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lunedì 9 novembre 2015

"La leggenda del santo bevitore" di Joseph Roth: duecento franchi da restituire e tanto Pernod

Oggi sono qui per presentarvi un nuovo post di La biblioteca dimenticata, rubrica fissa sul mio blog curata da Davide Rigonat, il blogger che gestisce La casa della nebbia e l'autore di La nebbia e altri racconti.

Oggi ci parlerà di La leggenda del santo bevitore di Joseph Roth.

Come sempre lo ringrazio di cuore e gli lascio la parola così che vi possa raccontare tutto ciò che c'è da sapere su questo libro!

La leggenda del santo bevitore di Joseph Roth

Cari amici,
questa volta voglio parlarvi di un racconto scritto da Joseph Roth nel 1939: La Leggenda del Santo Bevitore. Ho scelto questa breve opera (che peraltro mi risulta essere la più conosciuta in Italia) piuttosto che qualche suo romanzo perché mi è sempre piaciuta molto e perché, a mio avviso, è paradigmatica del modus scribendi di Roth oltre che, sotto molti aspetti, autobiografica.


L'autore
Joseph Roth nasce il 2 settembre 1894 a Brody, cittadina attualmente in Ucraina ma allora facente parte dell’Impero Austro-Ungarico da una famiglia di fede ebraica. Affidato alle cure della madre dopo che il padre, commerciante di cereali, fu improvvisamente internato in un centro di malattie mentali prima e affidato ai parenti poi, frequentò la scuola commerciale e il ginnasio nella città natale, dopodiché si spostò a Vienna per frequentare l’Università in un ambiente più legato alla letteratura tedesca. Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, dopo un primo periodo in cui aderì a posizioni pacifiste, si arruolò volontario per un anno, al termine del quale fu inviato nella zona di Leopoli a seguito del servizio stampa. Roth aveva infatti già cominciato a collaborare da tempo con varie testate giornalistiche, iniziando quell’attività di giornalista che poi portò avanti con successo per molti anni e che gli fornì i mezzi per sostenere sé e la sua famiglia (si era sposato nel 1922 con Friederike Reichler). In veste di giornalista fu inviato in molti paesi stranieri, tra cui la Francia, la Russia, Italia e così via.

Con l’affermarsi del nazismo in Germania, Roth cambiò posizione nei confronti della monarchia e della religione, ritenendoli gli unici due elementi capaci di fermare Hitler e i suoi folli propositi. È infatti con incredibile lucidità e lungimiranza che Roth capisce che le politiche naziste non potranno che portare a una nuova terribile guerra. Ecco allora che l’esaltazione degli Asburgo e la nostalgia per l’Impero e i suoi fasti diventa tema centrale di molte delle sue opere successive. Un’altra importante svolta nella sua vita si ha nel 1928, anno in cui sua moglie viene ricoverata in una casa di cura per una grave malattia mentale: Roth non riesce a darsi pace e, sentendosi in qualche modo colpevole, si getta tra le braccia dell’alcol, compagno che non lo abbandonerà più.



Nel 1933, all’ascesa al potere di Hitler, Roth lascia la Germania ed emigra definitivamente a Parigi. Qui continua la sua opera letteraria, concedendosi anche vari viaggi all’estero e, dopo aver divorziato dalla moglie nel 1935, numerose relazioni per lo più di breve durata, anche a causa della sua gelosia quasi patologica. Dal 1937 in poi, però, la sua precaria situazione economica precipitò rapidamente finché, il 23 maggio 1939, fu ricoverato all’ospizio per i poveri dove morì pochi giorni dopo (27 maggio 1939) per un attacco di polmonite (così come riportato dalla quasi totalità delle fonti italiane e straniere, con l’eccezione dell’Enciclopedia Treccani che curiosamente lo dà suicida).

Poco noto fuori dall’ambito linguistico tedesco nella sua opera omnia, in Italia ha comunque acquisito una certa notorietà negli scorsi decenni grazie ad alcuni suoi romanzi (come ad esempio La Marcia di Radetsky e La Cripta dei Cappuccini) e ad alcuni racconti, tra cui appunto La Leggenda del Santo Bevitore, da cui Ermano Olmi nel 1988 ha tratto un film pluripremiato (con Rudger Hauer – grande attore secondo me amplissimamente sottovalutato – come protagonista).






Il racconto
Veniamo adesso al nostro racconto che, vi dico subito, anche a prendersela comoda si legge in un’oretta scarsa. Per non rovinarvi il piacere della sua lettura ho deciso di non raccontarvi granché della trama, limitandomi a qualche accenno necessario per dare un senso alle considerazioni successive. Andreas Kartak, ex minatore di origini polacche dedito all’alcol e alla miseria, riceve un giorno in dono da uno sconosciuto duecento franchi. Uomo povero ma con il senso dell’onore, si impegna a restituirli quanto prima, ma il misterioso benefattore lo prega di restituirli, se proprio vuole farlo, a Santa Teresa di Lisieux presso la chiesa della Batignolles, consegnandoli al prete la domenica dopo la messa. Il dono inaspettato porta Andreas a riassaporare brandelli della sua vita passata, a causa dei quali si trova a spendere gran parte del denaro che possiede. Nonostante da quel momento in poi dei sempre nuovi miracoli lo riforniscano di denaro, non riesce mai ad averne in tasca a sufficienza per saldare il suo debito finché, una domenica, egli crede di riconoscere in una bambina la santa. Andreas prova allora a offrirle i duecento franchi ma questa rifiuta ed anzi gliene dà altri cento; a questo punto lui si accascia a terra e, poco dopo, muore.

In questo racconto Roth ci presenta il mondo dal punto di vista dei derelitti e dei bevitori a lui ben noto. Il suo stile chiaro e diretto, sicuramente influenzato anche dalla sua esperienza di giornalista, gli consente comunque, in poche pagine, di descrivere compiutamente ed efficacemente sia le vicende narrate che lo sfondo su cui esse si collocano. Anche il carattere e i meccanismi mentali di Andreas, seppur appena tratteggiati, riescono pienamente plausibili e comprensibili nella loro logica al lettore, e ciò pur usando solo poche frasi, in certi casi solo poche parole, all’apparenza assolutamente banali.

Come già accennato, Roth si dimostra ancora una volta scrittore e osservatore insieme, così che la realtà che descrive non è frutto di rielaborazione fantastica e non vene piegata a favore della storia: al contrario, essa è uno spaccato fedele della Parigi del 1939. Roth infatti inserisce in maniera del tutto naturale elementi a lui assolutamente contemporanei nella trama del racconto: ad esempio ci parla dell’euforia dei parigini per il calcio e della notorietà guadagnata dai calciatori anche stranieri ospiti della città (il mondiale del 1938 – peraltro vinto dall’Italia di Pozzo – si era disputato proprio in Francia); Andreas, rifornito di denaro, si concede numerosissime soste nei vari bistrò dove passa il tempo sorseggiando Pernod, un liquore ancora oggi in commercio, anche se non proprio identico a quello di allora, che si beve allungato con acqua (acqua che nel bicchiere di Andreas diminuisce inesorabilmente ad ogni nuova ordinazione) e la cui versione “forte” (45°) fu lanciata solo nel 1938 a seguito dell’abolizione delle leggi proibizionistiche fino ad allora in vigore; e così via. Tutte cose che Roth aveva conosciuto e sperimentato di persona, certo, ma che non si fa scrupolo di raccontarci senza fronzoli o abbellimenti e senza indulgere nell’autocommiserazione. Ed è altrettanto sintomatica la fine del racconto quando, di fronte alla morte del protagonista, Roth non può che concludere intervenendo direttamente nel racconto con un augurio che è il sunto della consapevolezza della sua situazione: «Conceda Dio a tutti noi, a noi bevitori, una morte così lieve e bella!».

Vi invito quindi a cercare e leggere questo breve testo, che tanto ha impressionato e ispirato scrittori e artisti nel corso degli anni, e a scoprire questo autore fuori dagli schemi che, commentando uno schizzo fatto nel novembre del 1928 da Mies Blomsma che lo ritraeva con il fido Pernod, così si definiva: «Ecco quel che sono veramente: cattivo, sbronzo, ma in gamba».


Che altro dire? Sembra un interessante spaccato della società di quei tempi e pieno di spunti interessanti.
Vi ricordo che quasi tutti post precedenti di questa rubrica sono finiti in un bellissimo ebook che potete scaricare gratuitamente da varie piattaforme (al link maggiori informazioni).
Oppure li potete trovare sul blog, cliccando sulla rubrica La biblioteca dimenticata - rubrica di Davide Rigonat, dove trovate anche quello non incluso nell'ebook (perché uscito successivamente):


Ancora un grande grazie a Davide per i suoi bellissimi contributi! Alla prossima!




4 commenti:

  1. Sono rimasto al film di Olmi, ma l'ho visto così tanto tempo fa che quasi quasi potrei prendere il libro e leggerlo come fosse una storia nuova e mai sentita.

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    1. Sono felice che il post di Davide ti abbia dato questo spunto!

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  2. Lessi questo libro anni e anni fa. Ricordo che mi colpì profondamente. Umanità dolente che si scava l'inferno con le proprie mani fino ad una sorta di rinascita che avviene proprio con la morte.
    Stupendo!

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