Gli accenti quando usarli e quanto no e un piccolo accenno sulla grammatica funzionale.
Qualche tempo fa ho incontrato uno scrittore esordiente su un forum che aveva dei grossi dubbi sull’uso degli accenti e mi ha chiesto se potevo scrivere una sorta di lezione sull’argomento. La mia prima reazione è stata: “Non è possibile! Si potrebbero fare tantissimi post sugli accenti!”. Poi, però, ho capito che una sorta di riassunto poteva essere interessante e utile e ho deciso di provare. Se qualcuno ha il coraggio e l’umiltà di chiedere una mano, non si può negargli tale aiuto (come invece suggerivano di fare altri utenti del forum…). Bene, ora comincio, sarà un post lungo ed è meglio non perdersi in altri indugi.
Tutte le parole sono accentate
Tutte le parole di una lingua sono accentate, presentano cioè un accento tonico che è il punto dove la voce “si appoggia”. In base a dove è presente l’accento tonico si distinguono vari tipi di parole:
- Tronche (o ossitone): parole accentate sull’ultima sillaba (es. città, perché, maestà, …)
- Piane (o parossitone): parole accentante sulla penultima sillaba (es. giornata, stanchezza, perdono, …)
- Sdrucciole (o proparossitone): parole accentate sulla terzultima sillaba (es. tavolo, …)
- Bisdrucciole: parole accentate sulla quartultima sillaba (es. fabbricano, …).
- [Trisdrucciole: parole accentate sulla quintultima sillaba (es. occupatene, ...).]
Anche se tutte le parole sono accentate, cioè dotate di accento tonico, in italiano tale accento viene normalmente omesso, tranne in alcune parole tronche. L’accento in italiano si mette dunque solo a fine parola, mentre negli altri casi è sottointeso (cosa che non avviene in altre lingue, per esempio il francese). La maggior parte delle parole italiane è piana.
A volte gli accenti interni alle parole sono inseriti quando una diversa accentazione distingue due parole, per esempio prìncipi (figli di re) e princìpi (presupposti iniziali), tali parole sono definite omografe perché hanno la stessa grafia, cioè si scrivono allo stesso modo. L’accento in questi casi non è obbligatorio e viene messo in genere quando la frase non è sufficientemente chiara e può generare dei fraintendimenti.
Tutto questo per arrivare a dire che ora mi occuperò solo delle parole tronche e dividerò quelle monosillabiche (composte da una sola sillaba) da quelle polisillabiche (composte da più sillabe).
Parole polisillabiche tronche
L’accento è obbligatorio sulle parole polisillabe tronche che terminano per vocale.
In questi casi l’accento è importantissimo per permettere la corretta pronuncia.
Che ne sarebbe di una città senza il suo accento sulla a? Probabilmente verrebbe letta come parola piana e dunque come cìtta e chi mai vorrebbe vivere in una cìtta?! Va beh, scherzi a parte, credo che qui non ci possano essere significativi dubbi.
Alcuni esempi: partirò, amerò, verrò, felicità, caffè, così, …
Parole monosillabiche
Tutte le parole monosillabiche, avendo un’unica sillaba sono necessariamente tronche.
Tutti i monosillabi che terminano con due vocali sono accentati [se l'accento cade sull'ultima vocale].
Per esempio: già, più, giù, può, …
Fanno eccezione qui e qua perché non si potrebbero leggere con accentazione diversa e la lingua tende sempre a omettere (e poi a vietare) tutto ciò che non è necessario.
Si arriva così al caso dolente: le parole monosillabiche che terminano con una sola vocale. La regola generale dice che i monosillabi si accentano solo quando ci possono essere delle ambiguità.
Pertanto i monosillabi con una sola vocale accentati sono pochissimi e ve li elenco qui, seguiti dalla forma non accentata con il suo significato.
Dà (terza persona singolare del presente indicativo del verbo dare). Es. Luca dà una mela a Gianni.
Da (preposizione semplice) Es. Tornando da scuola, Marta trovò un gattino abbandonato.
È (terza persona singolare del presente indicativo del verbo essere). Es. Mirko è davvero simpatico.
E (congiunzione). Es. Laura e Marco si amano da tempo.
Sé (pronome di terza persona). Es. Giovanna pensava soltanto a sé.
Se (congiunzione). Es. Se te ne vai adesso, non tornare mai più.
Se (pronome atono). Es. Non se n’è mai preoccupato.
Attenzione: se stesso normalmente si scrive senza accento anche se è un composto di sé (probabilmente perché non può più essere confuso dato che è rafforzato dalla presenza di stesso). [In realtà, non esistono motivazioni inattaccabili e il dibattito della Crusca è ancora aperto].
Né (congiunzione). Es. Non sposerò né Giulio né Antonio.
Ne (avverbio). Es. Ce ne andiamo?
Ne (pronome). Es. Ne vuoi ancora?
Lì (avverbio di luogo). Es. Essere lì per me era davvero importante.
Li (pronome). Es. Li guardavo con ammirazione per quello che erano riusciti a fare.
Là (avverbio di luogo). Es. Devo proprio andare fin là?
La (articolo). Es. La casa era incantevole.
La (pronome). Es. La vidi e capii che era lei.
Dì (nome). Es. La notte lasciò il posto al dì.
Di (preposizione). Es. La casa di Lucia era grande e spaziosa.
Sì (avverbio). Es. Sì, ti credo.
Sì (abbreviazione di così). Es. Hai fatto sì che io perdessi la fiducia in te.
[Si (pronome). Es. Si sa che si laureerà a breve.]
[Si (pronome). Es. Si sa che si laureerà a breve.]
Ché (congiunzione, abbreviazione di perché o poiché). Es. Non dirmi niente ché non mi interessa.
Che (congiunzione). Es. Miriam disse che non c’era tempo da perdere.
Che (pronome). Es. Lisa, che era una ragazza semplice, non si curava di certe cose.
Tè (nome). Es. Ti preparò un tè, se ti va!
Te (pronome personale ). Es. Te lo dico, ma poi non ti arrabbiare con me.
Questo dovrebbe essere l’elenco completo di tutti i casi, mi sono documentata su alcune guide e credo ci siano tutti.
[Esiste anche fè (troncamento di fede), ma è un termine arcaico e poco usato.]
[Esiste anche fè (troncamento di fede), ma è un termine arcaico e poco usato.]
Prestate attenzione poi a parole come tre, re, blu e fa che non hanno una forma accentata perché non possono essere fraintesi con nessun’altra parola. Tuttavia i composti di tali parole rientrano nel caso dei polisillabi tronchi e quindi vogliono l’accento. Per es. tre e trentatré, re e viceré, blu e rossoblù, fa e strafà. [In generale, va accentato qualunque composto in cui il secondo elemento è un monosillabo.]
E la grammatica funzionale?
Qualche tempo fa ho sentito parlare dalla grammatica funzionale in merito agli accenti. Uno scrittore aveva scritto egli dà senza accento. Quando io gliel’ho fatto presente (beh, lo sapete che, quando qualcuno mi chiede un parere, io poi glielo do) e lui mi ha risposto che era una sua precisa scelta grammaticale. Secondo la grammatica funzionale, infatti, dato che gli accenti non aggiungono significato alle parole ma servono solo (nel caso dei monosillabi) per distinguerle da altre, si possono omettere. Non so cosa ne pensate voi… per me è meglio usare gli accenti correttamente per evitare che dei pignoli come me vi chiedano cosa state combinando. La grammatica, però, è in continuo mutamento e non si può dire cosa diventerà la norma domani. Un tempo era corretto scrivere: Egli à fame (anche la h è solo un segno per distinguere graficamente parole con lo stesso suono e dunque perché non indicare questa diversità con un accento?)… non fatelo oggi, però!
Io non sono molto a favore dell’abolizione degli accenti sui monosillabi, però ve l’ho detto così, se ne dimenticate uno, potete sempre salvarvi facendo anche gli intellettuali, dicendo: Non ho sbagliato! Uso la grammatica funzionale! Ovviamente scherzo: è sempre meglio ammettere i propri errori e non commetterli più.
Conclusione
Queste sono le regole per l’uso degli accenti. Spero di non aver dimenticato niente e di non aver fatto errori, ma in ogni caso non esitate a farmi sapere.
Se avete altre domande o curiosità sul tema, questo è il momento di parlarne.
Vi ricordo anche che tempo fa ho scritto un post sull’uso dell’apostrofo.
E ora a voi la parola!
P.S. Nel post ci sono alcune parti racchiuse tra parentesi quadre colorate in fucsia. Tali parti sono state aggiunte grazie ai commenti di Mauro e Marco che ringrazio per l'aiuto.
Si ringrazia anche Abisso per la segnalazione di alcuni errori di battitura.
Hanno parlato di questo articolo:
In Italiano esistono anche le parole trisdrucciole, per esempio "occupatene".
RispondiEliminaPer gli accenti dei composti, la regola è molto semplice: va accentato qualunque composto in cui il secondo elemento sia un monosillabo. Quindi, come giustamente dici, vice/ré, trenta/tré, ecc.
Però non è esatto dire che tutti i monosillabi che terminano in due vocali sono accentati: "mai" è monosillabo, termina in due vocali, e non ha accento.
La regola è che sono accentati i monosillabi che terminano in dittonghi in cui l'accento cade sulla seconda vocale.
"Qui" e "Qua" sotto quest'aspetto non sono eccezioni, in quanto la U non fa parte di un dittongo, ma della stessa consonante Q.
Giusto l'elenco dei monosillabi accentati; si potrebbe aggiungere "fè" (troncamento di "fede"), ma è arcaico e poetico.
Però, sui monosillabi, c'è una nota importante: è vero che spesso si vede scritto "se stesso", senza accento, ma non ha una vera motivazione, né molto senso.
Se il criterio è quello di togliere l'accento perché tanto non è possibile confusione, nascono due problemi:
1) Allora perché lasciarlo in frasi come "Sono andato là"? È ovvio che quel "là" è avverbio di luogo, accento o non accento.
2) S'inserisce un'inutile complicazione: "se stesso", ma "sé stessi" (confondibile con "se [io] stessi"); "se stessa", ma "sé stesse" (se [egli] stesse).
A questo punto, una volta decisa la regola che su "sé" va l'accento tanto vale lasciarlo sempre (come dice anche Gabrielli).
Un dubbio: dici che "in italiano tale accento viene normalmente omesso, tranne in alcune parole tronche"; quali parole tronche hai in mente, senza accento grafico?
Ciao Mauro! Sapevo che avrei dimenticato o sbagliato qualcosa... per fortuna che ci sei tu! Grazie mille per le segnalazioni.
EliminaAllora... non ho parlato di parole trisdrucciole perché di solito si ottengono aggiungendo particelle pronomilali a parole bisdrucciole (come nel tuo esempio), però, hai ragione, per completezza lo aggiungerò.
Non sapevo che esistesse una vera e propria regola per l'accento sui composti... ho fatto alcuni esempi che andavano in tal senso, però, anche in questo caso, se c'è una regola, perché non esplicitarla? Grazie.
Per i monosillabi ho trovato una regola su un libro e parlava di "monosillabi che terminano con due vocali" tutti accentati tranne qui e qua. Il tuo "mai" ha messo in crisi la mia regola. Per un momento ho pensato che fosse una parola di due sillabe "ma-i" ma non è ragionevole e il dizionario me ne ha dato conferma. Modificherò il post inserendo "monosillabi che terminano con due vocali dove l'ultima è accentata", credi possa essere sufficientemente chiaro?
Per quanto riguarda "se stesso", anch'io ho scritto che normalmente deve essere senza accento, ma, come dici tu, non c'è una gran logica in questo.
Per parole tronce senza accento grafico mi riferivo a parole come "tre", "blu", ...
Grazie Mauro, sei davvero prezioso... appena trovo un minuto di tempo sistemo queste cose nel post!
L'autore del libro di cui parli è la Nesci? Avevo trovato quella stessa regola su un suo testo (uno tra i tanti errori).
Elimina"Monosillabi che terminano con due vocali dove l'ultima è accentata" mi pare chiaro, di fatto è la resa in termini non tecnici della regola.
L'autore del saggio a cui mi sono ispirata è Birattari, però devo chiedere scusa a te e a Birattari, perché rileggendo bene il testo anche lui scriveva che l'ultima sillaba doveva essere accentata... poveri voi! Vi fidate ancora di quello che scrivo? Ultimamente sto dando i numeri, fra un po' comincerò a scrivere "tré, mà, nò"..." ecco, se arrivo a questi livelli, abbattetemi, per favore!
EliminaAvevo trovato sul forum di quei simpaticoni della Crusca una disquisizione infinita che giustificava "sé stesso", mentre condannava "a sé stante", "a sé".
RispondiEliminaMancherebbe un uso del "si" non accentato, per simmetria con gli altri casi che hai citato.
Il caso di "se stesso" crea scalpore! Dunque che fare? Adeguarsi alla norma o fare i ribelli? E poi quale norma? Insomma un bel dilemma.
EliminaHai ragione: manca un esempio per il "si" non accentato... provvederò quando modificherò il post. Grazie mille!
Si possono trovare esempi sia pro, sia contro, "sé stesso", di fatto sono ammissibili entrambi; restano le considerazioni sopra fatte, per cui la forma non accentata - soprattutto quando usata per tutte le versioni - ha poco senso.
EliminaDovremmo invitare qui quelli della Crusca! In qualche commento abbiamo "risolto" l'annosa questione... va beh, scherzi a parte: io continuo a scrivere "sé" accentato e "se stesso" senza accento, più che altro perché in pochi sanno che è possibile l'altra versione.
EliminaBel post, penso che il pirata Acionna sarà contento!
RispondiEliminaSe posso darti un consiglio, aggiungerei una menzione sulla differenza tra vocali chiuse e aperte (solo nel caso di "o" ed "e") e del segno grafico che le rappresenta. "perché" viene spesso accentato in modo erroneo, per esempio.
Per non parlare della pronuncia: in quel caso ci sono persone (e dialetti) che scambiano sistematicamente la vocale chiusa con quella aperta, e viceversa (specialmente nei verbi). Purtroppo non essendo obbligatorio esplicitare l'accento nella maggior parte delle parole, come hai già sottolineato, tali errori si propagano e sono difficili da combattere. Io consiglio sempre di consultare il vocabolario, dove è presente la pronuncia fonetica: se anche non la si sa leggere, è sufficiente confrontarla con quella di una parola di cui si ha l'assoluta certezza della pronuncia.
Per concludere l'argomento, segnalo a chi conoscesse il latino che, essendo nota la parola originaria da cui deriva quella italiana, si può in genere ricavare il giusto accento. Es. il verbo "mitto" diventa "metto" e si pronuncia "métto" in italiano, perché la "i" viene trasformata in "e" chiusa; "lego" diventa invece "leggo", e si pronuncia "lèggo" perché già aveva la "e".
Ignoro se sia una vera e propria regola, e non mi va di fare ricerche al proposito ma funziona quasi sempre.
Ti segnalo infine due refusi: "accentante" nel periodo subito successivo all'elenco puntato e "accentanto" al'interno dell'ultima parentesi viola. Tanto per reclamare il mio meritato ruolo di re dei pignuoli.
Spero anch'io che il pirata di nostra conoscenza ne sia felice!
EliminaSulla differenza tra vocale aperta e chiusa hai perfettamente ragione. Sono stanca di veder scritto "perchè" ed "é" ecc ecc. Nello scritto ci sto attenta, ma parlando commetto molti errori, probabilmente a causa dell'accento marcato della mia zona (tu sì che hai una pronuncia impeccabile!). Sono dunque una persona poco adatta per parlare di corretta pronuncia (almeno non prima di un corso di dizione), però ho intenzione di fare un post sulla "e chiusa e aperta" e la sua scrittura con accento corretto. Poi collegherò i due post.
Io non ho mai fatto latino, ma ho sostenuto un esame universitario di grammatica storica e quindi capisco il tuo discorso che parte da "i ed e brevi e lunghe". E sì, ci sono delle regole che funzionano sempre, magari ne parlerò prima o poi. A meno che non ti vada di scrivere un bel guest post su queste cose... io ti ospito volentieri!
Ora correggo gli errori, grazie! La regina dei pignoli sta perdendo colpi... forse dovrei ricominciare a dormire un po' di più ogni tanto. Grazie mille per le segnalazioni!
Il tuo ruolo è meritatissimo... ma per noi essere pignoli è un complimento!
Grazie Lisa...
RispondiElimina"Dà" terza persona singolare del verbo dare si scrive con l'accento, a meno che tu non segua la grammatica funzionale. Se però hai fonti che dicono qualcosa di diverso, fai sapere!
"Dài" può essere scritto con l'accento o senza perchè in italiano gli accenti tonici che non sono sull'ultima lettera possono essere omessi. A presto!
Da' ascolto a Romina, ché dà sempre buoni consigli da seguire. Brava Romina! Dai casi più semplici a quelli più complessi, dai i tuoi suggerimenti in modo che tutti possano capire. Dai, continua così! :D
RispondiEliminaBell'articolo, brava. La grammatica funzionale mi sembra la solita scusa per non ammettere la propria ignoranza, come la licenza poetica.
RispondiEliminaAnch'io ho avuto esattamente la tua impressione quando uno scrittore me ne ha parlato dopo che io avevo evidenziato un suo errore (o, scusa, "licenza poetica")! Allora non sono l'unica ad avere un po' di perplessità!
EliminaGrazie! Soprattutto per la prima frase che contiene le tre possibili scritture di "da" (cioè da', dà e da). So che l'hai fatto di proposito, dunque grazie per l'esempio e per i complimenti che sento sempre di non meritare!
RispondiEliminaEh già, l'importante è che ora sia tutto chiaro! Grazie per aver condiviso qui i tuoi dubbi o non dubbi!
RispondiEliminaCari tutti, grazie per questa montagna di spiegazioni!
RispondiEliminaMa come fa uno straniero a sapere dove mettere l'accento?
Benvenuto/a sul blog! Ti riferisci all'accento grafico nell'italiano scritto o a quello tonico nell'italiano parlato? Così posso risponderti meglio.
EliminaGent.mi,
RispondiEliminasono di origine friulana ma vivo da oltre trent'anni in provincia di Ascoli Piceno.
Mi sono accorto che noi pronunciamo male quasi tutte le "e" e le "o"; per esempio: diciamo béne e non béne, piéde e non piède, préda e non prèda, orto e non òrto etc.
Ora, quale è la regola? Nei dittonghi d'accordo la vocale è sempre aperta ma nelle altre parole?
Grazie