Oggi sono qui per presentarvi un nuovo post di La
biblioteca dimenticata, rubrica fissa sul mio blog curata da
Davide Rigonat, il blogger
che gestisce La casa della
nebbia e l'autore di La nebbia e altri racconti.
Oggi ci parlerà di Ernesto
di Umberto Saba.
Lo ringrazio e gli lascio subito la parola così che possa raccontarci
qualcosa di questo libro!
Ernesto di Umberto
Saba
Cari amici,
in questo nuovo appuntamento con La Biblioteca Dimenticata ho pensato di parlarvi di un romanzo il
cui autore è (o dovrebbe essere) noto
a tutti in veste di poeta, forse meno in veste di narratore: faremo
quindi due chiacchiere su Ernesto, dell’italianissimo Umberto Saba.
L'autore
Sull’autore solo pochi cenni, anche perché più o meno
tutti dovremmo averlo studiato a scuola.
Umberto Poli
(vero nome di Saba) nacque a Trieste il 9 marzo 1883. A seguito
dell’abbandono della famiglia
da parte del padre, avvenuta
ancora prima della sua nascita, Saba crebbe in una famiglia matriarcale, le cui figure principali furono la madre, appartenente alla
minoranza ebrea e fortemente conservatrice e legata agli ambienti dei piccoli
commercianti, la zia ricca con la quale vivevano e
che di fatto li manteneva e Giuseppina
(Peppa) Sabaz, la balia slovena e cattolica a cui fu affidato fino ai
tre anni. Scelse lo pseudonimo
di Saba (pane, in ebraico) per non dover usare il cognome del padre.
Studiò dapprima al Ginnasio, che lasciò in quarta classe in seguito ad una
bocciatura in greco. Frequentò poi per qualche mese l'Imperial Regia Accademia di Commercio e Nautica, dopo di ché
(e dopo una breve parentesi come mozzo su di una nave commerciale) finì, per
volontà e intercessione della madre, apprendista impiegato in una società
commerciale triestina. Ai nostri fini vale ricordare che Saba studiò per un
certo periodo anche il violino
e scrisse vari articoli per un
giornale locale di tendenze socialiste, Il Lavoratore.
Capirete fra poco perché ho scelto di essere più
preciso riguardo agli avvenimenti collegati ai primi vent’anni della vita del
poeta, mentre andrò molto più veloce su quasi tutti i fatti successivi.
Saba frequentò brevemente l’università di Pisa e poi
quella di Firenze, prima di partire militare
per Salerno (pur essendo nato a Trieste, allora sotto l’Impero Austro-Ungarico,
aveva la cittadinanza italiana). In questo periodo scrisse le sue prime poesie e si sposò con l Carolina Woelfler,
la Lina dei suoi poemi. Di parte
interventista, durante la prima guerra mondiale fu richiamato alle armi, senza
però andare mai al fronte.
Negli stessi anni cominciarono ad acuirsi i problemi di nevrastenia che lo porteranno ad avvicinarsi alla psicologia e a sottoporsi alle cure di vari specialisti, tra cui il dott. Weiss, discepolo di Freud e medico di Italo Svevo. Tornato a Trieste, grazie all’aiuto economico della zia, comprò una piccola libreria antiquaria, la Libreria Antica e Moderna (esistente ancora adesso), che tanta parte ebbe a favorire la stesura di molte delle poesia di Saba. In occasione dell’emanazione delle leggi razziali e della seconda guerra mondiale, Saba dovette lasciare la città e la libreria, ceduta al fedele commesso Carlo Cerne. Terminata la guerra rientrò in città, ormai malato e stanco. Cominciarono allora a fioccare i riconoscimenti e i premi per la sua opera poetica (di cui non ho parlato volutamente), tanto che ricevette anche una laurea honoris causa. Nello stesso periodo si convertì al cattolicesimo e si fece battezzare. L’aggravarsi della sua condizione nervosa lo porterà infine a ricoverarsi in una casa di cura di Gorizia, da cui uscirà solo in occasione del funerale della moglie ed in cui morirà il 25 agosto 1957.
Negli stessi anni cominciarono ad acuirsi i problemi di nevrastenia che lo porteranno ad avvicinarsi alla psicologia e a sottoporsi alle cure di vari specialisti, tra cui il dott. Weiss, discepolo di Freud e medico di Italo Svevo. Tornato a Trieste, grazie all’aiuto economico della zia, comprò una piccola libreria antiquaria, la Libreria Antica e Moderna (esistente ancora adesso), che tanta parte ebbe a favorire la stesura di molte delle poesia di Saba. In occasione dell’emanazione delle leggi razziali e della seconda guerra mondiale, Saba dovette lasciare la città e la libreria, ceduta al fedele commesso Carlo Cerne. Terminata la guerra rientrò in città, ormai malato e stanco. Cominciarono allora a fioccare i riconoscimenti e i premi per la sua opera poetica (di cui non ho parlato volutamente), tanto che ricevette anche una laurea honoris causa. Nello stesso periodo si convertì al cattolicesimo e si fece battezzare. L’aggravarsi della sua condizione nervosa lo porterà infine a ricoverarsi in una casa di cura di Gorizia, da cui uscirà solo in occasione del funerale della moglie ed in cui morirà il 25 agosto 1957.
L'opera
Passiamo adesso al nostro caro Ernesto: scritto
nel 1953 durante una pausa
dalle crisi nervose che affliggevano Saba, si sviluppa in cinque episodi e una quasi conclusione (posta tra
il quarto e il quinto episodio) - oltre ad una lettera indirizzata dal
protagonista a Tullio Mogno (un professore in contatto epistolare con Saba)
aggiunta in appendice nell’edizione del 1995 -, fu pubblicato postumo solo nel
1975. Esso fu lasciato (volutamente?)
incompleto e ci narra le esperienze
che il protagonista sedicenne ebbe a sperimentare nel corso di poco più di un
mese del 1898, a Trieste.
Della trama cercherò di raccontarvi il meno possibile,
limitandomi a elencarvi gli episodi principali:
- il primo episodio ci presenta la scoperta, da parte di Ernesto, dell’amore omosessuale per il tramite di un lavoratore avventizio della società in cui lavora e del quale non viene mai nominato il nome;
- nel secondo si parla invece della malattia del protagonista e della sua decisione di interrompere i rapporti con l’uomo;
- nel terzo si affronta l’uscita dall’adolescenza di Ernesto simboleggiata dal taglio a tradimento della barba da parte del suo barbiere e della scoperta dell’amore eterosessuale;
- nel quarto ci viene meglio descritto l’ambiente storico-sociale in cui si svolgono le vicende e vengono approfondite varie tematiche relative all’animo di Ernesto, prima solo accennate o suggerite, fino alla salvifica confessione alla madre che, inaspettatamente, capisce e perdona il figlio;
- nella quasi conclusione il poeta fa il punto della situazione (potremmo dire) e ci avverte che il romanzo probabilmente non avrà seguito;
- nel quinto e ultimo episodio troviamo Ernesto al concerto di un noto violinista, durante il quale incontra Emilio, detto Ilio, un ragazzo dal quale si sente esteticamente attratto e con il quale intesserà un forte rapporto di amicizia: quasi una rappresentazione allegorica dell’iniziazione estetica e poetica del protagonista e dell’autore.
Sulla lettera finale, una sorta di rivisitazione consapevole dell’intera
storia scritta da Ernesto stesso, non vi dico volutamente niente, anche
perché è davvero interessante leggere come Ernesto analizzi e parli del testo
di Saba.
Per la stesura di questo romanzo Saba decise di attingere a piene mani alla
sua esperienza personale e alle dinamiche psicologiche che lui stesso
aveva sperimentato:
- il padre di Ernesto che aveva divorziato dalla madre prima della sua nascita;
- la madre segretamente affettuosa ma severa e distante,
- la zia ricca,
- la balia,
- il Ginnasio,
- la scuola Commerciale,
- il lavoro di impiegato in un’impresa commerciale cittadina,
- le tendenze socialiste,
- Il Lavoratore,
- lo studio del violino,
- i sogni,
- la Trieste di fine secolo,
- ...
In un certo senso, gli è bastato aggiungerci pochi
episodi originali per riuscire a creare un’opera originale e di grande impatto.
I personaggi di Saba, spesso resi con pochi tratti fisici, sono sempre ben definiti dal punto di vista psicologico, anche se a
volte l’autore riesce a mostrare senza dire esplicitamente, lasciando cioè
lavorare la mente e l’immaginazione del lettore (e in questo è, a mio avviso,
molto bravo). L’autore ci dipinge situazioni
senza tempo, ma immerse nella peculiare cornice della Trieste di fine
secolo, così piena di colori e di
elementi irripetibili, in quel caleidoscopio di razze, etnie e religioni che
caratterizzano la città friulana dall’epoca del suo sviluppo sotto il regno di
Maria Teresa d’Austria. Incontriamo così Ernesto, l’uomo, la Tanda, la signora
Celestina (la madre di Ernesto) e così via: ognun con le sue particolarità e il
suo vissuto. E come dimenticare, ad esempio, il signor Wilder, il burbero titolare della ditta dov’è
impiegato Ernesto, ebreo ungherese dall’italiano impacciato e innamorato della Cermania che finirà, ottantenne, in un
forno crematorio in quanto pericolosa minaccia alla gloria del Terzo Reich?
Dal punto di
vista linguistico, Saba decide di affiancare all’italiano, usato nelle
parti narrative, il dialetto triestino, utilizzato
da molti personaggi nei dialoghi diretti. Quello usato è però un dialetto semplificato nella forma e
nell’ortografia, tanto che a fianco delle parole più lontane dal
corrispondente italiano l’autore riporta
tra parentesi la loro traduzione. È questa una scelta ben precisa,
voluta dall’autore per rendere
universalmente comprensibile il racconto pur senza rinunciare al colore della sua città. Una scelta
ben diversa, quindi, da quella operata ad esempio da Gadda che, per rendere
ancora più veri i propri personaggi e
le proprie storie le infarciva di espressioni tipiche dei dialetti più stretti.
Le parole scelte sono sempre semplici e dirette; le frasi prive di orpelli così
come le sue poesie. Saba inserisce poi nel testo numerosi suoi interventi,
quasi un commento e un
compendio al testo a uso del lettore: chiarimenti, confronti con il futuro
(della storia) o con il (suo) presente, informazioni sul destino di questo o
quel personaggio, considerazioni psicologiche, ecc. Il tutto in un connubio
originale e mai stancante o banale.
Forte delle sue
nevrosi e dell’esperienza psicoanalitica accumulata, Saba intesse un racconto
all’apparenza facile, in cui
all’apparenza Ernesto compie scelte anche importanti sull’onda del momento o di
qualche emozione momentanea, ma che in realtà si fonda su profondi processi psicologici che, generati da traumi del
passato e del presente, si sono annidati nell’animo del giovane e sono in continuo
lavorio. Con il suo stile semplice e
lineare, Saba ci lascia dapprima solo intuire le cause di tali scelte mediante
accenni sparsi nel testo, fino a elencarceli parzialmente negli episodi finali
in alcune delle sue incursioni nel tessuto narrativo. La curiosità
adolescenziale, la mancanza del padre, il bisogno di essere amato, il rapporto
difficile con la madre, e così via sono i fantasmi
che scavano nell’animo del giovane Ernesto/Saba e lo portano a
determinati comportamenti nei confronti della madre, del datore di lavoro, del
mondo che lo circonda.
In conclusione (che, mi sa, anche questa volta mi sono
dilungato ben oltre il limite che mi ero mentalmente imposto), non posso che
consigliarvi questo testo magari poco noto ma molto interessante, che ci
permette di apprezzare la prosa vista dagli occhi di un poeta di prima
grandezza nel panorama del secolo scorso.
Buona lettura e… alla prossima!
Io non ricordavo proprio che Saba avesse scritto anche narrativa! E
tutto quello che ha raccontato Davide mi ha incuriosita parecchio. Voi che ne
dite?
Vi ricordo che quasi tutti post precedenti di questa rubrica sono
finiti in un bellissimo ebook che potete scaricare
gratuitamente da varie piattaforme (al link maggiori informazioni).
Oppure li potete trovare sul blog, cliccando sulla rubrica La
biblioteca dimenticata - rubrica di Davide Rigonat, dove trovate anche quelli non inclusi nell'ebook (perché usciti
successivamente):
- "Le diaboliche" di Jules-Amédée Barbey d’Aurevilly: donne davvero crudeli?
- "La leggenda del santo bevitore" di Joseph Roth: duecento franchi da restituire e tanto Pernod
- "Il Golem" di Gustav Meyrink: incontrare il proprio doppio per superare se stessi
- "Quer pasticciaccio brutto de via Merulana" di Carlo Emilio Gadda
Ancora un grande grazie a Davide per i suoi bellissimi contributi! Vi
aspettiamo per il prossimo appuntamento con questa rubrica tra un mese esatto!
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