Oggi sono qui per presentarvi un nuovo post di La
biblioteca dimenticata, rubrica fissa sul mio blog curata da
Davide Rigonat, il blogger
che gestisce La casa della
nebbia e l'autore di La nebbia e altri racconti.
Oggi ci parlerà di La
leggenda del santo bevitore di Joseph
Roth.
Come sempre lo ringrazio di cuore e gli lascio la parola così che vi
possa raccontare tutto ciò che c'è da sapere su questo libro!
La leggenda del santo bevitore di Joseph Roth
Cari amici,
questa volta voglio parlarvi di un racconto scritto da
Joseph Roth nel 1939: La Leggenda del Santo Bevitore.
Ho scelto questa breve opera (che peraltro mi risulta essere la più conosciuta
in Italia) piuttosto che qualche suo romanzo perché mi è sempre piaciuta molto
e perché, a mio avviso, è paradigmatica
del modus scribendi di Roth oltre che, sotto molti aspetti, autobiografica.
L'autore
Joseph Roth nasce il 2 settembre 1894 a Brody, cittadina attualmente in Ucraina
ma allora facente parte dell’Impero Austro-Ungarico da una famiglia di fede
ebraica. Affidato alle cure della madre dopo che il padre, commerciante di cereali, fu improvvisamente internato in un centro di malattie
mentali prima e affidato ai parenti poi, frequentò la scuola commerciale e il
ginnasio nella città natale, dopodiché si spostò a Vienna per frequentare l’Università in un ambiente più
legato alla letteratura tedesca. Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, dopo
un primo periodo in cui aderì a posizioni pacifiste, si arruolò volontario per un anno, al termine del quale fu
inviato nella zona di Leopoli a seguito del servizio stampa. Roth aveva infatti
già cominciato a collaborare da tempo con varie testate giornalistiche,
iniziando quell’attività di
giornalista che poi portò avanti con successo per molti anni e che gli
fornì i mezzi per sostenere sé e la sua famiglia (si era sposato nel 1922 con
Friederike Reichler). In veste di giornalista fu inviato in molti paesi stranieri, tra cui la Francia, la
Russia, Italia e così via.
Con l’affermarsi del nazismo in Germania, Roth cambiò posizione nei confronti della
monarchia e della religione, ritenendoli gli unici due elementi capaci
di fermare Hitler e i suoi folli propositi. È infatti con incredibile lucidità
e lungimiranza che Roth capisce che le
politiche naziste non potranno che portare a una nuova terribile guerra.
Ecco allora che l’esaltazione degli Asburgo e la nostalgia per l’Impero e i
suoi fasti diventa tema centrale di molte delle sue opere successive. Un’altra
importante svolta nella sua vita si ha nel 1928, anno in cui sua moglie viene ricoverata in una casa
di cura per una grave malattia mentale: Roth non riesce a darsi pace e,
sentendosi in qualche modo colpevole, si
getta tra le braccia dell’alcol, compagno che non lo abbandonerà più.
Nel 1933, all’ascesa al potere di Hitler, Roth lascia
la Germania ed emigra definitivamente a Parigi.
Qui continua la sua opera letteraria, concedendosi anche vari viaggi all’estero
e, dopo aver divorziato dalla moglie
nel 1935, numerose relazioni per lo più di breve durata, anche a causa della
sua gelosia quasi patologica.
Dal 1937 in poi, però, la sua precaria
situazione economica precipitò rapidamente finché, il 23 maggio 1939, fu ricoverato all’ospizio per i poveri
dove morì pochi giorni dopo (27 maggio 1939) per un attacco di polmonite (così come riportato
dalla quasi totalità delle fonti italiane e straniere, con l’eccezione
dell’Enciclopedia Treccani che curiosamente lo dà suicida).
Poco noto fuori dall’ambito linguistico tedesco nella
sua opera omnia, in Italia ha comunque acquisito una certa notorietà negli
scorsi decenni grazie ad alcuni suoi romanzi (come ad esempio La
Marcia di Radetsky e La Cripta dei Cappuccini) e
ad alcuni racconti, tra cui appunto La Leggenda del Santo Bevitore,
da cui Ermano Olmi nel 1988 ha tratto un film pluripremiato (con Rudger Hauer –
grande attore secondo me amplissimamente sottovalutato – come protagonista).
Il racconto
Veniamo adesso al nostro racconto che, vi dico subito,
anche a prendersela comoda si legge
in un’oretta scarsa. Per non rovinarvi il piacere della sua lettura ho
deciso di non raccontarvi granché della trama, limitandomi a qualche accenno
necessario per dare un senso alle considerazioni successive. Andreas Kartak, ex minatore di origini polacche dedito
all’alcol e alla miseria, riceve
un giorno in dono da uno sconosciuto duecento franchi. Uomo povero ma
con il senso dell’onore, si impegna a restituirli quanto prima, ma il
misterioso benefattore lo prega di restituirli, se proprio vuole farlo, a Santa
Teresa di Lisieux presso la chiesa della Batignolles, consegnandoli al prete la
domenica dopo la messa. Il dono inaspettato porta Andreas a riassaporare brandelli della sua vita
passata, a causa dei quali si trova a spendere gran parte del denaro
che possiede. Nonostante da quel momento in poi dei sempre nuovi miracoli
lo riforniscano di denaro, non riesce mai ad averne in tasca a
sufficienza per saldare il suo debito finché, una domenica, egli crede di
riconoscere in una bambina la santa. Andreas prova allora a offrirle i duecento
franchi ma questa rifiuta ed anzi gliene dà altri cento; a questo punto lui si
accascia a terra e, poco dopo, muore.
In questo racconto Roth ci presenta il mondo dal punto di vista dei derelitti e
dei bevitori a lui ben noto. Il suo stile chiaro e diretto, sicuramente influenzato anche dalla
sua esperienza di giornalista, gli consente comunque, in poche pagine, di
descrivere compiutamente ed efficacemente sia le vicende narrate che lo sfondo
su cui esse si collocano. Anche il carattere e i meccanismi mentali di Andreas,
seppur appena tratteggiati, riescono pienamente plausibili e comprensibili
nella loro logica al lettore, e ciò pur usando solo poche frasi, in certi casi
solo poche parole, all’apparenza assolutamente banali.
Come già accennato, Roth si dimostra ancora una volta
scrittore e osservatore insieme, così che la realtà che descrive non è frutto
di rielaborazione fantastica e non vene piegata
a favore della storia: al contrario, essa è uno spaccato fedele della Parigi del 1939. Roth infatti
inserisce in maniera del tutto naturale elementi a lui assolutamente
contemporanei nella trama del racconto: ad esempio ci parla dell’euforia dei
parigini per il calcio e della notorietà guadagnata dai calciatori anche
stranieri ospiti della città (il mondiale del 1938 – peraltro vinto dall’Italia
di Pozzo – si era disputato proprio in Francia); Andreas, rifornito di denaro,
si concede numerosissime soste nei vari bistrò dove passa il tempo sorseggiando
Pernod, un liquore ancora
oggi in commercio, anche se non proprio identico a quello di allora, che si
beve allungato con acqua (acqua che nel bicchiere di Andreas diminuisce
inesorabilmente ad ogni nuova ordinazione) e la cui versione “forte” (45°) fu lanciata solo nel 1938 a seguito
dell’abolizione delle leggi proibizionistiche fino ad allora in vigore; e così
via. Tutte cose che Roth aveva conosciuto e sperimentato di persona, certo, ma
che non si fa scrupolo di raccontarci
senza fronzoli o abbellimenti e senza indulgere nell’autocommiserazione.
Ed è altrettanto sintomatica la fine del racconto quando, di fronte alla morte
del protagonista, Roth non può che concludere intervenendo direttamente nel
racconto con un augurio che è il sunto della consapevolezza della sua
situazione: «Conceda Dio a tutti noi, a noi bevitori, una morte così lieve e
bella!».
Vi invito quindi a cercare e leggere questo breve
testo, che tanto ha impressionato e ispirato scrittori e artisti nel corso
degli anni, e a scoprire questo autore fuori dagli schemi che, commentando uno
schizzo fatto nel novembre del 1928 da Mies Blomsma che lo ritraeva con il fido
Pernod, così si definiva: «Ecco quel che sono veramente: cattivo,
sbronzo, ma in gamba».
Che altro dire? Sembra un interessante spaccato della società di quei
tempi e pieno di spunti interessanti.
Vi ricordo che quasi tutti post precedenti di questa rubrica sono
finiti in un bellissimo ebook che potete scaricare
gratuitamente da varie piattaforme (al link maggiori informazioni).
Oppure li potete trovare sul blog, cliccando sulla rubrica La
biblioteca dimenticata - rubrica di Davide Rigonat, dove trovate anche quello non incluso nell'ebook (perché uscito successivamente):
Ancora un grande grazie a Davide per i suoi bellissimi contributi! Alla
prossima!
Note: La foto
usata come sfondo del banner è da attribuire a Luciano Caputo
(vedi CC nel link).
Hanno parlato di questo articolo:
Hanno parlato di questo articolo:
- "Il Golem" di Gustav Meyrink: incontrare il proprio doppio per superare se stessi
- "Quer pasticciaccio brutto de via Merulana" di Carlo Emilio Gadda: un romanzo corale in lingua gaddiana
- "Ernesto" di Umberto Saba: la storia di Ernesto o di Umberto Saba?
- "Middlemarch" di George Eliot: storie di aspirazioni e frustrazioni
- "La biblioteca dimenticata - Due anni di recensioni sparse" di Davide Rigonat - ebook gratuito
Sono rimasto al film di Olmi, ma l'ho visto così tanto tempo fa che quasi quasi potrei prendere il libro e leggerlo come fosse una storia nuova e mai sentita.
RispondiEliminaSono felice che il post di Davide ti abbia dato questo spunto!
EliminaLessi questo libro anni e anni fa. Ricordo che mi colpì profondamente. Umanità dolente che si scava l'inferno con le proprie mani fino ad una sorta di rinascita che avviene proprio con la morte.
RispondiEliminaStupendo!
Sono felice che ti sia piaciuto così tanto!
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