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mercoledì 9 marzo 2016

"Middlemarch" di George Eliot: storie di aspirazioni e frustrazioni

Oggi sono qui per presentarvi un nuovo post di La biblioteca dimenticata, rubrica fissa sul mio blog curata da Davide Rigonat, il blogger che gestisce La casa della nebbia e l'autore di La nebbia e altri racconti.

Oggi ci parlerà di Middlemarch di George Eliot.

Lo ringrazio e gli lascio subito la parola così che possa raccontarci qualcosa di questo libro!

Middlemarch di George Eliot

Cari amici,
eccoci arrivati alla ventiquattresima puntata de La Biblioteca Dimenticata: due anni! Per festeggiare degnamente questo appuntamento ho deciso di parlarvi di un capolavoro assoluto che spero molti di voi conoscano già: sto parlando di Middlemarch di George Eliot, da molti (me compreso) considerato il più importante autore (anzi, autrice) inglese del periodo vittoriano.


L'autrice
Al solito, due parole sull’autore (ma solo due, che in rete si trovano facilmente numerosissime e dettagliatissime sue biografie, specie in lingua inglese).
Mary Ann Evans (vero nome di George Eliot) nacque ad Aubury Farm il 22 novembre 1819. Frequentò insieme alle sorelle delle scuole a indirizzo calviniste che inculcarono in lei una visione intransigente nei confronti della mondanità: questa sua visione del mondo, da lei vissuta con serenità, rimase cristallizzata fino al 1839. Mary Ann aveva dovuto lasciare la scuola a quindici anni per assistere prima la madre malata e, dopo la sua morte, il padre. Nel 1839 ricevette la visita di un zia metodista che, inconsapevolmente, riuscì a scandalizzarla affermando che un prete di sua conoscenza, da poco spirato, sarebbe sicuramente stato accolto in paradiso nonostante negli ultimi anni della sua vita e della sua malattia aveva cominciato a intrattenersi troppo con la bottiglia. Questo episodio le rimase impresso e diede il La a nuove riflessioni. Nel 1849, a trent’anni, cominciò per la Evans una nuova vita. Morto il padre, si rese conto di potersi dedicare a sé stessa: decise quindi di partire per l’Europa che la terrà lontana dall’Inghilterra fino al 1850. Nello stesso anno conobbe l’editore Chapman e il filosofo Spencer, con entrambi dei quali sembra abbia vissuto storie d’amore. Nel 1851 conobbe George H. Lewes, del quale pian piano si innamorò, ricambiata. Nonostante Lewes fosse sposato con tre figli, i due decisero, nel 1953, di andare a convivere. A poco valse il fatto che il matrimonio di Lewes fosse di fatto finito da tempo a causa dei tradimenti della moglie: lo scandalo fu enorme. Scelsero quindi la soluzione del viaggio all’estero. Rientrarono in patria due anni dopo, nel 1855 e si stabilirono a Richmond. Nel 1856 Mary Ann decise di dedicarsi alla letteratura e scrisse la sua prima opera in prosa: Amos Barton. Da questo momento in poi non smise più di scrivere. Nel 1858, poi, decise di adottare lo pseudonimo di George Eliot, controfigura che non la abbandonerà più. Fino al 1878 scriverà un capolavoro dopo l’altro (Adam Bede, Il mulino sulla Floss, Romola, ecc.). Il più noto e, a mio avviso, di gran lunga il migliore è proprio Middlemarch, sua penultima fatica. Il grande successo che subito riscossero in patria i suoi romanzi placarono ben presto le sirene dello scandalo e consentirono alla coppia di riprendere il loro posto nella buona società inglese. Nel 1878 Lewes morì. Mary Ann lo seguì due anni dopo, il 22 dicembre 1880, non prima però di essersi sposata, nello stesso anno, con  J. W. Cross, di ben ventun anni più giovane di lei: secondo alcuni critici un tentativo in extremis di rientrare nei canoni della normalità sociale.

L'opera
Passiamo ora al libro vero e proprio, sottotitolato Uno studio di vita provinciale, Middlemarch fu scritto tra il 1869 e il 1870 e fu poi pubblicato in volumi tra il 1871 e il 1872. Nel 1874 fu infine riunito in volume.
Della trama non vi dirò niente di specifico e questo per un motivo ben preciso: Middlemarch è un romanzo corale che raccoglie e ci narra le storie di vari personaggi e dei loro rapporti reciproci. George Eliot intesse una complessa ragnatela di rapporti e situazioni che ci consente di penetrare nel cuore di Middlemarch, un palcoscenico su cui si intrecciano diversi piani narrativi a darci un quadro preciso e realistico della società e dei sentimenti del tempo. Lo stesso significato del nome scelto per il paese attorno a cui ruotano le vicende è in questo senso significativo: un luogo posto a cavallo di più contee, di più correnti di pensiero, di due diverse visioni del mondo, del passato e del presente.

Possiamo anche dire che, sebbene il personaggio più emblematico sia Dorothea Brooke, non c’è un protagonista assoluto nel libro, e ciò sia in termini di spazio dedicato a ognuna delle figure principali e alle loro storie, sia in termini di cura e precisione narrativa dedicata a questa o a quella figura. Possono essere comunque individuate alcuni filoni principali, nei quali tuttavia si riescono a scorgere le medesime dinamiche di fondo, seppur mascherate da condizioni sociali, pensieri e dinamiche ogni volta diverse.
Innanzitutto c’è la storia di Dorothea, prototipo di donna nuova, anticonformista e letterariamente antiromantica dedita alla ricerca della conoscenza e dell’elevazione spirituale che sceglie, contrariamente alle aspettative di tutti, di sposare il reverendo Casaubon, personaggio noioso e ingessato nel passato, di trent’anni più vecchio di lei, in quanto spera di avere da lui dei nuovi stimoli e l’occasione di un’ulteriore crescita intellettuale.
Ci sono poi le storie del dottor Lydgate, brillante medico idealista e orgoglioso, che si fa sedurre dalla bellissima Rosamond Vincy per poi rovinarsi accumulando debiti su debiti, e di Mary Garth che decide di respingere Fred, il fratello di Rosamond, fino a quando questi non si dimostrerà serio e in grado di mantenerla onestamente.
C’è poi la storia del banchiere Bulstrode e del suo sordido e misterioso passato… e così via.
Di Will Ladislaw e del suo rapporto con i vari personaggi (Dorothea e Casaubon in primis) non vi dico nulla apposta: un po’ di curiosità dovrò lasciarvela, no?

Elemento unificante di tutta la narrazione è la dinamica interiore dei personaggi: tutti loro, con la sola eccezione di Mary Garth, hanno grandi aspirazioni, sogni e desideri da perseguire. Nel tentativo di realizzarli si trovano però loro malgrado a fare delle scelte sbagliate, anche se riusciranno a rendersene conto solo a cose fatte. La frustrazione di queste aspettative dovuta alla scoperta dell’inadeguatezza rispetto ai propri sogni condurrà ognuno di loro alla delusione e, in un certo senso, all’abbandono dell’aspirazione individuale a favore di una conseguente ricollocazione all’interno di un disegno più generale e corale dove tutto, dal punto di vista delle dinamiche sociali e delle comuni aspettative, torna a quello che era lo status quo. Lo stato finale non comporta quindi un miglioramento della situazione iniziale, come avviene in altri romanzi dello stesso periodo o di poco precedenti, ma un ridimensionamento, quando non un vero e proprio peggioramento, accompagnato però dalla consapevolezza. Ecco allora che Dorothea dovrà accorgersi, già dalla luna di miele, della totale sterilità del suo rapporto con Casaubon, completamente dedito alla stesura della sua grande opera, La Chiave di tutte le Mitologie, che tanto la aveva affascinata quando lo aveva conosciuto. Il reverendo, d’altra parte, è tormentato dal senso di inadeguatezza e dal rendersi conto di aver sposato qualcuno potenzialmente in grado di giudicare lui e la sua opera, già vecchia e sorpassata dalla nuova società, figlia della ferrovia, prima ancora di essere stata data alle stampe. Lydgate scopre ben presto come l’interesse della moglie, abbagliata dalla possibilità di accedere per suo tramite all’alta società, si spenga rapidamente e come, per accontentarne i capricci, si ritrovi presto pieno di debiti. I suoi ideali dovranno perciò essere abbandonati, mentre il suo matrimonio diverrà ben presto infelice. Stessa sorte, come accennavo, tocca a molti altri personaggi. Eccezione è proprio Mary Garth, personaggio più vicino al modello romantico precedente, che riuscirà a coronare il proprio progetto di vita.

I personaggi sono quindi veri, reali, contemporanei e non fuori dal tempo: appartengono e rappresentano infatti tutte le classi sociali e culturali dell’epoca e sono partecipi dell’evoluzione dei tempi e delle idee e ne subiscono le conseguenze. E proprio gli eventi storici e sociali che fanno da sfondo al romanzo assumono un ruolo determinante nell’evoluzione delle vicende narrate, ed anzi le due cose finiscono per essere delle reciproche metafore. Il libro è infatti ambientato ai tempi dell’emanazione del Reform Bill (1832), atto di riforma del sistema sociale inglese richiesto a gran voce dalle nuove classi emergenti della borghesia imprenditoriale e dalle masse operaie generate dall’avvento della rivoluzione industriale. Nelle attese generali, questa grande riforma avrebbe dovuto cambiare radicalmente gli equilibri sociali preesistenti: dal periodo delle rivolte contadine e della nascita della ferrovia (evento che bruscamente creò una netta linea di demarcazione tra il passato e il futuro) erano nati grandi aspettative e desideri. La successiva riforma del 1867, precedente quindi alla data di stesura del racconto, aveva però di fatto vanificato quasi tutte le conquiste ottenute precedentemente e riportato ai posti di comando l’aristocrazia terriera, con grande e generale senso di delusione nel popolo. Riecco quindi lo schema aspirazione-delusione che caratterizza le storie principali del romanzo.

Mi rendo conto però che, pur non avendo ancora fatto altro che scalfire la complessità e l’intelligenza di Middlemarch, mi sono già dilungato più di quanto mi ero proposto di fare… Vi lascerò quindi il piacere di scoprire tutte le altre meraviglie che George Eliot ci ha regalato in questo libro che, vi assicuro, è anche scritto in maniera molto piacevole, grazie allo stile preciso e raffinato di quest’autrice.
Non posso che concludere consigliandovi assai vivamente di leggere questo capolavoro: quasi 900 pagine di pura letteratura!

P.S. – Come ricordavo all’inizio, la nostra Biblioteca Dimenticata ha compiuto due anni. Ciò vuol dire che è arrivato il momento di fare qualche bilancio e qualche considerazione… ma questo nella prossima puntata!


Davide è sempre bravissimo nel mostrare cosa c'è sotto la superficie dei libri, come se increspando un po' la superficie di un lago riuscisse a farci vedere il fondo…
Questo post e tutti gli altri sono stati un grande regalo per cui lo ringrazio ancora di più in occasione di questo secondo compleanno!

Vi ricordo che quasi tutti post precedenti di questa rubrica sono finiti in un bellissimo ebook che potete scaricare gratuitamente da varie piattaforme (al link maggiori informazioni).
Oppure li potete trovare sul blog, cliccando sulla rubrica La biblioteca dimenticata - rubrica di Davide Rigonat, dove trovate anche quelli non inclusi nell'ebook (perché usciti successivamente):


Ancora un grande grazie a Davide per i suoi bellissimi contributi! Vi aspettiamo tra un mese esatto con un post molto speciale!



Note: La foto usata come sfondo del banner è da attribuire a Luciano Caputo (vedi CC nel link).




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