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lunedì 7 luglio 2014

"Palomar" di Italo Calvino: un viaggio verso la saggezza

Oggi sono ancor più lieta del solito di presentarvi il quinto post di La biblioteca dimenticata, rubrica fissa sul mio blog curata Davide Rigonat, il blogger che gestisce La casa della nebbia. Tra poco capirete perché!

Nel suo primo post ci ha parlato di Dafni e Cloe di Longo Sofista, un importante romanzo greco, nel secondo ci ha parlato dei libri di Andre Norton al confine tra fantasy e fantascienza.
Poi è stato il turno di due post su Giorgio Saviane e i suoi libri, il secondo dei quali parlava della sua opera Il Papa.

Oggi però Davide ci parla di uno dei miei scrittori preferiti: Italo Calvino!
Sul blog io ne ho parlato spesso (per esempio, per il suo compleanno due volte, per l'opera Sulla fiaba, per un mio video su Se una notte d'inverno un viaggiatore e un'analisi, per I nostri antenati), ma non ho mai scritto un post su Palomar, il libro di cui oggi vi parla Davide, quindi lascio subito a lui la parola, ringraziandolo per il bel contenuto.


Ben trovati, cari lettori di libri dimenticati!
Oggi voglio parlarvi di un romanzo di un autore molto noto: Italo Calvino. Il libro che ho scelto è Palomar.

Palomar di Italo Calvino

Chi ama Calvino (e mi sembra siano in molti, vero Romina?) probabilmente lo conoscerà già, ma dalla mia esperienza personale ho notato che quasi tutti quelli che conosco non l'hanno letto, fermando la propria conoscenza degli scritti di Calvino ai soliti Marcovaldo e dintorni di scolastica memoria. Così ho deciso di proporvelo.


Prima di parlare di Palomar, lasciatemi spendere due parole introduttive su Calvino e la sua opera (veramente sintetiche, tanto noto è il personaggio). Per quanto riguarda la biografia pura, per questa volta mi permetto di rimandarvi direttamente a Wikipedia, dove trovate più o meno tutto (la sua storia dovrebbe essere abbastanza nota, se non altro per motivi scolastici).



Per quanto riguarda la mia posizione personale rispetto all'opera di Calvino, devo confessarvi che io non sono un suo grande fan. Se da un lato ne riconosco lo stile interessante, dall'altro sono spesso rimasto insoddisfatto dal punto di vista della trattazione delle tematiche e dell'originalità. Certo è possibile che questa mia sensazione sia in parte figlia di eventi fortuiti che mi hanno in qualche modo reso prevenuto verso Calvino. Per esempio, ricordo che Marcovaldo, a scuola, è stata forse la lettura che meno mi ha interessato. Quando poi decisi di leggere la trilogia de I nostri antenati, cominciai, con ordine, da Il visconte dimezzato. Nonostante tutte le interpretazioni in merito al ragionamento sulla necessità di equilibrio dell'animo umano che Calvino voleva trasmettere e così via, questo libro a me non è subito sembrato che una rivisitazione - e neanche tra le migliori - de Lo strano caso del dott. Jekill e del signor Hyde di Stevenson, peraltro molto telefonata, visto che già dopo poche pagine avevo intuito come sarebbe andata a finire. Questa lettura mi ha in parte guastato quella degli altri due capitoli della trilogia, peraltro meno scontati.
 
Ma allora, forse vi chiederete, perché proporre un libro di un autore che non apprezzo particolarmente? La risposta è semplice: Palomar è un libro diverso (e di fatto, assieme all'idea che sta dietro a Se una notte d'inverno un viaggiatore, una delle cose più interessanti concepite da Calvino). Esso è un libro intelligente nella struttura e nella costruzione. In esso Calvino crea un percorso logico in grado di guidare il lettore verso un progressivo approfondimento della riflessione e del ragionamento. Ma andiamo con ordine.

Questo romanzo parla delle avventure (o, meglio, speculazioni) intellettuali del signor Palomar. Già il nome del protagonista, dichiaratamente mutuato da quello del monte che ospita il noto radiotelescopio, ci fa capire come questi sia un osservatore. Un osservatore dell'uomo, della natura e del mondo. Sì, perché in tutto il libro il protagonista non fa che osservare e ragionare. Le sue interazioni con il resto della società (comprese sua moglie e sua figlia) sono pressoché nulle e si riducono all'emissione di qualche monosillabo. Palomar osserva ciò che lo circonda e cerca di capire, catalogare, interpretare, ma nessuno dei suoi ragionamenti giunge a buon fine, minato dal dubbio e dall'insicurezza. Dal punto di vista sociale, egli è sostanzialmente un disadattato, incapace di rapportarsi con gli altri in maniera normale a causa del persistente dubbio insito in sé circa la correttezza degli atteggiamenti da tenere, delle cose da dire e da non dire e delle conseguenze di queste. Le continue e spesso inconcludenti riflessioni (che, diciamocelo pure, in più occasioni sembrano quasi degli esempi di pippa mentale) costituiscono l'essenza stessa del protagonista. Non voglio qui raccontarvi il contenuto dei singoli racconti, alcuni dei quali molto interessanti, alcuni quasi fantozziani, altri piatti e, se non presi con il giusto spirito, noiosi. Preferisco invece parlarvi dell'organizzazione del libro.

Dal punto di vista della struttura, Palomar è un romanzo anomalo, nel senso che esso è composto da tre parti, a loro volta divise in tre parti, a loro volta divise in tre parti, per un totale di 27 racconti a sé stanti (ognuno di essi potrebbe infatti essere letto singolarmente, oppure tutti potrebbero essere letti in un ordine diverso da quello proposto dall'autore, perdendo però in questo caso il valore specifico della loro collocazione). Eppure esso non è una raccolta di racconti, ma un romanzo vero e proprio in cui la struttura è tutt'altro che casuale. Calvino utilizza una numerazione significativa dei capitoli utilizzando i numeri 1, 2 e 3, organizzati con lo stesso principio con cui oggi si organizzano ad esempio le relazioni tecniche: 1.1.1, 2.1.3, 3.1.3, ecc. I numeri non sono casuali. Ogni numero rappresenta un approfondimento maggiore rispetto al precedente:
  • Il numero 1 rappresenta un'esperienza esterna, spesso visiva o descrittiva.
  • Il numero 2 sposta l'osservazione più all'interno, sull'uomo, sul linguaggio, sui simboli e la loro interpretazione.
  • Il numero 3 caratterizza speculazioni meditative su temi più profondi, quali l'io, il mondo, la mente.

Questa divisione viene poi riproposta all'interno di ognuna delle tre parti ed ancora al livello inferiore. Ecco così che il capitolo 1.1.1 (Lettura di un'onda) è il più leggero: Palomar osserva delle onde e si pone delle domande sul loro numero, sulla loro forma e sulla loro origine. Alla fin fine, null'altro che una (per certi versi alienante) lunga e sostanzialmente inutile osservazione di un fenomeno naturale. Il capitolo 1.2.3 (Il prato infinito), pur nell'ambito delle osservazioni più esteriori e naturalistiche (quella di un filo d'erba), affronta tematiche più complesse, tanto che, una volta sfumato il suo tentativo di classificazione del sistema-prato a causa di un colpo di vento, Palomar comincia a pensare all'infinito. Ecco allora che, in questo schema narrativo, l'ultimo capitolo (3.3.3 - Come imparare ad essere morto) rappresenta il massimo livello di astrazione generale e metafisica del ragionamento del protagonista.

Con questo artificio, Calvino è riuscito a creare una sorta di romanzo a spirale che, come già detto, conduce il lettore attraverso piani di approfondimento e speculazione intellettuale via via crescenti, alla ricerca della verità e della saggezza, senza peraltro che essa possa essere raggiunta neanche dal protagonista, che alla fine deciderà di far finta di essere morto. Come ebbe a dire lo stesso Calvino, questo libro parla di un viaggio verso la saggezza, non del raggiungimento della stessa.

Che i singoli episodi possano piacere o meno (e, a dir la verità, a me erano piaciuti quasi tutti), la lettura di Palomar è senz'altro molto stimolante e intrigante. Mi sento perciò di consigliare a tutti di fare un piccolo sforzo e affrontare questo testo. Alla fine sono sicuro che ve ne resterà qualcosa di piacevole.

Un'ultima curiosità: molti critici hanno evidenziato una sorta di neanche troppo velata autobiograficità di questo che è l'ultima opera di Calvino. I luoghi che Palomar visita, la famiglia, la critica alle parole e l'elogio del silenzio, addirittura la miopia… tutti elementi comuni tra l'autore e il suo personaggio. Voi che ne pensate?

Alla prossima!


Un grazie a Davide che, pur non essendo un fan di Calvino, ha saputo parlare magistralmente di questo libro che, posso confessarlo?, nel mio caso è uno di quelli che ho amato meno dello scoiattolo della penna, pur avendo tantissimi pezzi davvero belli! Che dire? I gusti non si discutono mai!






Note: La foto usata come sfondo del banner è da attribuire a Luciano Caputo (vedi CC nel link).

2 commenti:

  1. Molto interessante come sempre. Mi ha incuriosito molto la suddivisione in capitoli, sottocapitoli e sottosottocapitoli.
    Devo dire di non aver letto molto di Calvino, alcuni estratti dalle sue opere più famose, ma in un certo qual modo gli sono legato: Ivano Landi infatti ha già notato delle affinità tra Il castello dei destini incrociati e Arcani, il mio prossimo libro, anche se in effetti, anche se il tema è lo stesso, la struttura è più simile all'Uomo illustrato di Bradbury.

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    1. Ho due collaboratori e uno non ama Calvino e uno ha letto poco di lui? Incredibile! Però è la dimostrazione che le collaborazioni funzionano anche (e forse soprattutto) quando si hanno interessanti e costruttive divergenze di opinione.

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