Oggi sono qui per presentarvi un nuovo post di La
biblioteca dimenticata, rubrica fissa sul mio blog curata da
Davide Rigonat, il blogger
che gestisce La casa della
nebbia e l'autore di La nebbia e altri racconti.
Oggi ci parlerà di Le
diaboliche di Jules-Amédée Barbey
d'Aurevilly.
Come sempre lo ringrazio e gli lascio la parola così che possa incuriosirvi
in merito a questo libro dimenticato!
Le diaboliche di Jules-Amédée Barbey d'Aurevilly
Cari amici,
eccoci
arrivati a un nuovo appuntamento con La
Biblioteca Dimenticata, il primo dopo lo
special dedicato alla presentazione
dell’e-book in cui ho raccolto le prime diciotto puntate della rubrica (e
ne approfitto per ringraziare i circa 40 coraggiosi che se lo sono scaricato da
Smashwords, Amazon, iTunes & C.). Questa volta vi parlerò de Le
Diaboliche di Jules-Amédée Barbey d’Aurevilly.
L'autore
Come al
solito cominciamo con qualche parola sull’autore. Nato a Saint-Sauveur-le-Vicomte il 2 novembre 1808 da una
famiglia di antica origine ma di recente nobiltà, Jules-Amédée Barbey trascorse
gran parte della sua infanzia nella regione del Cotentin, dove conobbe i reduci
della Chouannerie e molti fedeli ai
Borboni fuggiti dalla Francia al tempo di Napoleone. Crebbe così in un ambiente conservatore e monarchico,
nostalgico del mondo dell’antica aristocrazia e avverso al progresso sociale in atto: la Rivoluzione aveva infatti colpito
duramente anche le famiglie dei genitori. A
18 anni si trasferisce a Parigi, dove nel 1829 consegue il
baccalaureato, dopo di che si reca a Caen per studiare legge. Lì, assieme al libraio Trébutin del quale è diventato amico, fonda una rivista
sulla quale comparirà il suo primo
racconto. In questo periodo incontra anche Joseph de Maistre, sotto la cui influenza abbraccia ideali
liberali, repubblicani e democratici: questa svolta ha però vita breve e
Barbey, disgustato dal progresso e dai valori borghesi del nuovo secolo,
aderisce ad un ideologia monarchica, assolutistica e assolutamente
intransigente. Tornato a Parigi, Barbey conduce una vita da perfetto dandy (movimento di cui diverrà uno dei teorici grazie a un suo saggio sul
dandismo e su Brummel pubblicato nel 1945), con tanto di abuso di alcol e di
assenzio, mantenendosi con una rendita
lasciatagli in eredità da suo zio Jean-François Barbey d'Aurevilly (dal quale
mutuerà, passata la febbre
democratica, il d'Aurevilly).
Dal 1840 comincia a frequentare il salotto della baronessa Amaury de Maistre,
cattolica e legittimista e, nel 1846, si
converte al Cattolicesimo Romano, di cui diverrà fiero difensore. A
causa del deteriorarsi della sua situazione economica, Barbey d’Aurevilly
riprenderà la collaborazione con numerosi fogli e giornali, dedicandosi
soprattutto alla critica letteraria,
spesso condita di ironia, sarcasmo, grandi intuizioni e da una palese
intransigenza religiosa e ideologica. Se da una lato egli contribuisce alla
difesa dei Fiori del Male di
Baudelaire (che non nascose di apprezzare le sue opere), alla scoperta di
Stendhal, alla rivalutazione di Balzac e, almeno riguardo a Madame Bovary, di Flaubert, dall’altro
non si fa scrupolo a criticare Hugo o a stroncare Zola, Madame de Staël e molti
altri. Non per niente si dichiarò entusiasta
del romanticismo e fustigatore del realismo e dell’illuminismo. Scrisse numerosi racconti e romanzi,
in cui i temi della cristianità e del peccato fanno la parte del leone: la sua
dichiarata ed esplicita descrizione del peccato e dello scandalo, che lui
giustificava come un tentativo di spaventare i suoi lettori e rafforzarli nella
virtù, gli fruttarono anche delle aperte accuse di immoralità. Trai suoi lavori
possiamo ricordare L'ensorcelée (La
donna stregata, 1854), Le chevalier des Touches (Il cavaliere di Touches, 1864), Un
prêtre marié (Un prete
sposato, 1865), Les Diaboliques (Le
diaboliche, 1874), Une histoire sans nom (Una storia senza nome, 1883) e Ce
qui ne meurt pas (Ciò che non
muore, 1884). Morirà a Parigi il
23 aprile 1889.
Il
libro
Passiamo
adesso alle nostre care Diaboliche.
Questo libro è in realtà una raccolta
di sei racconti, ognuno avente come protagonista una donna (appunto) diabolica. Come l’autore
stesso ci spiega nell’introduzione, il suo intento nel mostrarci questi sei
ritratti e nel narrarci queste sei storie (che lui afferma essere prese
pari-pari dalla realtà) è quello di comunicare
al lettore l’orrore dei loro comportamenti, così da scoraggiare
qualsiasi altro dal metterli in pratica. Vi dico subito però che, tranne forse
in un passaggio della penultima storia, l’impressione è che Barbey si diverta e
ami questi suoi personaggi votati al
peccato, ma… di questo parleremo tra un po’. È interessante notare come
l’autore ci spieghi che questa non sia che la
prima parte di un progetto più ampio: a queste Diaboliche avrebbero
dovuto seguire altrettanti Celesti,
a patto che avesse trovato un azzurro abbastanza puro per scrivere le loro
storie. Evidentemente non lo trovò.
Le storie,
come dicevo, sono sei:
- La tenda cremisi,
- Il più dell’amore di Don Giovanni,
- La felicità nel delitto,
- Il rovescio delle carte di una partita di whist,
- A un pranzo fra atei,
- La vendetta di una donna.
Ho a lungo
pensato se svelarvi o meno la trama dei racconti e, alla fine, ho deciso che
non ve la racconterò. Il punto, infatti, secondo me non sta tanto in quello che
ci racconta, ma in come ce lo racconta e nell’intenzione generale dell’opera.
In questi racconti vi sono molti elementi ricorrenti nell’opera di d’Aurevilly.
Tutti i racconti si svolgono a Parigi
o a V... città nella bassa Normandia
(dove lui era nato); tutti si muovono poi nell’ambiente dell’aristocrazia, un’aristocrazia
spesso nostalgica e persa nel passato, stretta nella morsa della noia,
dell’immobilità, del pettegolezzo e del vizio; i suoi protagonisti maschili
sono sempre dei dandy inveterati,
spesso ormai non più giovanissimi, atei e con un passato di dedizione al
peccato e alla lussuria. Nel descriverci questi elementi, d’Aurevilly ci vuole
mostrare uno spaccato di quella società, riportandocene i pensieri e gli stereotipi culturali: ecco
allora come la donna, oggetto
di corteggiamento e conquista da parte dei dandy di turno, non sia in generale
ritenuta capace che di passione,
viltà e vergogna, da cui l’interesse per le protagoniste che spesso
escono da questo schema semplicistico, peraltro pacificamente accettato e quasi
condiviso dal resto della buona
società femminile dedita più che altro al mantenimento della facciata e all'allontanamento
delle malelingue. Le protagoniste dei racconti sono tutte, in vario modo, diaboliche,
anche se spesso solo da un punto di vista maschile:
se alcune di loro si rendono responsabili di veri e propri delitti (in alcuni
casi anche assai macabri, a dire il vero, e magari in complicità con un loro
amante), altre hanno solo dei comportamenti che portano l’amante o l’ammiratore al tormento alla disperazione (più che altro
perché il loro comportamento esce dagli schemi e loro non sanno come
comportarsi). Da notare che, quasi sempre, i protagonisti e/o i loro amici e
congiunti si sono resi in passato colpevoli di episodi ben più efferati e
crudeli, senza che questo li faccia giudicare in maniera particolarmente
severa: del tipo Sì, è grave, ma che
vuoi…
Lo stile di
d’Aurevilly è, a mio avviso, piacevole
e diretto: oltre a scrivere bene, egli è maestro nell’uso dell’ironia e del sarcasmo,
armi a cui fa grandemente ricorso per mettere in ridicolo le abitudini moderne
rispetto agli usi del bel tempo andato dell’aristocrazia (tema a lui molto
caro) e per esprimere le sue idee sulla Rivoluzione, su Napoleone, sulla
Rivoluzione di Luglio, ecc. Pur dichiarandosi poi fervente cristiano, tutti i
racconti sono pervasi da un grande
senso di voluttuosità e, in un certo senso, di erotismo, vizi che
l’autore ci presenta senza veli o mistificazione nella loro banale realtà. Numerose sono anche le stoccate
che i vari protagonisti riservano alla Chiesa
in generale, in un turbinio di beoni, donnaioli, atei, preti spretati e monaci
fuggiti dal convento: la percezione che questi racconti siano stati scritti da
un difensore dei valori della cristianità non è certo immediata (anzi, come ho
già detto si ha la netta impressione che in fondo l’autore, anche se deluso
della vita e della società che lo circonda, si diverta nel rappresentarla così
crudamente). Dal punto di vista del fraseggio, in vari punti l’autore si lancia
in lunghe descrizioni e, in
alcuni casi, per far arrivare al dunque il narratore (tutti racconti sono in
realtà narrati da uno dei personaggi a qualcun altro) ci mette un bel po’,
almeno secondo i canoni di oggi: bisogna però considerare il periodo in cui
furono scritti e considerare il gusto dell’epoca. Non è che in Zola e Balzac
non vi siano disanime del carattere di qualche personaggio o descrizioni che
non superino in lunghezza quelle del buon Barbey: a me, comunque, non hanno
dato alcun fastidio, anche perché (secondo me) sono scritte con sapienza e maestria.
Per finire,
non posso che consigliarvi questo libro di un autore forse non molto conosciuto
ma che ha avuto molti illustri ammiratori.
Wow! Un libro con donne diaboliche? Come non può attirare una
Luciferina? Ahahah!
Vi ricordo che tutti i post precedenti di questa rubrica sono finiti in
un bellissimo
ebook che potete scaricare gratuitamente da varie piattaforme (al link maggiori
informazioni).
Oppure li potete trovare sul blog, cliccando sulla rubrica La
biblioteca dimenticata - rubrica di Davide Rigonat.
Ancora un grande grazie a Davide per i suoi bellissimi contributi! Alla
prossima!
Hanno parlato di questo articolo:
- "La leggenda del santo bevitore" di Joseph Roth: duecento franchi da restituire e tanto Pernod
- "Il Golem" di Gustav Meyrink: incontrare il proprio doppio per superare se stessi
- "Quer pasticciaccio brutto de via Merulana" di Carlo Emilio Gadda: un romanzo corale in lingua gaddiana
- "Ernesto" di Umberto Saba: la storia di Ernesto o di Umberto Saba?
- "Middlemarch" di George Eliot: storie di aspirazioni e frustrazioni
- "La biblioteca dimenticata - Due anni di recensioni sparse" di Davide Rigonat - ebook gratuito
Ciao, Romina, come va? Ho letto il libro. Secondo me è narrato in modo magistrale. Un caro saluto.
RispondiEliminaScusa, mi ero persa il tuo commento! Ti mando anch'io un carissimo saluto!
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