La questione della
lingua
L'appuntamento di oggi di questa rubrica tocca il punto
più interessante e più controverso della storia della lingua italiana: la
questione delle lingua (che, accennata in un post sul
che polivalente, era stata poi
stimolo per l'intera rubrica).
Facciamo un po' il punto della situazione: abbiamo visto
che l'italiano deriva
dal latino volgare, per poi conoscere i primi
documenti scritti in italiano e le prime
letterature, mentre nel post del mese scorso abbiamo analizzato la situazione
dell'italiano e del latino nel periodo
dell'Umanesimo.
Ora siamo in pieno Cinquecento, quando scoppia la
questione della lingua.
La questione della
lingua
La questione
della lingua è un grande dibattito
che si svolge tra il 1510 e il 1530 circa. Si tratta di anni di in cui
francesi e spagnoli si contendono l'Italia, facendone triste campo di continue
battaglie. Nonostante questo contesto storico di certo non favorevole, sono
proprio questi anni la culla del dibattito sulla lingua con cui deve scrivere un scrittore.
Il dibattito si attesta su tre posizioni principali di cui ora vi parlo.
1. La teoria
cortigiana
La teoria
cortigiana è la posizione di chi vuole che la lingua degli scrittori sia
la lingua parlata a corte nel Quattrocento,
una lingua che è una sorta di mix,
perché nelle varie zone d'Italia ci sono italiani diversi e, nelle corti, per
capirsi si smussano i tratti più locali. L'esempio di corte più considerata è
quella di Roma che, in quel
periodo, ha visto due papi Medici (Clemente
VII e Leone X) che di certo avevano contribuito alla toscanizzazione dell'italiano parlato a
Roma.
Nel 1527, la corte di Roma finisce vittima del notissimo Sacco a opera dei lanzichenecchi di
Carlo V, emblema della situazione italiana (di un'Italia che non
esiste, per altro) preda di guerre altrui.
Tra i sostenitori più importanti di questa teoria c'è Baldassarre Castiglione,
ambasciatore del papa a Madrid. Il suo testo più celebre, Il Cortegiano, è un trattato sul comportamento per la formazione delle elite
aristocratiche europee (una sorta di
galateo per nobili, per capirci). In tale volume, parla anche della lingua
con cui si deve esprimere il buon cortigiano, che, per l'autore, deve prendere il meglio delle varie varietà.
Il problema di questa lingua è che è attingibile solo da chi ha una cultura alta ed è in contatto con le corti. Inoltre manca un testo scritto che faccia da
modello e da cui trarre le regole.
2. Il fiorentino
vivo
Una seconda posizione è quella di chi vuole fare lingua
del territorio italiano il fiorentino
vivo. Per fiorentino vivo si
intende quello parlato in quel
periodo, cioè nel Cinquecento.
Il più famoso sostenitore di questa tesi è Niccolò Machiavelli. A lui viene
attribuito (ma non con certezza) un dialogo
sulla lingua italiana in cui Dante si autocritica dicendo che gli
autori devono usare il fiorentino della loro epoca.
Anche questa teoria si scontra però, come la precedente,
con l'assenza di modelli autorevoli.
3. Il fiorentino
letterario trecentesco
La terza teoria è quella riconducibile a Pietro Bembo (segretario del
Papa), che è una delle persone che più spinge per far sì che il fiorentino diventi base dell'italiano.
Non si tratta però del fiorentino vivo, ma di quello trecentesco.
Nel 1525
esce la sua celebre opera, Prose della volgar lingua: tre volumi scritti in forma di dialogo
in cui quattro personaggi dibattono sulla lingua. Si tratta di: Carlo Bembo (fratello
dell'autore, morto giovane e quindi inserito per rendergli omaggio; nel testo
si fa portatore delle idee di Pietro), Ercole
Strozzi (nobiluomo fiorentino), Giuliano
dei Medici (futuro Papa) e Federico
Fregoso (aristocratico genovese). La trama è costituita dal tentativo
di tre personaggi di convincere Ercole Strozzi, che scrive solo in latino,
dell'importanza del volgare fiorentino. Nei primi due libri c'è un excursus storico sulla formazione del
volgare e un'analisi dei modelli; il terzo è una grammatica del volgare fiorentino (non è la prima, che
risale al 1516, anche se breve ed è di Fortunio, podestà di Ancona). Ovviamente
è una grammatica diverse da quelle a cui siamo abituati oggi, perché è scritta
in forma dialogica. Bembo propone il fiorentino letterario trecentesco perché
era la lingua usata da Petrarca e
Boccaccio, che possono fungere da modelli,
il primo per la poesia e il secondo per la prosa.
Bembo è un classicista, quindi non propone Dante, che nel Cinquecento non godeva di grande
fama (la sua fortuna comincia nell'Ottocento, circa). Inoltre, Dante usava una
sorta di plurilinguismo che si univa inoltre a una grande varietà del lessico
(da zone stilisticamente alte a lessico infimo).
La teoria che
prevale
Dopo il lungo dibattito, la teoria che prevale è proprio quella del fiorentino trecentesco
portata avanti da Bembo. La fortuna di questa teoria si deve proprio
alla concretezza dei modelli,
dato che erano presenti testi certi di Petrarca e, probabilmente anche di
Boccaccio, essi si configuravano non
tanto come modelli stilistici ma grammaticali. Sarà lo stesso Bembo a
curare delle edizioni di questi due autori con il celebre Aldo Manuzio, editore molto noto all'epoca.
È così che il modello di Bembo pian piano si impone e
diventa quasi scontato, al punto che molti tipografi scelgono il fiorentino
letterario del Trecento per la scrittura del tempo.
Questo modello non
è particolarmente apprezzato in Toscana perché svaluta il fiorentino
vivo.
Il Cinquecento è dunque il secolo in cui si tende alla codifica e si
definiscono le regole (non solo nella lingua).
Nella prossima
puntata…
Nel prossimo appuntamento vi parlerò della celebre Accademia della Crusca che sorge
proprio nel periodo successivo alla questione esposta nel post. Ci sarà anche
spazio per alcuni nomi molto noti
della letteratura e della scienza italiana, ma non voglio anticiparvi
troppo.
Spero che questa storia dell'italiano vi stia
appassionando, ormai non mancano molti post.
Hanno parlato di questo articolo:
Hanno parlato di questo articolo:
- L'Accademia della Crusca (e non solo)
- Dall'unificazione territoriale a quella linguistica
- Italiano neostandard
A me si che mi sta appassionando! Mi stai riportando agli anni universitari con tanti bellissimi ricordi!
RispondiEliminaEra da un pezzo poi che non sentivo nominare il Bembo. :)
Oh, Nick, sono proprio contenta per quello che dici! Non credo sia una rubrica seguitissima, ma vado avanti per quei pochi, tanto ormai non manca molto per arrivare ai giorni nostri. Grazie.
EliminaHai beccato un periodo storico che mi incuriosisce e mi affascina! In aggiunta all'argomento principe, si intende. ^^
RispondiEliminaPiace molto anche a me! Mi sarebbe piaciuto vivere nel Cinquecento, peccato che le streghe non fossero ben viste!
EliminaSapevo del Bembo, ma non conoscevo a fondo tutta la questione. Appassionante come un giallo!
RispondiEliminaSono d'accordo! Io adoro l'intera questione, ma pensavo di essere l'unica! Sono felice di avervi fatti appassionare.
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