Se non mi trovate qui... ecco dove cercarmi!

Se non mi trovate qui...

Ormai sono diversi anni che scrivo pochissimo qui sul blog. Mi dispiace davvero molto e vorrei dire che diventerò più solerte ma... so benis...

martedì 14 luglio 2015

Concorso di compleanno per i quattro anni del blog

Un concorso per il compleanno del blog

Ieri il mio blog ha festeggiato il suo quarto anno di vita e oggi, come promesso, vi propongo un concorso.

Dopo tanti tentativi ed esperimenti, la formula usata l'anno scorso è quella che mi ha dato più soddisfazioni, quindi ho deciso di riproporvela. Insomma, niente classico giveaway in cui basta scrivere un commento per essere sorteggiati. Come l'anno scorso dovrete scrivere qualcosina e quindi fare un piccolo sforzo. Quest'anno ho deciso anche di definire l'iniziativa concorso di compleanno e non giveaway, giusto per sottolineare di più la competizione creativa in atto, ma le regole sono più o meno le stesse dell'anno scorso.


Per partecipare
Se volete partecipare al concorso dovete scrivere un racconto breve a tema libero di massimo 300 parole (deve essere inedito sia su carta sia nel web). Dovete poi postarlo come commento a questo post, in modo anonimo, così non verrò accusata di fare preferenze durante la mia scelta. Potete partecipare anche con più di un racconto, senza limitazioni. 

Scadenza
Potete partecipare da oggi fino al 31 agosto. Vi lascio un po' di tempo in più degli anni scorsi, così non avete scuse, eh!

Il vincitore
La scelta del vincitore avverrà come l'anno scorso con il vostro coinvolgimento, nella seconda fase.
Nella prima fase di valutazione io leggerò tutti i racconti e ne sceglierò tre. Ne darò comunicazione nei primi giorni di settembre e gli autori usciranno allo scoperto. Poi realizzerò un video di ognuno dei tre racconti selezionati, quindi i tre autori sul podio potranno sentire letto da me il loro racconto (piccolo premio parziale, ammesso che sia un premio). Mentre scrivete, vi consiglio di tener conto del fatto che sono testi destinati alla lettura ad alta voce…

Quando riuscirò a realizzare i tre video, scriverò un altro post: a quel punto tutti potranno votare il loro racconto preferito tra i tre selezionati (vi darò un paio di settimane di tempo da quando saranno pronti i video). Il voto dei partecipanti varrà tre punti (indipendentemente dal numero di racconti inviati, ogni partecipante avrà diritto a un solo voto da tre punti), mentre quello dei non partecipanti varrà un punto solo. Non accetterò voti di commenti anonimi o non firmati e i tre finalisti non potranno votare.
Il racconto con il punteggio più alto, ovviamente, vincerà il concorso.

Un premio a scelta tra…
I premi sono a scelta tra quelli soliti e il vincitore potrà scegliere in assoluta libertà:

Questo è ciò che vi posso offrire, spero che sia abbastanza per spingervi a partecipare! Vi aspetto numerosi!
Se qualcosa non vi è chiaro, fatemelo sapere!  


P.S. Vi ricordo che l'anno scorso i tre racconti finalisti erano tutti davvero molto interessanti (potete ascoltare i video qui) e Michele Scarparo, che ha vinto, ha scelto come premio un editing. 


P.P.S. Quest'anno c'è persino l'evento su Facebook, quindi condividete e partecipate, mi raccomando! 


AVVERTENZA: Esistono normative sul fenomeno del giveaway a mio avviso poco chiare. Comunque io qui regalo servizi o copie dei miei libri. Questo concorso non mi porta alcun vantaggio economico, al massimo un aumento di visite per il blog (e non avendo pubblicità di terzi sul blog, questo non si traduce in denaro). Se io volessi prendere alcune copie dei miei libri, andare in una grande piazza e lasciarne qualche copia a dei passanti potrei farlo, non vi pare? E ho spesso fatto editing e video gratuiti, quindi...

Ecco, questo giveaway è la stessa cosa, solo che cerco di stimolare un po' la creatività. 




Questo post è stato segnalato da Maria Todesco del blog Maria Todesco per La blogosfera condivide - luglio 2015 con la seguente motivazione: perché trova importante che i compleanni siano festeggiati con viva partecipazione! 



Hanno parlato di questo articolo:



70 commenti:

  1. Come non partecipare alle tue stimolanti idee!?!
    Sono una schiappa, ma mi diverte e so di non fare errori di grammatica.
    Cristiana

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  2. Intanto.... TANTI AUGURI AL BLOOOG, TANTI AUGURI AL BLOOOOOG!!!!!!
    e magari anche alla blogger! ahahahahahahahh

    Per il concorso, adesso penso!!!!
    Un bacioe!

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    1. Il tempo c'è... intanto grazie per gli auguri!

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  3. CASA DOLCE CASA

    -Ne vuoi ancora?- lei gli porse l’insalatiera.
    -No finiscila pure tu- Lui riprese a guardare la TV.
    - Cosa stai guardando? –
    - Lo vedi anche tu. –
    - Te l’ho chiesto, mi piacerebbe che rispondessi. –
    - Pubblicità direi. –
    - Diresti … -
    - E’ pubblicità, non vedi? –
    - Già, una bella spiaggia esotica, una di quelle che frequenti tu. –
    - Tu vai in montagna, quest’estate? – Lui provò a cambiare discorso.
    - Certo, come al solito. – Iniziò a sparecchiare.
    Lui fece per alzarsi, poi si risedette.
    -Prima o poi verrò anch’io, se ti fa piacere. –
    -Certo, ed io verrò con te a Cuba, se ti fa piacere.- Lei rise di un riso cattivo e mise in moto la lavastoviglie.
    - L’estate è ancora lontana. – lui si alzò e andò in salotto senza esitazione.

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    1. Ed ecco qui il primo racconto! Grazie per la partecipazione!

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  4. IL VIAGGIO

    Decise di lasciare quella che era stata la sua casa e la sua famiglia per vent'anni, uscì senza guardare indietro. Non sarebbe stata trasformata in una statua di sale: nessun rimpianto. Salì in auto e prese la strada dei monti. La natura era tutta dentro di lei. I prati, gli alberi, le punte aguzze delle guglie, le nuvole vive nelle loro forme fantastiche la avvolgevano in un abbraccio.
    Fece presto ad arrivare al tornante che sempre l'aveva affascinata: da lì si vedeva tutta la valle sottostante, con i tetti delle case così minuscoli da sembrare un presepio, col raccolto cimitero tirolese dove le tombe affiancate sembravano gareggiare in un'esplosione floreale sormontate dalle croci di ferro battuto, dove il marmo era bandito.
    Si fermò per contemplare la bellezza e la pace di quell'immagine e si sentì invadere da un'ondata di calore, sentì la disperazione, sua compagna abituale, svanire come la nebbia che si alza dopo il temporale.
    Schiacciò l'acceleratore e volò leggera e felice nel vuoto.
    Quando il parabrezza esplose in mille briciole di stelle un grido libero scoppiò per la valle, corse fra le case, avvolse in un allegro girotondo il campanile aguzzo della chiesa, vagò felice fra gli amici sconosciuti che riposavano sotto le croci di ferro e tacque.
    Nel nuovo silenzio mille vivaci riflessi si alternavano, tutte le sfumature dell'arcobaleno le turbinavano intorno.
    Era scomparso solo il nero.

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  5. Quando torno dall'aver accompagnato i piccoli a scuola,trovo mammma che già spignatta in cucina. I profumini che vi aleggiano son da leccarsi i baffi, ma so che prima dell'ora stabilita non mi concede mai niente. Mi consolo con una bevuta d'acqua fresca e poi me ne torno sull'aia, dove papà armeggia intorno al trattore.Io sono addetto alla sicurezza,ma la scorsa notte che è trascorsa tranquilla, senza impegnarmi in vasti giri di perlustrazione( ne ho fatto uno ,giusto per scrupolo), mi ha lasciato fresco e riposato.L'aria mite di maggio reca odori allettanti e vaghi fruscii, così decido di andare a bighellonare un po' in giro. Aggirata la masseria e raggiunto il boschetto,inizio il mio solito slalom fra i tronchi degli alberi e i cespugli, mettendo in fuga varie bestiole.Soltanto gli uccelli mi osservano cn i loro occhietti impassibili, tanto neanche il gatto li acchiappa lassù.D'improvviso quell'odore, forte e sinistro, mi attrae ad una piccola ansa del rivo che scorre poco lontano, e d'un trtto li vedo: una giovane madre rattrappita e immobile ormai spenta e nella curva del suo grembo, fra le vesti zuppe di un liquido scuro che emana zaffate dolciastre, il suo cucciolo appena nato. Il corpicino nudo vibra e sussulta e, quando appoggio il mio naso al suo,sento l'alito caldo. L'istinto mi suggerisce subito cosa fare. Mi volto e corro, salto e corro verso chi tutto sa e tutto può fare, verso i miei dei. So che loro mi capiranno e allora abbaio e abbaio, a perdifiato

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  6. Ho sempre sognato di diventare un astronauta. Da piccolo, il semplice atto di alzare gli occhi al cielo mi faceva palpitare come non mai. Tutti quei puntini luminosi disseminati nel cielo notturno. Degli oggettini così piccoli a vederli da quaggiù. In realtà dei giganti, pronti ad collassare su loro stessi ed esplodere, lasciandosi dietro solo degli insignificanti cumuli di materia sbriciolata. Mia madre è sempre stata affascinata da quello che poteva succedere lassù, nello spazio più profondo. Diceva sempre che, un giorno o l’altro, qualche strana forma di vita sarebbe discesa a farci visita. Sono così orgoglioso di poter assistere a questo straordinario evento e spero che anche mia madre lo sia, anche se avrei preferito averla accanto a me in questo momento. Tutto accadde qualche tempo fa. Io ero uscito da pochi giorni dal centro di addestramento. Ero finalmente un astronauta. E fu proprio la sera in cui stavo festeggiando il mio splendido nuovo lavoro che un segnale di vita intelligente raggiunse i nostri apparecchi. Non appena lo venni a sapere lasciai tutto e mi proposi senza esitare per partecipare alla spedizione che ci avrebbe portato da quella nuova civiltà. Ed ora eccomi qui, a pochi secondi dall'atterraggio. Tutti i miei sensi cominciano a tradirmi non appena apro il portellone. L’atmosfera è molto rarefatta e la tuta riesce a malapena a trattenerla fuori. Davanti a me uno strano ambiente. Combinazioni di verde, marroncino ed azzurro circondano tutta la superficie. A pochi metri dall'astronave, degli strani esseri ci guardano stupefatti. Mi decido a muovere i primi passi sul duro terreno di questo pianeta così singolare. Prima di avvicinarmi ai curiosi esseri decido di richiedere ai miei supervisori il nome di questo luogo. Me lo avranno ripetuto migliaia di volte, ma ricordarlo mi è sempre difficile. Non appena me lo ricordano, ecco che mi sovviene. Questo pianeta si chiama “Terra”…

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  7. FRUSTRAZIONE

    Lasciatemi solo. Non preoccupatevi per me. Non ho alcuna intenzione di elemosinare la vostra pietà. Vi ostinate a pensare che trattarmi come uno squilibrato vi faccia sentire meglio. Ma volete sapere una cosa. Il vostro incessante desiderio di perfezione non è in questo corpo. In questa testa che un tempo credevate di conoscere come il palmo delle vostre mani. Sperando fin dall'inizio di essere in grado di esercitare il controllo. Niente di più sbagliato. Un cervello come il mio non conosce padroni, né mai ne conoscerà. Ed impedendomi di vivere avete causato tutto questo. Essere costretto da delle catene invisibili. Lasciandomi quasi la speranza di poter imparare a volare, ma senza avermi mai dato le ali. Non è quello che desidero e voi lo sapete. Strappatemi via il cuore dal petto se pensate che al suo palpitante interno risiedano le emozioni. Spaccatemi in due la testa ed estirpatemi il cervello se vi farà credere che così ammaestrerete il mio pensiero. Sarà del tutto inutile. La mia anima perdurerà, ripiena di quelle pulsioni che pensavate di avermi tolto. Potrete ridurmi ad un cadavere che cammina, senza mai sapere quello che mi frulla per la testa. E non appena vi sarete resi conto di quanto inutili e vuoti siano stati i vostri tentativi, mi lascerete al mio destino. Mi rinchiuderete tra quattro mura, come una bestia, sperando che i vostri rimorsi non vengano mai e poi mai a tormentarvi. Lasciandomi lì. Sognatore prigioniero. Al buio.

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  8. La luna

    Prese le candele bianche ed uscì. La sacerdotessa si era raccomandata. Candide aveva detto. Niente per accenderle, lo avrebbero fatto diversamente.
    Si diresse verso la collina, là dove si ergeva il vecchio noce che si diceva avesse mille anni e più.
    Attraversò il bosco di querce al buio completo. L'abito bianco che indossava pareva illuminarle il cammino. O forse era la sua luce interiore a farle da lucerna.
    Quella notte si sarebbe verificato un evento unico e loro sarebbero state le sole a partecipare e comprendere. Nessuno dei miscredenti se ne sarebbe accorto. Troppo chiusi i loro occhi! Troppo buio e freddo nel cuore.
    Giunse in cima alla collina contemporaneamente alle sorelle, come se i loro passi fossero stati coordinati da una forza superiore. Si disposero intorno al noce, in ampio cerchio. Ognuna aveva portato sette candele candele di cera sopraffina. Se le disposero intorno. La sacerdotessa ne aveva portate nove. Si fermò sotto al noce, il viso rivolto a sud. Lì, si sarebbe verificato l'evento. Lì, la luna si sarebbe fermata ad ascoltare le loro preghiere e dal cuore degli uomini sarebbe scomparso l'odio. Si sarebbe accesa una luce che avrebbe rivelato loro l'amore infinito.
    Dapprima sottovoce, poi in crescendo, iniziarono le loro invocazioni a Selene.
    Come per magia, la luna piena sorse squarciando l'oscurità totale e rendendole rilucenti come diamanti.
    E fu tutto un grido. Ombre scure con fiaccole e falci si mostrarono improvvisamente . Alla testa un domenicano, una grossa croce d'oro tempestata di diamanti come arma.
    "Streghe! Serve del demonio! Le vostre arti malefiche non vi serviranno! Brucerete tutte! Legatele all'albero e che siano arse insieme a quel simbolo del male! Al rogo!".
    Selene scomparve dal cielo.

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  9. Ma perché tutta questa gente è così veloce e io non ho mai tempo di scrivere?
    Proverò a partecipare anch'io... Anche se (ammesso che mi venga una buona idea) sarò sicuramente tra gli ultimi... ma non si vince per la velocità di scrittura, vero?

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    1. Vinceranno i tre racconti che mi piaceranno di più arrivati entro la scadenza. C'è chi arriva in fretta, chi ha bisogno di tempo... tu hai altro per la testa, ora. Vedrai che poi troverai ispirazione e tempo. Ti aspetto!

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  10. ANNI DI PIOMBO
    Immobile.
    Cupo.
    Chiudo gli occhi e cerco di immaginare le mosse successive. Ho un compito da svolgere. Sono un professionista. Ho già ucciso. Più volte. Tocco la tasca del cappotto e percepisco la solidità rassicurante della mia pistola. Apro gli occhi. Devo decidermi. È il momento di entrare nell'edificio. Su, al terzo piano, c'è l'ufficio di quel fottuto che devo ammazzare. È giusto che paghi con la morte per quello che scrive. Reazionario bastardo, giornalista servo. Mi guardo intorno. Nessuno. Troppo freddo ed è l'ora di pranzo. Il bersaglio non mangia mai a casa, rimane nel suo studio a scrivere, si accontenta di un panino e di una birra. Bastardo. Salgo le scale con calma, ho deciso di non prendere l'ascensore. Troppo rumore. Meglio lasciare che il palazzo rimanga nel silenzio ovattato di un mezzogiorno invernale. Pochi e lontani suoni di posate e piatti che si scontrano, qualche risata distante, un cane che abbaia. Il mio bersaglio sa di essere nel mirino. Più volte lo abbiamo avvisato con lettere minatorie. Impugno la mia arma e suono il campanello. Tre volte, velocemente. È lo scampanellio di quelli di famiglia, dei collaboratori. Pedinamenti e appostamenti servono. Un uomo mi apre, fissa la canna della pistola con rassegnazione. Non parla. Non parlo. Alzo il cane del revolver. Improvvisamente rumore, una porta che si apre, vociare di bimbo e una madre, forse, che urla. In pochi secondi un ragazzino è di fianco a me. Mi fissa spaventato. Io e il bersaglio rimaniamo immobili.
    Nella mia testa una voce: "non ti voltare, fregatene, fai quel che devi e scappa." Mi volto. Con la coda dell'occhio vedo il bersaglio armeggiare dietro la cintola. In pochissimi secondi accade l'inevitabile. «Tutto bene bambino, non avere paura.» Gli sorrido.
    Poi lo sparo. Sono a terra.
    Immobile.
    Sorrido.
    Buio.

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  11. Povera Romina!!!!!! Che compito dfficile!!!! :))))
    Sono convinta che te la caverai egregiamente come sempre. Io ne ho già adocchiato uno che mi pace da morire ma sono tutti SUPERRRRRR
    Ciao!

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    1. Al momento ho deciso di considerarlo un "problema della futura me", però, sì, sarà molto dura!

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  12. REQUIEM PER CICALE

    Quando ero piccola mi piaceva correre nel grande prato dietro il casolare di campagna di mia nonna. Era un vecchio casolare interamente ristrutturato, immerso in una grande piazza fatta di fili d'erba color dello smeraldo e di qualche macchia viola, rosa o rossa di fiori selvatici.
    Il silenzio che attorniava quella grande casa di campagna durante l'anno improvvisamente era rotto dalle mie urla di gioia, dal pestare frenetico dei miei piedi sull'erba e da loro, dalle cicale, il cui canto mi attirava e mi incantava da sempre. Invidiavo il loro modo di cantare, di fare musica al punto che un giorno decisi di catturare una cicala e imprigionarla in un vasetto di vetro. Volevo rubare i segreti della loro melodia.
    Da quel giorno però, la cicala nel vasetto non cantò più, quasi come un rifiuto, un sciopero. E sembrava sempre meno viva. Una mattina mi svegliai e quella cicala la trovai immobile e con le zampette rivolte verso il cielo: era morta. Iniziai a piangere perché non potevo più rubare i segreti del canto delle cicale. Arrivò dalla stanza accanto mia mamma, di una disarmante e saggia bellezza angelica che sorvegliava ogni mia avventura nella natura campestre, trovandomi con il barattolo di vetro tra le mani e le guance rigate dalle lacrime. Si sedette di fianco a me e aspettò che mi calmassi prima di dire queste parole: - Hai cercato di scoprire il segreto del suo canto togliendole la libertà. Ora rendi omaggio alla sua libertà con la cosa più preziosa che una cicala possiede: la melodia.-.
    Iniziai a canticchiare a bassa voce una specie di requiem in onore della piccola cicala, insignificante essere dalla voce possente. Fu lì che capii a che scopo la mia vita era stata creata: per comporre la musica segreta delle cicale in libertà.

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  13. Non vedo l'ora, son curioso son curioso son curioso. Ehem, volevo dire....SON CURIOSOOO. Sorry.

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    1. Ci vorrà ancora un po', ma... sono curiosa anch'io!

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  14. RISPOSTE

    "Un bagliore si riflesse negli occhi grigi della donna dai capelli biondi. Una scarica elettrica in un'iride di metallo liquido.
    Quel metallo era stato lega di terrore e stupore, quando il rapitore l'aveva aggredita. Ora, dello stupore nessuna traccia.
    Si era risvegliata, legata ad una vecchia sedia, in un garage dalle pareti coperte di muffa. Nella luce sfarfallante del neon aveva visto la figura tozza dell'uomo, avvolta in una sudicia salopette rossa. La maschera di Topolino sul volto, con un sorriso beffardo. Spessi guanti gialli sulle mani che stringevano un seghetto.
    La donna provò ad urlare, un bavaglio glielo impedì. Iniziò ad agitarsi, le corde erano strette. Sudore. Lacrime. Scariche di paura nel metallo liquido."


    Mario si svegliò, le coperte zuppe di sudore. Guardò la sveglia: 3.20. Poche ore al campanello annunciante l'inizio della solita grigia giornata in ufficio.
    Una vita piatta, priva di emozioni, escludendo i sogni e qualche raro momento: quando aveva completato la collezione di fumetti che leggeva fin da bambino; quando si era trovato un nuovo passatempo; quando si era sentito desiderato da una donna. Come un paio di giorni prima: la ragazza delle consegne aveva guardato lui - generalmente invisibile a tutti - e gli aveva regalato il sorriso più bello che avesse mai visto.
    Mario si alzò e caracollò stordito verso la cucina. Il sogno lo aveva turbato. Quella donna così bella, cosi spaventata. Era riuscito a sentire i suoi pensieri, le sue paure.

    "Sarà riuscita a scappare? Si sarà salvata?"

    Aprì il frigorifero, per togliere con dell'acqua fresca il cemento che gli impastava la bocca. Un odore di carne non perfettamente conservata lo raggiunse. Dall'interno di un sacchetto, una testa bionda lo fissava. Nessuna scarica, in quel metallo ormai freddo. Mario richiuse il frigorifero, per tornare a letto.

    "No, non si è salvata".

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  15. MERYEN
    Che ci fa quella bimba, dai capelli color del sole di agosto
    nel giardino della sua casa, vicino a quel cespuglio di rose,
    che aspetta qualcuno che gli racconta una bella favola per farla sognare, il suo baldo orsacchiotto e la nonna incominciò:
    C'era un volta una favola antica, ma haimè era quasi da tutti ormai dimenticata che continuava a volare nell'aria aspettando colui che l'avrebbe di nuovo narrata.
    Era una favola vecchia e un poco svanita, come una lattina di aranciata, lasciata aperta sul piano della cucina, assieme al mezzo panino con il prosciutto, ma lei non voleva rassegnarsi e cercava di non esser dimenticata.
    Parlava di una bambina bionda che non voleva dormire da sola e la sua mamma poverina doveva starle sempre vicina.
    Un giorno venne una bella signora, tutta vestita di luce azzurra, che prese per mano la mamma e la portò lontano.. lontano.. dalla sua bambina..
    La bimba pianse per molte sere, poi si stancò e si addormentò.
    Quando il mattino, la venne a svegliare con un bellissimo raggio di sole, vide la mamma poverina che sotto un albero dormiva e la signora vestita di azzurro disse:
    "Non devi più avere paura.. di restare sola"
    C'era un volta una favola antica, era una favola vecchia e un poco svanita come una lattina di aranciata, e per non essere dimenticata diventò vera... in questa vita!

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  16. LA PITTRICE DEL TEMPO.



    In riva al lago due ragazzini amoreggiavano.
    Io, sulla panchina mi ero appisolata, quando due mani si posarono sulle mie spalle: mi girai di scatto: dietro a me, una donna alta e snella. Indossava un vestito coloratissimo, ma,pareva che i colori si alternassero tra loro a secondo dei movimenti del corpo; i capelli raccolti, color argento con un lungo ricciolo che gli scendeva sulle spalle e uno strano fermaglio a forma di falce di luna che li fermava.
    Non saprei definire l'età, non era vecchia, il viso senza trucco aveva una dolcezza infinita con occhi incredibilmente azzurri striati di viola.
    I due ragazzi, ci guardavano infastiditi.
    La donna, guardò me poi volse lo sguardo ai ragazzi:
    e con la mano disegnò nell'aria. Era una pazza?
    Dal nulla, apparvero accanto a lei una tavolozza, un cavalletto e una tela.
    Si mise a dipingere con le dita, e man mano che il disegno prendeva forma il suo vestito perdeva colore.
    Il tempo di un respiro e il quadro era finito.
    Aveva dipinto l'attimo presente e il futuro: il tramonto che io adesso vedevo, e io che guardavo stupita. Solo i due ragazzi erano diversi: lei teneva un bimbo tra le braccia e piangeva, lui era un'ombra nel cielo.
    Mi volsi verso la donna: non c'era più.
    Riguardai il quadro, in calce c'era la sua firma:
    " La pittrice del tempo ". Poi pure il quadro svanì.
    Quella notte, una falce di luna brillava in cielo: aveva l'occhio azzurro striato di viola e un ricciolo di nuvola sotto.
    "Ho sognato? "

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  17. IL COMANDANTE

    Se il sole non fosse di pietra, alzerei lo sguardo.
    I miei occhi non bruciano più da molto tempo.

    Chi ha scelto di accompagnarmi? Il viaggio sarà lungo, lo ripeto a tutti.
    Ma solo io sono preoccupato, i miei uomini avanzano verso di me.
    Non voglio che mi tocchino, con quelle mani viscide di tante battaglie che hanno combattuto per me: inizio a scappare, sempre più veloce. Sono sicuro mi stiano inseguendo, quei pezzenti. Sento il loro fiato sul collo, i loro passi pesanti ma costanti. Non hanno mai difettato in resistenza.
    Come un ghepardo si sente stremato dopo aver raggiunto la massima velocità possibile, così io devo rassegnarmi, non prima di aver agitato qualche manata dietro le spalle, nella speranza di far del male almeno a qualcuno di loro. Ma nessuno desisterà, ne sono certo.
    Mi arrotolo in un cespuglio. Non sento nulla. Trascorro ancora qualche secondo in quella posizione. Devo alzarmi. Non c’è davvero nessuno, tuttavia non sono felice. Stupito, ritorno sui miei passi.
    Passo dopo passo, mi avvicino allo spiazzo nel quale ci eravamo radunati.
    Sono tutti lì, l’uomo di cui mi fidavo di più, Basilio, mi si para dinnanzi.
    “Capitano, che succede, perché si è allontanato?”

    Sarò io a tirarmi indietro, dunque, io che tanta sicurezza ostentavo?
    Ho deciso. Ora!

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  18. RITROVARSI.

    Lei, guardò con tenerezza lui che ancora dormiva:
    sollevò un attimo il lenzuolo che lo copriva e accarezzò con lo sguardo il corpo nudo.
    Era stata la loro prima notte di nozze. Sorrise, felice e soddisfatta e si stiracchiò.
    Ripensò al loro incontro avvenuto sei mesi prima in una clinica privata. Erano in attesa entrambi di una visita di controllo: il viso di lui gli era familiare, ma non riusciva a capire dove l'avesse conosciuto.
    Anche lui aveva avuto la stessa impressione.
    Si presentarono:
    "Sono Luca F ..." disse lui, "ma una volta ero Lucia!"
    "Io mi chiamo ora Michela M.., ma una volta ero Michele!" Restarono ebeti dalla sorpresa: solo sei anni prima erano stati marito e moglie. Si abbracciarono.
    Strana la vita, nessuno di loro aveva a suo tempo avuto il coraggio di spiegarsi: allora non erano abbastanza maturi per ammettere il loro intimo disagio. Si erano lasciati e persi di vista: ora il destino li aveva riuniti.
    Si erano ripresi e alla faccia del mondo che non approvava si erano sposati.

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  19. Titolo: "Incomprensibile"

    Ti guardo. Continuo a guardarti. Ma non negli occhi: quelli mi spaventano. Dicono che sono uno specchio, ma non sono fatti di vetro, quindi come può essere? Specchio dell’anima, aggiungono, ma che cos’è l’anima? Che cos’è un sentimento?
    È tutto astratto. Non mi piacciono le cose astratte. Non le vedo. Non mi sono chiare. Non sono nemmeno sicura di cosa voglia dire, la parola astratto. Però mi hanno insegnato che si dice così.
    Tu mi guardi, distendi la bocca. Mi hanno spiegato che è un sorriso e i sorrisi si fanno quando si è felici. Sei felice di guardarmi? Io non so cosa sia essere felici. O forse sì. Sono confusa… io sento il cuore che batte all’impazzata, lo stomaco che si stringe, e fremo. Mi hanno detto che succede quando si è innamorati. Però a me è successo anche quando ho visto quella brutta scena in tv, con l’uomo che accoltellava l’altro. E quello mi hanno spiegato che si chiama paura.
    Mi sollecitano a parlarti. Però non riesco.
    Non capisco. Non vi capisco. Non mi capisco.
    Dicono che sia perché sono autistica.

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  20. FRAGOLE ROSSO SANGUE

    Nessuna attività umana, nessuna macchina in azione. La quiete è profonda. Solo il cinguettio degli uccelli e lo stormire delle fronde a suggellare un patto antico. Qui, in questo luogo, non è ammessa l’oscurità dell’anima. L’unica ombra è quella degli alberi ad alto fusto che riscaldano i loro rami al sole.
    Il sentiero che si inerpica nel bosco sembra condurre in paradiso. Sprazzi di luce, il sole che gioca tra le foglie, raggi di pulviscolo dorato che danza a mezz’aria con grazia leggiadra. Tutto è dolcezza e languore, suggestione e desiderio, sul versante della montagna…

    ===

    È in cerca dei piccoli frutti rosso vivo che occhieggiano nel sottobosco, quelle fragoline asprigne e succose che si offrono solo a chi è disposto a sudare per trovarle.
    Una fragola alla volta, come gocce di sangue che sprizzano da un terreno ferito, e il cestino si riempie. A tratti cede alla tentazione e ne addenta una, macchiandosi le labbra e le mani. Minuscole gocce arrossano i candidi denti. Si lecca le dita con sensuale voluttà, una per una.
    Un sorriso si allarga sul suo volto, al ricordo...
    Ma qui sul fianco del monte nessun male è ammesso.
    Qui.
    Sul fianco del monte.
    ===
    È stata una lunga giornata. Il sole è quasi scomparso sotto la linea dell’orizzonte quando fa ritorno alla sua capanna.
    Apre la porta che gira sui cardini senza alcun rumore. Lei è là che lo aspetta dalla mattina, seduta sulla sedia di legno.
    La coppa sotto i suoi polsi tagliati è colma.
    Adesso, finalmente, potrà mangiare le fragole col suo condimento preferito. Intinge le dita nella coppa e le fa sgocciolare sui frutti, poi se le lecca con sensuale voluttà, una per una.
    Il dolce sapore del sangue si sposerà alla perfezione col retrogusto amarognolo delle fragole.

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  21. SE SOLO UNA PIUMA...

    Sara era una donna forte. Lo è sempre stata. Portava, come se fossero niente, pesi da squarciarle mente e corpo, ma al vederla sembrava che camminasse leggera. Eppure da giorni pensava "Se solo una piuma mi portasse via." Con questo pensiero andò a letto come se fosse un ordine per il mondo onirico.
    Ed eccolo il sogno.
    Mentre era lì in attesa, ecco la piuma: volava in alto. Ogni volta che si muoveva, spostata da diversi venti, la piuma risuonava.
    Sara saltava con le mani in alto: desiderava prendere la piuma.
    La piuma alla fine scese leggera come se danzasse sulle punte. Alla fine Sara la prese e le disse: "Ti prego, bella piuma, portami via di qui." La piuma sentì le sue parole e, invece di portarla via, entrò nel suo corpo e decise di restare lì.
    Sara sorrise sia nel sogno sia mentre stava dormendo: aveva una piuma che pulsava nel cuore.

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  22. FERITA MORTALE

    Lei giace nella quiete, sanguina mortalmente da una vistosa ferita al fianco, il suo vitale fluido si estende tutt’intorno, macchiando e sporcando qualsiasi cosa con cui viene in contatto. La ferita è più grave di quanto si pensi, lei non ha nemmeno la forza di urlare dal dolore.

    Sfiancata dalla perdita non può far altro che giacere su di un fianco, come se osservasse il suo sangue che cola dalla ferita, la sua estensione tutt’intorno a sé, come la macchia si estende coprendo ogni cosa.

    Ci sono dei soccorritori, fanno il possibile per salvare il salvabile, ma il danno è ormai fatto, cercano di contenere il suo sangue, ma non ci riescono.

    E nonostante i loro sforzi lei continua a sanguinare, come se una forza inarrestabile la spingesse a continuare, la forzasse a cacciar fuori di sé ogni singola goccia di linfa vitale.

    Il mortale silenzio che la pervade quasi soppianta la cacofonia di rumori che la circondano, le urla, le richieste di soccorso, le conversazioni a mezza voce.

    Lampi di luce la avvolgono mentre gli astanti la guardano, le fanno fotografie, riprendono i suoi ultimi minuti d’esistenza su quel mondo così crudele.

    Immancabili arrivano gli avvoltoi.

    Con le loro unte presenze la circondano, esprimendo rammarico, profferendo scuse, ma sogghignando al di sotto della maschera per la pubblicità che potranno ricavare dallo show mediatico dovuto all’incidente.

    Gioendo delle ricchezze che potranno arraffare seguendo l’onda mediatica e l’isterismo collettivo.

    I pochi che davvero s’impegnano per salvare qualcosa sono lì, sul luogo dell’incidente, immersi fino alla cintola nel sangue nerastro che ammorba il tratto di mare in cui la perdita è avvenuta.

    Lì dove le paratie della petroliera hanno ceduto ed il suo carico di petrolio, come nero sangue, è sgorgato dalle viscere della nave uccidendo e distruggendo tutto intorno a sé.

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  23. SOLITUDINE E VENDETTA

    Solitudine.

    Essere isolati da ciò che ci circonda, condurre un’esistenza grigia e priva di senso.

    Sono io solo? Sono io da condannare per condurre una simile vita? Si dice che la solitudine protrattasi per lunghi periodi conduca alla pazzia.

    Sono anche pazzo quindi.

    La mia intera esistenza è stata dedicata alla solitudine, alla rinuncia del contatto umano o animale. Sin dalla nascita ero solo e quando cercavo un contatto mi veniva negato, rifiutato, persino allontanato.

    Così decisi che avrei fatto della solitudine la mia migliore compagna, d’altronde non si dice meglio soli che male accompagnati?

    Però sento di starmi comportando in maniera anomala, qualcosa in me implora che io cerchi dei contatti, che io cerchi di estendere le mie conoscenze. Ma ogni volta che mi avvicino alla sfera umana vengo rigettato, combattuto ed infine allontanato.

    Costretto ad isolarmi in qualche zona sperduta finché non raccolgo abbastanza coraggio da riprovare.

    Ma è inutile.

    Per questo ho deciso di abbandonare tutto, di rinunciare al mio compito, al destino che questa vita ingrata mi ha assegnato.

    Ora vivo qui, in questa gabbia dalle trasparenti mura, osservato e controllato periodicamente da qualcuno, non ho contatti con loro, li ignoro quando mi si avvicinano offrendomi doni. Rimango apatico, immoto.

    Sconfitto.

    Li vedo agitarsi, preda di un’estasi che non comprendo, felici oltre ogni immaginazione. Sono felici per la mia solitudine?

    Festeggiano per aver trovato una soluzione, ma una soluzione a cosa? Apatico continuo ad osservarli, notando come ora puntino ed indichino verso di me.

    Sì, è me che indicano, sono davvero io che causo loro questa felicità.

    Io che mi sono isolato, costretto ad un’esistenza solitaria.

    Arreso.

    No, non darò loro questa soddisfazione, vedranno, oh se vedranno.

    Insegnerò loro cosa sono capace di fare.

    Insegnerò loro il mio nome.

    Ebola.

    E tremeranno dinanzi ad esso.

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  24. ORRORE

    Buio, fiamme, dolore.

    Con un guizzo l'uomo si alzò dal letto in cui era steso, svegliandosi improvvisamente dall'incubo appena vissuto.

    Confuso, volse lo sguardo intorno senza riconoscere l’ambiente in cui si trovava.

    Alzatosi dal letto poggiò i piedi sul pavimento, ritirandoli immediatamente per via del gelido contatto. Solo in quel momento si rese conto di essere completamente nudo.

    Rapidamente si portò le gambe al corpo iniziando a sentire i primi brividi di freddo. Il suo sguardo dardeggiava per la stanza cercando di ricordare come fosse finito lì, e fu in quel momento che il vero terrore si impadronì di lui.

    Non ricordava assolutamente nulla, né chi fosse, né come fosse finito lì.

    Improvvisamente il silenzio che fino a quel momento aveva pervaso la stanza si interruppe, migliaia di suoni quasi impercettibili iniziavano a riempire l'ambiente intorno a lui. Nel buio in cui si trovava gli risultava impossibile vedere cosa ci fosse lì intorno a lui, eppure qualcosa c'era per creare tutto quel trambusto.

    D’un tratto sentì qualcosa sul braccio, con un gesto istintivo mosse la mano libera e colpì lì dove aveva percepito movimento.

    Sulla sua mano sentì dei frammenti solidi e del liquido dal vago odore. Spalancando gli occhi capì cosa c'era nella stanza lì con lui.

    Insetti.

    Migliaia e migliaia di insetti.

    Più si agitava e più li percepiva su di sé, sul letto, tutt'intorno a lui.

    Nel panico si lanciò via dal letto per scacciarli, ma li sentiva sotto i piedi, le loro corazze chitinose in frantumi sotto al suo peso.

    Con disgusto cercò di riguadagnare il letto, ma erano troppi.

    Nel panico inciampò e cadde in avanti, affondando in quello che doveva essere un mare di creature chitinose. Li sentiva dappertutto, sul corpo, tra i capelli.

    Sulle sue stesse labbra.

    Iniziò ad urlare.

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  25. RICORDI

    Non ricordo nulla della mia esistenza, sono passato? Sarò futuro?
    Non lo so.
    Qual è il mio scopo?
    Perché sono qui?

    Avevo un nome una volta, credo. Non ne sono sicuro, ma ricordo una casa, una famiglia felice. Una donna mi sorride contenta, bambini mi abbracciano le gambe.

    Il ricordo è...felice.

    La scena muta, la casa brucia preda di violente fiamme, la donna urla e si dispera, i bambini…

    I bambini…

    Ne vedo i corpi abbandonati in giro, uno è steso a terra, coperto di sangue, non si muove, non respira.
    L’altro mi guarda con incomprensione, leggo nei suoi occhi la paura per ciò che non si conosce.

    Perché queste scene mi provocano così tanto dolore?

    Le fiamme si ergono più alte, sento un pianto intermittente, un lamento discontinuo che mi penetra nelle ossa facendole vibrare dall’orrore.

    La donna urla di folle e pazzo dolore, un dolore chimico, ferale istinto impresso nei suoi geni, la vedo lanciarsi tra le fiamme, ma prima….prima mi guarda negli occhi.

    Uno sguardo cupo, orripilato e carico di rabbia e odio.

    Perché? Perché rivolgermi quello sguardo?

    Basta con queste urla…BASTA!

    Il buio mi circonda, carezzandomi con il suo freddo tocco.
    Altre immagini emergono intorno a me. Rabbrividisco mentre le guardo, il mio animo viene scosso, tremo incontrollabilmente guardando orripilato un destino da me inscenato!

    Un orrore creato da me stesso in un’ estasi di follia.

    Mi vedo spargere benzina per la mia dimora, dopo aver picchiato a sangue mio figlio, lasciandolo privo di vita sul pavimento lordo di sangue.

    Sangue che ora scivola giù dai miei occhi.

    Non voglio ricordare…Non voglio!

    Seduto qui su questa poltrona incenerita guardo i corpi dei miei cari intorno a me.

    Sensi di colpa, voglia di giustizia.

    Armo il cane.

    Freddo metallo sulla tempia.

    Perdonatemi.

    “Macchia di sangue sul muro.”

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  26. Titolo: Mamihlapinatapai *

    Anche per te è così?

    Mi parli, nascosto a metà da un bicchiere che contiene ormai non più di un dito di liquido rosso, vagamente alcolico. Mi parli ma non ti sento.

    Il bar. I rumori. La gente che parla. C’è una coppia, dietro di me, che sta discutendo di comperare una casa. Lei vorrebbe una singola, magari in campagna. Per stare in silenzio, respirare aria buona, magari avere un cane. E un figlio, penso io. Lui invece vorrebbe un appartamento in città. La carriera. La movida. Il divertimento. Mi domando se litigheranno. Anche solo per il gusto di fare la pace sotto le coperte.

    Li sento; penso che vorrei che fossimo noi, tra qualche anno. Poi spariscono, volando oltre i confini della mia coscienza. Voglio dire, guardo le tue labbra e ne sento il sapore. Vedo la tua lingua guizzare tra i denti mentre mi parli. Vorrei poterti ascoltare, ma ti vedo e il mio cervello si scioglie. Ti guardo negli occhi e ho un desiderio solo, mescolato inestricabilmente con la paura che questo desiderio sia solo mio.

    Anche per te è così?

    ---
    * Mamihlapinatapai, o mamihlapinatapei, “è una parola del lessico yamana, la lingua degli Yamana, una popolazione autoctona della Terra del Fuoco prossima all’estinzione. Il vocabolo è noto per essere una delle parole più concise e di difficile traduzione al mondo, come viene presentata nel libro del Guinness dei primati. Il termine descrive l’atto di «guardarsi reciprocamente negli occhi sperando che l’altra persona faccia qualcosa che entrambi desiderano ardentemente, ma che nessuno dei due vuole fare per primo».

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  27. Titolo: dopo la pioggia.

    Amo la pioggia. Appena smette di piovere, esco dal luogo asciutto e sicuro in cui mi sono riparata ed esco a esplorare i dintorni. Lentamente, per assaporare ogni istante di frescura e tranquillità. Procedo lenta, gustando ogni secondo, anche perchè più di tanto veloce non riesco ad andare. Il mio bagaglio pesa, troppo, ma io vado avanti. Mi godo la differenza di suolo nel quale cammino: erba fresca, sabbia pungente, asfalto caldo ma ora bagnato e deliziosamente umido. Avanti, senza sosta. Pochi centimetri che però paiono un'eternità. E io procedo. Poi li vedo. I miei peggiori incubi. anche loro escono, appena finito di piovere, escono a godersi il paesaggio ma sono troppo attratti dalle nuvole che si rincorrono per accorgersi di me, che avanzo tranquilla. Uno mi schiva, anche il secondo. Pochi passi ancora e sarò salva. Ma poi ecco lui, il fanatico del fitness, lui che corre imperterrito. Non so se mi abbia visto, se poteva evitarmi e non l'ha fatto, se l'ha fatto apposta...
    un colpo solo, il suo piede mi schiaccia e la mia vita finisce lì, su quell'asfalto umido, a pochi centimetri dalla salvezza.
    è questa la dura vita di una chiocciola.

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  28. Auguri per il 4 * compleanno!

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  29. La Bambina

    C'era un gran viavai in quell'ospedale e le pareti bianche sembravano appartenere ad un manicomio.
    Il chiasso mi rimbombava nelle orecchie, ma io automaticamente me ne distaccavo. Dopotutto ci ero andata per visitare una bambina.
    Agli occhi degli altri, questa bambina sembrava essere invisibile: nessuno badava a lei, nemmeno un medico.
    Forse la davano per irrecuperabile, ma io so che ce la può fare. Nonostante lei faccia fatica a stare in piedi, abbia le mani e i piedi provati dal peso che hanno portato per anni in silenzio, ho fiducia in lei.
    E poi il viso segnato da un pallore estremo con gli occhi che sembravano essersi riempiti così tanto di lacrime da gonfiarsi.
    Da quanto non riesce a dormire?
    Da quanto se ne sta lì in tensione?
    Ogni tanto diceva qualche parola. A qualcuno sarà sembrato che stesse farneticando ma io so che non è così.
    L'unica cosa che potevo fare in quel momento era stendermi accanto a lei e ascoltarla.
    So che questo momento passerà. Ne sono certa.
    Non posso mica abbandonarla a se stessa.
    Le ho cantato una ninna nanna.
    Il rumore sembrava essere sparito e io la guardavo. Un timido e lieve sorriso si è affacciato sul suo volto.
    Nonostante un corpo che sembra essere martoriato, io lo so che dentro di sé conserva gelosamente una scintilla di luce.
    Solo io lo so.
    Dopotutto lei è la mia bambina interiore e se non ci fossi io ad ascoltarla, chi potrebbe farlo?

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  30. Pronto Soccorso

    Quando arrivò da me, irrompendo dalla porta con la furia di un uragano, i suoi occhi erano disperati.
    Con mani tremanti mi porse il suo piccolo amico ferito.
    Le lacrime rigavano un visino pallido.
    "Non volevo fargli male! Puoi aiutarmi?"
    La sua domanda riecheggiava come una implorazione a non negargli quella tenue speranza.
    Non avevo risposte, dovevo prima accertarmi della situazione.
    Gli indicai una sedia accostata al muro e adagiai il paziente sul tavolo operatorio.
    Valutate le sue condizioni, mi diressi all'armadietto dove era custodito tutto l'occorrente per un delicato intervento. Sono necessari diversi punti alla zampa, sentenziai.
    Bastarono pochi e rapidi gesti per infilare ago e filo; poi, iniziai a ricucire con precisione la parte interessata. Scrutavo, di tanto in tanto, l'espressione preoccupata del giovane soccorritore.
    "Ecco fatto"! Esclamai, dopo quei momenti di forte tensione. La mia voce vibrava di soddisfazione.
    Mostrargli il risultato finale di quell'intervento rendeva felice anche me.
    "Starà bene?" Chiese con un filo di incertezza.
    Lo rassicurai: "Devi solo occuparti di lui con amore e attenzione".
    I suoi occhi si illuminarono di gioia, mentre le sue braccia si tendevano impazienti per accoglierlo nuovamente.
    "Grazie mamma, per aver guarito il mio Ippino".
    Riscossi il mio premio: un bacio fugace.
    Non avrei mai pensato che riparare un pupazzo potesse farmi sentire così vicina a un chirurgo. Qualcosa di prezioso era custodito in quell'involucro di punti e stoffa e io, ero riuscita a salvarlo.
    Riposi la mia scatola da cucito e assaporai ancora un pò di felicità guardando mio figlio giocare col suo migliore amico.

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  31. Il dolore

    – Stringi. Stringi quanto vuoi, non aver paura. Sono qui.
    Le mani impallidiscono, ma le sento bollenti. Morse dalle sue, unghie come denti che si conficcano nelle mie carni. Passano i minuti e Laura continua a tremare. I capelli le cadono sulla fronte imperlata di sudore, trema, rannicchiata su sé stessa. Pare una strega, magra e avvizzita, consumata dallo sforzo giorno dopo giorno. Mi fa sembrare una ragazzina venuta a consolare la vecchia zia, eppure è più giovane di me.
    La presa si allenta e Laura si scioglie, adagiandosi sul letto. Il petto le si alza e abbassa lento, espira con un debole fischio che le sale dalla gola.
    – Sta passando? – le chiedo.
    Annuisce, mima con le labbra una risposta a cui non sa dare fiato.
    Le accarezzo la fronte togliendole i capelli dal viso. Con le mani intorpidite verso un bicchiere d'acqua e glielo porgo sperando non mi cada. Beve pochi sorsi. So che ha sete, ma ha imparato ad avere pazienza: non vuole il suo corpo scosso da colpi di tosse in questo raro momento di riposo.
    Quando si sente abbastanza sicura per alzarsi l'accompagno in bagno. Le lascio qualche minuto di privacy, su questo non transige. Non vuole sentirsi ancora tanto impotente. Al ritorno le sue gote sono rosee.
    – Grazie di nuovo, Michela.
    – Non serve ripeterlo ogni volta.
    – Devo. È importante tu sia qui, soprattutto per mia madre. Non lo dice, ma le leggo negli occhi che non ce la fa più a vedermi così.
    Altruista Elena, anche nella sua condizione. L'abbraccio, vorrei piangere, ma non mi concedo questo lusso davanti a lei.
    La sento piegarsi tra le mie braccia, sta ricominciando. L'aiuto a stendersi, le prendo ancora le mani, implora aiuto col suo sguardo sofferente.
    – Stringi. Stringi quanto vuoi. Sono qui.

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  32. IL DIVERSO
    Il giardinetto con le panchine, i passeggini, le mamme annoiate, i bambini che corrono chiassosi, i cani scodinzolanti che annusano e guardano eccitati tutto quel movimento.
    Il profumo dei tigli.
    Non passano auto, solo qualche bici e il mondo sembra quieto.
    Anche lei sta seduta, rilassata, senza bambini su cui riversare la sua attenzione.
    Osserva e pensa con piacere ai fatti suoi. Lascia che lo sguardo segua la vita del giardinetto, senza coinvolgimento.
    Guarda il sole che filtra attraverso i rami di un salice piangente creando una luce delicata.
    Sfiorando i rami, una mamma con un ragazzino avanza . Non li vede bene, sono controluce, nota solo l'altezza del bimbo che potrà avere 10 o 11 anni e pensa che è strano tenga ancora per mano la mamma. Si avvicinano e occupano la panchina accanto. Ora può vedere che il bimbo ha la sindrome di Down.
    Una contrazione allo stomaco, un disagio immediato e altrettanto immediata l'irritazione che prova verso questa sensazione. Il diverso la colpisce ancora, ha paura di non sapere come rapportarsi con lui. Non lo guarda, fissa ostentatamente il salice. Poi sente i passi, un po' strascicati che le si avvicinano e con la coda dell'occhio vede il piccolo Down sedersi accanto a lei.
    Non può ignorarlo, non si può.
    Volge la testa e i loro sguardi si incrociano. Lui sorride con gli occhi un po' acquosi e la lingua che si appoggia al labbro inferiore. Sorride e la guarda in attesa. Anche lei gli sorride, cercando di essere naturale. Lui le appoggia la fronte sul braccio, così, semplicemente, come fanno i gattini. Allora è tutto a posto, tutto dolce e facile, è sufficiente che lei faccia altrettanto, appoggia la fronte sui morbidi, sottili capelli biondi del piccolo Down e si sente felice, molto felice.

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  33. Titolo: “Il Cavaliere lucente”
    Molto tempo fa, in una lontana provincia viveva un Cavaliere lucente. Tutti i sudditi lo ammiravano. Il Re, un giorno, decise di dargli in sposa l'unica figlia. La sola persona a rattristarsi fu proprio la Principessa, che a chiunque glielo domandasse rispondeva che non ne voleva sapere nulla di un uomo la cui unica qualità fosse la lucentezza. Non potendo sopportare quel visino triste, il Re invitò il Cavaliere nella capitale.
    Tuttavia egli non rispose alla convocazione.
    Fra il popolino dilagò lo sconforto. Il Re, abituato a essere obbedito, si addolorò molto per non poter dare ai sudditi ciò che chiedevano. Aspettò qualche stagione e al termine della stagione della caccia gli mandò un nuovo invito.
    Ma il Cavaliere non si mosse dal suo castello.
    Il Re, infuriato, decise quindi di muovere guerra al proprio vassallo; chiamò a sé i sudditi più valorosi e armò un grande esercito, che mise in marcia verso quella lontana provincia. La sua tenera figlia, il cui cuore soffriva ogni giorno di più, era alla finestra mentre si allontanava, e pianse.
    Si racconta che dalle lacrime di un'anima infranta siano nati i fiumi del Regno. È per questo che un menestrello quale io sono esita a bere dal comune boccale, tanto quanto io esiti a raccontare l'epilogo della storia.
    Da quel giorno la Principessa visse in una torre angusta, bevendo solo l'acqua più pura e pregando ogni giorno per il ritorno del suo augusto padre. Ogni tanto udiva nuove dalla guerra ma nulla che la rallegrasse.
    Alla fine il Re fece ritorno. Era nero in viso e nel cuore; in un carro aveva riposto l'armatura splendente, che si trascinava in casa come una maledizione.
    “Ora sarà qui, la sola luce del Regno,” disse.
    Non ci fu più allegria, nel Castello. Solo ricordi.

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  34. IL PRIMO GIORNO

    La signora Bruna era incredula quando nacque Valentina.
    - Ci mancava anche questa! – aveva esclamato.
    Più che incredula, era delusa. Per nove mesi si era convinta che avrebbe partorito un bel maschietto. Tutto uguale a mammà!
    Aveva sempre sognato un maschio, la signora Bruna. E, non si sa come e perché, questa convinzione si radicò in famiglia.
    Per nove mesi, papà, nonna, zia e il parentado sparso per l’Italia, isole comprese, erano convinti che sarebbe nato un bambino.
    Tutto uguale a mammà!
    D’altronde, come darle torto, la pancia era a punta, e se la pancia è a punta nasce un maschio. Sì, un bel maschietto, tutto uguale a mammà!
    La signora Bruna era talmente convinta che durante l’ecografia non guardava il monitor e al dottore diceva: - Non mi dica niente, è un maschio lo so.
    Così, quando fu il giorno del parto, la signora Bruna disse al marito di preparare la tutina azzurra e le calzette, azzurre pure quelle.
    E quando, finalmente, il nascituro venne al mondo, la voce della signora Bruna riecheggiò nella stanza. - Ci mancava anche questa!
    E si ritrovò tra le braccia una bella bambina vestita d’azzurro.
    La notizia fece il giro dell’Italia, isole comprese.
    - E’ una femmina – annunciò il padre.
    - Non è possibile – disse la zia.
    - Non scherzare – rispose la nonna.
    - Ma no! Non è vero, sarà un bel bambino. Tutto uguale a mammà! – seguitarono i parenti in coro.
    Intanto, in culla, Valentina piangeva.
    E nessuno saprà mai se piangesse perché così fanno tutti i neonati o perché doveva essere un maschio e stava dando ai suoi genitori la prima delusione.
    Di certo piangeva perché si era resa conto di far parte di una famiglia di ignoranti.
    “Ci mancava anche questa!” Fu il suo primo pensiero.

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  35. Il Soldato


    Tutto era nero e senza forma: solo un eterno nulla, un mosaico di migliaia di tonalità di verdi che formava la foresta germanica.
    I rami si spezzavano, gli aghi aguzzi delle conifere gli tagliavano faccia e mani. La tunica era chiazzata di fango e argilla. Gli animali scappavano, e non per lui; la foresta sembrava disabitata, ed un branco di cervi terrorizzati gli saettò attorno. Il soldato romano trovò riparo dietro al tronco di un enorme abete in tempo per sfuggire alle corna degli esemplari più giovani.
    Il respiro e il battito cardiaco lo assordavano e l'elmetto di cuoio gli pesava sulla testa, stringendola in una morsa claustrofobica; la foresta si stava addormentando nell'autunno incombente, eppure sentiva il sudore ruscellargli lungo il collo, fatica e paura liquide.
    Roteò gli occhi nel tentativo di mettere a fuoco le figure in movimento, gli ultimi cervi che scappavano, le ombre degli alberi che si intersecavano e i fusti che salivano così alti da oscurare il cielo nelle loro fronde sempreverdi e dorate... Doveva impedire al generale Varo di partire.
    Un barbaro gli fu addosso, un corpo pallido e chiazzato di verde che, a bocca spalancata, caricò in un urlo muto. Il soldato riuscì a estrarre il gladio e affondarlo nel corpo, lasciandolo poi cadere senza sangue. Continuò a correre, e i barbari gli tennero dietro come un branco di lupi, fauci aperte e occhi scarlatti. Altri due divorarono il compagno caduto.
    Il soldato sentiva solo il proprio respiro: i barbari erano già morti.
    Colpì un secondo barbaro privo di parte del viso e saltò oltre un tronco. Colpì un terzo, un sesto, perse il conto quando la lama si incastrò tra le costole di un corpo.
    Abbandonò il gladio e corse nelle tenebre della foresta.
    I Morti lo inseguirono.

    Nessuno ritornò.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie per la partecipazione!

      Con questo racconto si chiudono quelli ammessi al concorso.

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