. - Ci mancava anche questa!
E
si ritrovò tra le braccia una bella bambina vestita d’azzurro.
La
notizia fece il giro dell’Italia, isole comprese.
-
E’ una femmina – annunciò il padre.
-
Non è possibile – disse la zia.
-
Non scherzare – rispose la nonna.
-
Ma no! Non è vero, sarà un bel bambino. Tutto uguale a mammà! – seguitarono i
parenti in coro.
Intanto,
in culla, Valentina piangeva.
E
nessuno saprà mai se piangesse perché così fanno tutti i neonati o perché
doveva essere un maschio e stava dando ai suoi genitori la prima delusione.
Di
certo piangeva perché si era resa conto di far parte di una famiglia di
ignoranti.
“Ci
mancava anche questa!” Fu il suo primo pensiero.
Il Soldato
Tutto
era nero e senza forma: solo un eterno nulla, un mosaico di migliaia di
tonalità di verdi che formava la foresta germanica.
I
rami si spezzavano, gli aghi aguzzi delle conifere gli tagliavano faccia e
mani. La tunica era chiazzata di fango e argilla. Gli animali scappavano, e non
per lui; la foresta sembrava disabitata, ed un branco di cervi terrorizzati gli
saettò attorno. Il soldato romano trovò riparo dietro al tronco di un enorme
abete in tempo per sfuggire alle corna degli esemplari più giovani.
Il
respiro e il battito cardiaco lo assordavano e l'elmetto di cuoio gli pesava
sulla testa, stringendola in una morsa claustrofobica; la foresta si stava
addormentando nell'autunno incombente, eppure sentiva il sudore ruscellargli
lungo il collo, fatica e paura liquide.
Roteò
gli occhi nel tentativo di mettere a fuoco le figure in movimento, gli ultimi
cervi che scappavano, le ombre degli alberi che si intersecavano e i fusti che
salivano così alti da oscurare il cielo nelle loro fronde sempreverdi e
dorate... Doveva impedire al generale Varo di partire.
Un
barbaro gli fu addosso, un corpo pallido e chiazzato di verde che, a bocca
spalancata, caricò in un urlo muto. Il soldato riuscì a estrarre il gladio e affondarlo
nel corpo, lasciandolo poi cadere senza sangue. Continuò a correre, e i barbari
gli tennero dietro come un branco di lupi, fauci aperte e occhi scarlatti.
Altri due divorarono il compagno caduto.
Il
soldato sentiva solo il proprio respiro: i barbari erano già morti.
Colpì
un secondo barbaro privo di parte del viso e saltò oltre un tronco. Colpì un
terzo, un sesto, perse il conto quando la lama si incastrò tra le costole di un
corpo.
Abbandonò
il gladio e corse nelle tenebre della foresta.
I
Morti lo inseguirono.
Nessuno
ritornò.
E ora?
Per prima cosa sono curiosa
di sapere chi ha scritto cosa,
quindi aspetto i vostri commenti sotto questo post. Io intanto ringrazio di vivo cuore tutti i
partecipanti (siete stati tantissimi quest'anno e mi avete resa davvero
felice!) e vi faccio i complimenti!
Quest'anno ho anche deciso, se gli autori vincitori sono
d'accordo, di sottoporre i testi a un
piccolo e breve editing per sistemare alcune imprecisioni prima della
registrazione dell'audio. L'intento è di arrivare a un prodotto finito
il più possibile di qualità.
Dato che realizzerò
io le fotografie di sfondo, potrebbe volerci un po', dato che devo
decapitare una bionda, tagliare i polsi a una persona e trovare un modo per non
rendere palese il finale del terzo racconto. Scherzo, ovviamente, ma ci vorrà
del tempo sul serio (anche perché ho altri cinque video già in cantiere).
Insomma, appena
riesco comincio a lavorarci. Nel prossimo post su questo concorso
avrete i tre video da votare e le
regole per il voto saranno esposte in modo più chiaro di quanto abbia fatto oggi (tutto, premi
compresi, è comunque specificato nel post
del bando).
Come vi ho già accennato, ci sarà anche una piccola sorpresa per i non finalisti,
quindi restate sintonizzati. Intanto, grazie
ancora a tutti per la partecipazione e l'entusiasmo: avete reso ancora
più bello questo quarto compleanno!
E… complimenti
ai finalisti!
Hanno parlato di questo post:
- Mamihlapinatapai su Scrivere per caso
- Monologhi e racconti su Farfalle eterne
- Dal blog di Romina Tamerici... su Myrtilla's House
- Il cavaliere lucente, un mini-racconto su Argonauta Xeno
- I tre finalisti del concorso per il quarto anno di blog - I video da votare - 800° post
- Gabriele D'Annunzio batte tutti? Un'ironica riflessioni sulla poesia (e non solo) nel mio canale YouTube
- Il vincitore del concorso per il quarto anno di blog
Complimenti vivissimi ai finalisti!
RispondiEliminaIl macabro l'ha fatta da padrone, eh? Ahah!
Avevo partecipato anch'io, con il racconto "Incomprensibile". Ora attenderò i video per votare, sono proprio curiosa di vedere se la tua dolce voce ci sta bene con questo genere!
Più di qualcuno ha detto che ho una voce adatta per fare la cattiva... ora vedremo se hanno ragione!
EliminaGrazie per aver partecipato!
Complimenti ai vincitori! Io avevo partecipato con "Mamihlapinatapai" (avrei proprio voluto sentirtelo dire, che a me si annoda la lingua solo scrivendolo) ;)
RispondiEliminaSappi che il titolo è stato uno dei motivi principali per cui non è sul podio! Ahaha!
EliminaNon so se hai mai visto i miei problemi con i nomi in "Un libro in due": questo era proprio impronunciabile!
Grazie per aver partecipato!
Ho partecipato anch'io, con Il Cavaliere lucente! :)
RispondiEliminaOra leggo anche gli altri, che sono sicuro saranno molto soddisfatti e stupiti della resa letta.
Questa volta ti avevo super-riconosciuto anche se sei stato correttissimo a non dirmi assolutamente niente!
EliminaGrazie per la partecipazione e la fiducia!
Finalmente li ho letti. Adesso devo solo farmi un'idea su chi votare! :)
EliminaEh, sì, da oggi si può votare, fino al 20 ottobre!
EliminaComplimenti ai finalisti.
RispondiEliminaIo ho partecipato con Se solo una piuma... e La Bambina :)
Grazie per i racconti!
EliminaComplimenti ai finalisti e di nuovo buon compleanno a Romina per il suo blog! :)
RispondiEliminaGrazie di nuovo!
EliminaEhm... Io non avevo il coraggio di dirtelo, ma non ho partecipato... Non ho trovato idee :(
RispondiEliminaComplimenti ai finalisti e aspetto con ansia i video!
Non ci posso credere! Ero convinta che avessi partecipato anche se non avevo capito con cosa. Comunque sei perdonata, per questa volta (ahahah!).
EliminaSigh, mi dispiace... La scrittura ultimamente non è il mio forte. Grazie del perdono ;)
EliminaSarà per un'altra volta!
EliminaCiao! E ti credo che è stata dura, Romina... sono tutti molto belli. Comunque quello che avrei scelto e votato io c'è, è in finale. :)) Aspetto di poterlo votare...
RispondiEliminaIo ho partecipato con La luna.
Adesso posso postarlo nel mio blog facendo riferimento a questo concorso?
Ciaoooo
Con tutti i cambi che ho fatto sul podio, direi che oro proprio indecisa!
EliminaCerto che puoi postarlo sul tuo blog: il racconto è tuo! Michele ha già fatto una cosa simile e io raccoglierò tutti i vostri link in fondo al post (quello di Michele c'è già!). Grazie per aver aderito al concorso!
Grazie Romi, allora provvedo subito!
EliminaCiaoooo
ps alla prossima!
Grazie a te!
EliminaCongratulazioni ai tre finalisti.... Io avevo partecipato con il racconto dell'astronauta e con "Frustrazione". Mi ha fatto davvero piacere mettermi alla prova anche se non sono arrivato in finale....Davvero complimenti e buona fortuna :)
RispondiElimina"Frustrazione" mi è piaciuto molto, era arrivato tra i papabili del podio (non so se questa cosa ti fa piacere o aumenta la tua "delusione", però).
EliminaGrazie per aver partecipato!
Mi fa davvero piacere che ti sia piaciuto...Altro che delusione!! La mia autostima sale alle stelle !! :)
EliminaGrazie a te di avermi/ci dato questa possibilità!
Molti dicono che sono una "motivatrice", la verità è che penso sia importante dire alle persone quando fanno qualcosa bene per accrescere la loro fiducia in se stessi!
EliminaRitengo che questo sia un ottimo pregio, mia cara :)
EliminaGrazie!
EliminaAnche il Coniglio è fra gli assenti, in questo periodo è un po' latitante. Ma i racconti sono molto belli e il vincitore mi ha veramente colpito. Bravi tutti e brava Romina, sempre piena di belle idee.
RispondiEliminaHai delle buone ragioni per latitare, Spartaco! Magari ti rifarai l'anno prossimo! Grazie per i complimenti, ma io ho solo riciclato la mia idea dell'anno scorso! Ahahah!
EliminaInnanzitutto complimenti ai tre vincitori (il secondo credo di sapere chi l'abbia scritto).
RispondiEliminaIl mio racconto è "Il comandante". Tra l'altro nel finale che mi ero immaginato Basilio in realtà doveva far capire al capitano che non si era mai mosso da quella posizione, che aveva fatto un viaggio esclusivamente mentale. Ma poi chissà perché ho scritto tutt'altro.
Il bello delle storie è che a volte ci portano dove vogliono loro.
EliminaGrazie per aver partecipato!
Eh già, forse inconsciamente preferivo quel tipo di resa. E' stato un piacere partecipare.
EliminaAlla fine però ha reagito, forse è questa la cosa importante.
EliminaBeh, però per farne un racconto migliore, forse era meglio rendesse le sue intenzioni chiare anche al lettore.
EliminaMagari lo rielaborerai e ne verrà fuori qualcosa di nuovo, chissà!
Elimina"Fragole rosso sangue" è il mio. Grazie!
RispondiEliminaBenvenuta sul mio blog! Ne avevo il forte sospetto! Complimenti, mi è piaciuto moltissimo!
EliminaLuchiastro, hai indovinato. A quanto pare ben conosci il mio stile sanguinario!
RispondiEliminaGabriella, ma io l'ho riconosciuto per il riferimento al monte, mai visto sangue nei tuoi scritti (uh uh)!
EliminaP.s. mi dispiace per il doppio commento, ma prima non mi dava la possibilità di rispondere da qui.
Esatto, lo sappiamo tutti che è una tenerona!
EliminaP.S. Tranquillo, ho rimosso il commento duplicato.
Pure tu, Romina! Mi sa che la mia passione per la cattiveria mi rende troppo riconoscibile, devo iniziare a scrivere di nuvolette e cuoricini...
RispondiEliminaHai il tuo stile e ti riesce bene, perché passare alle nuvolette e ai cuoricini? Ahahah!
EliminaIl mio racconto è "Il dolore".
RispondiEliminaPeccato, ci tenevo davvero, ma spero comunque di non aver sfigurato :)
Complimenti ai tre finalisti e a tutti i partecipanti!
No, non ha sfigurato, è solo che ha toccato una corda molto tesa e... in qualche modo dovevo pur sceglierne solo tre, purtroppo!
EliminaBeh, complimenti ai vincitori! Anch'io ho partecipato con Casa dolce casa, con Diverso e con Il viaggio. Ancora complimenti! Gabri, un bacione.
RispondiEliminaBenvenuta sul mio blog e grazie per aver partecipato!
EliminaIo ho scritto "Pronto soccorso".
RispondiEliminaSono molto stupita, ma anche felice.
Grazie e complimenti a tutti gli altri autori.
Avevo anch'io i miei preferiti.
Ovvio che autorizzo tutte le modifiche necessarie.
Complimenti! E con te ora si è composto il podio degli autori... mi toccherà mettermi all'opera!
EliminaEcco qui, complimenti a tutti i finalisti e agli altri partecipanti. Mi sono divertito a buttare giù il racconto di getto (ognuno hai suoi giochetti mentali per spezzare la monotonia) sapendo di trattare un argomento oramai quasi dimenticato e sconosciuto ai più giovani, ma tant'è la voglia di giocare con le parole è più forte di ogni remora. Il mio racconto è "anni di piombo". Bravi, bravissimi tutti.
RispondiEliminaGrazie per aver partecipato!
EliminaGrazie a te che mi hai fatto partecipare a questo contesto e bravi tutti :)
RispondiEliminaSono felice che ti sia piaciuto partecipare! Grazie!
EliminaIo ho scritto Meryen :)
RispondiEliminaAggiungo subito il tuo nome!
Elimina