Se non mi trovate qui... ecco dove cercarmi!

Se non mi trovate qui...

Ormai sono diversi anni che scrivo pochissimo qui sul blog. Mi dispiace davvero molto e vorrei dire che diventerò più solerte ma... so benis...

giovedì 14 luglio 2016

Concorso di compleanno per i cinque anni del blog

Ieri il mio blog ha festeggiato il suo quinto anno di vita e oggi, come promesso, vi propongo un concorso.

Dato che formula che vince non si cambia, anche quest'anno vi proporrò qualcosa di molto simile al concorso dell'anno scorso e di due anni fa perché è qualcosa che è piaciuto a voi e dato soddisfazione a me (nel senso che sono fiera dei risultati, anche piccoli, raggiunti).

Si tratta dunque di un concorso e non di un giveaway a estrazione.
Voglio vedervi spremere le meningi creative!
Le regole sono molto simili a quelle dell'anno scorso, ma le ripeto, ovviamente, anche perché ci sarà una novità: il premio del pubblico!


Per partecipare
Se volete partecipare al concorso dovete scrivere un racconto breve a tema libero di massimo 300 parole. Dovete poi postarlo come commento a questo post, in modo anonimo, così non verrò accusata di fare preferenze durante la mia scelta.

Scadenza
Potete partecipare da oggi fino al 31 agosto.

Le fasi
Quest'anno voglio articolare in fasi tutto ciò che avverrà durante questo concorso, così che non vi perdiate qualche pezzo perché ci saranno alcune novità.

Fase 1 - Invio dei testi (da oggi al 31 agosto 2016). In questa fase dovete solo lasciare in commenti anonimi i vostri testi di massimo 300 parole.
[Precisazione: Potete partecipare con tutti i racconti che volete, però, se ne sceglierò più di uno dello stesso autore tra i tre finalisti, l'autore stesso dovrà decidere quale lasciare sul podio e l'altro (o gli altri) verranno rimpiazzati da altri racconti selezionati da me]

Fase 2 - Comunicazione dei tre testi finalisti (13 settembre 2016). In questa data comunicherò in un post i tre racconti selezionati da me come finalisti. A questo punto tutti potranno dichiarare quali sono i loro racconti. I tre finalisti verranno contattati per la fase di correzione e/o editing del testo se necessario e io inizierò a realizzare i video.

Fase 3 - Pubblicazione dei video (ottobre 2016?). Non inserisco una data specifica perché voglio realizzare video di qualità e, come l'anno scorso, occuparmi io stessa di fotografie e suoni oltre che dell'audio e del montaggio. Farò comunque il prima possibile.

Fase 4 - Votazione (dalla pubblicazione dei video e per due settimane). In questa fase potrete fare due cose: votare il vostro video preferito tra i tre finalisti e votare il vostro testo preferito tra i non finalisti. Il voto dei partecipanti al concorso varrà 3 punti, quello degli esterni 1, in entrambe le classifiche. Non accetterò voti di commenti anonimi o non firmati e i tre finalisti non potranno votare.

Fase 5 - Proclamazione dei vincitori (qualche giorno dopo la fine delle votazioni). A seguito delle due classifiche vi presenterò il vincitore del concorso (scelto da voi tra i tre finalisti) e il vincitore ripescato dalla giuria popolare.

Il vincitore ufficiale del concorso potrà scegliere in assoluta libertà tra:
  • un mio editing di uno suo racconto di massimo 20.000 caratteri;
  • un video di alcuni minuti con un estratto tratto da un suo libro/racconto a fini di promozione;
  • una copia di uno a scelta dei miei due libri, che ormai sono di un secolo fa, Voliamo Insieme con la Fantasia e La mia amica Clorinda.


Il vincitore del premio del pubblico avrà diritto a veder trasformato in un video il suo racconto (proprio come i tre finalisti)! Quindi, quest'anno, anche se non siete tra i miei prescelti, potete ancora sperare in un'audiolettura gratuita del vostro pezzo!
Se poi non sarete nemmeno stati ripescati, sappiate che come l'anno scorso potrete commissionarmi la realizzazione del video del vostro racconto a un prezzo superscontato, ma ne riparleremo alla fine dei giochi.

Questo è ciò che vi posso offrire, spero che sia abbastanza per spingervi a partecipare! Vi aspetto numerosi!

Allora, tutto chiaro? Pronti a partecipare? Non preoccupatevi, ogni volta vi spiegherò cosa fare, quindi per il momento dovete solo ricordavi di partecipare prima del 31 agosto!

Se volete potete iscrivervi e condividere l'evento Facebook! Grazie!



Sperando di incentivarvi ulteriormente, vi lascio qui di seguito i tre video finalisti dell'anno scorso dal primo al terzo classificato!





AVVERTENZA: Esistono normative sul fenomeno del giveaway a mio avviso poco chiare. Comunque io qui regalo servizi o copie dei miei libri. Questo concorso non mi porta alcun vantaggio economico, al massimo un aumento di visite per il blog (e non avendo pubblicità di terzi sul blog, questo non si traduce in denaro). Se io volessi prendere alcune copie dei miei libri, andare in una grande piazza e lasciarne qualche copia a dei passanti potrei farlo, non vi pare? E ho spesso fatto editing e video gratuiti, quindi...
Ecco, questo giveaway è la stessa cosa, solo che cerco di stimolare un po' la creatività. 




Hanno parlato di questo articolo: 

68 commenti:

  1. Dai, quest'anno cercherò di partecipare anch'io!

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    1. Si può partecipare con un solo racconto?

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    2. Gli insicuri possono partecipare con tutti i racconti che desiderano! ;-)

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    3. Confermo! Tutti i racconti che volete!

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  2. Bello! Penso proprio di partecipare.
    Ciaoooo

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  3. Ritratto di viaggiatore in lacrime con caffè

    Nella stazione centrale della città dei ponti e delle case strette, un viaggiatore dagli occhi turchi siede solo a gambe ciondoloni su uno sgabello dell'osteria dove anch'io mi trovo di passaggio.
    D'aspetto curato, non sembra giovane ma nemmeno tradisce di non esserlo, e alterna sguardi nervosi in lontananza a fredde carezze al proprio bagaglio, un'imponente colonna di valigie nere. Nel pesante cappotto sembra trovare conforto ma i suoi occhi troppo lucidi sussurrano tristezza. Sorseggia veloce il suo caffè senza sentirne il sapore e si frega le mani come per mondarle da qualcosa che lui solo riesce a vedere.
    Mentre la sua mente è occupata da altri eventi, dondola le gambe penzolanti come quando era fanciullo. Lui è lì che aspetta da sempre: quando io sono entrato già c'era e anche quando sono uscito si trovava ancora lì, non più solo però: la lacrima che tanto attendeva era arrivata.

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    1. Racconto ammesso al concorso. Grazie per aver partecipato...

      ... e per essere stato il primo (o la prima!).

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  4. Bellooo cerco di ispirarmi per il concorso :) e condivido il video al più presto, scusa Romina è che sono a casa col pupo che non mi molla MAI e quando dorme lavoro

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    1. Il pupo ha la precedenza, sempre! C'è tempo per il concorso.

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  5. Racconto

    Ghiaietta, sabbia, vasetti nuovi, piante grasse, paletta.... Mancava solo il terriccio ma quello non era un problema. Bastava soltanto andare in quello che una volta era l'orto ed ora era un campo incolto. Lì, c'era il compost di casa, quello buono, fatto con gli scarti di cucina. Caffè, foglie di insalata, bucce di frutta...
    Secchio e paletta e si avviò sorridendo. Come se stesse andando incontro a degli amici.
    Di fronte a quello scuro enorme cumulo si inginocchiò.
    Lo odorò. Sapeva di umido, quell'aroma forte di sottobosco e foglie marcite.
    Vi immerse le mani, le unghie che diventavano nere ma non le importava.
    Le sembrava di entrare in profonda sintonia con qualcosa di atavico. Una sensazione carnale. Quasi un ritorno ad un utero materno, dolce e accogliente. Un viaggio a ritroso alle origini della vita. Alla terra madre. Come fondersi nelle radici della vita stessa. Per diventare un tutt'uno con l'intero universo. In mistica simbiosi.
    Avrebbe voluto sciogliersi davvero in quella terra. Farne parte completamente. Diventar pianta o fiore o erba.

    Venne il buio. Andarono a cercarla. Sparita! Ai margini del cumulo, paletta e secchiello. Di lei, nessuna traccia. Solo un alto anemone blu che si dondolava ad un vento che non c'era. Come in un abbraccio.

    Ciao!

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    1. Racconto ammesso al concorso. Grazie per aver partecipato.

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  6. Il sorriso della fioraia

    C'era in una piccola cittadina una fioraia. Non aveva un suo negozio, ma lavorava per strada e non sempte aveva i fiori che tu desideravi. Però molti chiefevano di lei. Era famosa per il suo sorriso e per la sua propensione a regalare fiori a ignoti passanti.
    Nessuno aveva mai capito questo gesto finché un giovane detective, indagando su alcune morti sospette, vide che tutti non avevano punti in comune se non l'aver ricevuto il giorno prima della morte un fiore con tanto di fiocco e nome. Era quello della fioraia.
    Subito la donna venne arrestata per omicidio ma molti non potevano credere che lei era unassassina seriale. Prima lo shock e poi il chiedersi se davvero quella donna era consapevole di lasciare tracce evidenti. Il detective si chiese se prima di quei casi ce ne erano altri e trovò che diversi avevano gettato il fiore e altri lo avevano regalato.
    Le morti sembravano avere varie cause e in più si seppe dall'interrogatorio che la fioraia non cobosceva di persona la maggior parte delle vittime così come non seppe spiegare il perché di quello che faceva. Sentiva solo che doveva farlo.
    Fu giudicata pazza e rinchiusa in un manicomio dove visse finché morì a tarda età.
    Fino ad allora tutti i pazienti e dottori ricordavano distintamente il suo sorriso. In particolare uno era sempre sereno e luminoso e lo dava solo a persone che, tu guarda la coincidenza, il giorno dopo morivano sempre.

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  7. Sono colui che ha scritto il racconto della fioraia e ho visto solo dopo aver scritto il commento come ci siano degli errori che io ovviamente non volevo ma ditelo al mio (s)correttore

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    1. Racconto ammesso al concorso. Grazie per aver partecipato.

      P.S. Se vuoi correggere gli errori, puoi presentare una nuova versione. Ammetterò al concorso solo la versione più recente.

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    2. Grazie


      Il sorriso della fioraia

      C'era in una piccola cittadina una fioraia. Non aveva un suo negozio, ma lavorava per strada e non sempre aveva i fiori che tu desideravi. Però molti chiedevano di lei. Era famosa per il suo sorriso e per la sua propensione a regalare fiori a ignoti passanti.
      Nessuno aveva mai capito questo gesto finché un giovane detective, indagando su alcune morti sospette, vide che tutti non avevano punti in comune se non l'aver ricevuto il giorno prima della morte un fiore con tanto di fiocco e nome. Era quello della fioraia.
      Subito la donna venne arrestata per omicidio ma molti non potevano credere che lei era un'assassina seriale. Prima lo shock e poi il chiedersi se davvero quella donna era consapevole di lasciare tracce evidenti. Il detective si chiese se prima di quei casi ce ne erano altri e trovò che diversi avevano gettato il fiore e altri lo avevano regalato.
      Le morti sembravano avere varie cause e in più si seppe dall'interrogatorio che la fioraia non conosceva di persona la maggior parte delle vittime così come non seppe spiegare il perché di quello che faceva. Sentiva solo che doveva farlo.
      Fu giudicata pazza e rinchiusa in un manicomio dove visse finché morì a tarda età.
      Fino ad allora tutti i pazienti e dottori ricordavano distintamente il suo sorriso. In particolare uno era sempre sereno e luminoso e lo dava solo a persone che, tu guarda la coincidenza, il giorno dopo morivano sempre.

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    3. Grazie per la versione riveduta e corretta!

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  8. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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    1. Avevo scritto una scemata😊

      Belli i racconti.

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    2. Sono felice che stiano già arrivando i primi!

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  9. Manoscritto in lettura

    E’ un sapore strano, secco e polveroso: impasta la bocca, che però è asciutta.
    Forse è un sapore amaro, ma potrebbe anche essere acido: è un sapore grigio, che non le lascia aprire la bocca, non lascia entrare aria. La soffoca ma non arriva alla gola.
    La stanza ha tremato e Lea, immobile, ha paura.
    Si guarda in giro ma tutto è tranquillo: forse si è solo addormentata. Quel lavoretto come lettrice per la casa editrice le porta via le ore migliori della notte, ma quei soldi le servono.
    Torna ad accoccolarsi sul divano, con quel nuovo manoscritto! Strano: ne ha già lette alcune pagine ma non ne ricorda una sola parola.
    Le parole… diventano fosforescenti, un giallo acido bollente e dalle pagine, strisciando, passano alle mani, entrano nel suo corpo, seguono la rete di vene e capillari: artigliano le mani, le braccia. Due respiri affannosi e il terrore arriva al cuore, lo sente pulsare, enorme!
    Lea non riesce neanche a urlare, corre in bagno, vomita quel colore giallo o forse è solo il panino di poco prima.
    Apre l’acqua nella doccia, tiepida e invitante!
    Viscida e verde, odore di stagni puzzolenti, vermi e alghe marce la ricoprono, la pelle si stacca, a brandelli, e finisce nello scarico assieme a capelli e a insetti mostruosi.
    Esce dalla doccia, sconvolta. Occhi terrorizzati la fissano dallo specchio: sono i suoi!
    Ma ancora una volta intorno a lei è tutto a posto. Tempo due minuti e, ancora umidiccia e frastornata, torna al manoscritto, attratta come da una calamita.
    Lo apre con un misto di terrore e di curiosità, attenta a non leggerne una sola parola e arriva velocemente all’ultima pagina.
    Poche righe, una calligrafia infantile, innocua e allo stesso tempo minacciosa.
    “Ricorda: i manoscritti vanno letti per intero... altrimenti si vendicano.”

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    1. Racconto ammesso al concorso. Grazie per aver partecipato.

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  10. - E la notte cede il passo -

    Riflessi lucenti sulla liscia superficie di uno stagno di marmo. L'illusoria profondità dell'acqua: null'altro che il ridursi fisico di una cieca infinità.
    Una figura viva inspira l'aria di questo luogo. Espira. Ritmicamente...
    Se ne sta ingobbita con l'occhio impresso sull'anello di oricalco che stringe saldamente un concavo di quarzo molato. L'astronomo interpella il cielo stellato mentre per i suoi simili, sospinta dalle burrascose memorie del giorno trascorso, si alza la marea dei sogni.
    Nell'ora più buia, egli sembra vedere con più chiarezza.
    Proiettato verso immani nebulose, rese fioche da distanze impercorribili, il suo sguardo si fa strada parimenti fra lo spazio e il tempo. Egli brama da una vita intera il rinvenimento d'una pagliuzza dorata sfuggita al setaccio dei cercatori del passato.
    Scava e rimesta il limaccio cosmico...
    «Troverò ciò che cerco o la clessidra della mia esistenza si esaurirà prima?» si domanda. Quand'è stata la prima volta in cui s'è posto questa domanda? Non lo ricorda...
    Scava e rimesta...
    Un lampo fende il campo visivo! Eccola! Ma è un attimo: solo il tempo di annotare alcuni simboli confusi che la più brillante tra le luci sorge inesorabile. E la notte cede il passo.
    Il Sole ravviva l'inchiostro steso in tutta fretta e l'astronomo sorride osservando quel codice sconnesso. Lo agguanta, ma con delicatezza, senza mai distogliere lo sguardo, quasi possa svanire anch'esso come poco prima è accaduto all'astro.
    Si raddrizza: il torpore e la stanchezza cominciano a farsi sentire. E poi l'età... Ma sorride. Lascia volentieri il cielo azzurro ad altri. Solo il breve tempo di una rotazione terrestre. Il suo ninnolo luminoso lo avrebbe aspettato lì, dove il suo bagliore era stato sopraffatto.
    Anche lui lo avrebbe aspettato lì
    ˗ Ingobbito... Sopraffatto... -
    e sorride
    - Immobile... -
    per sempre.

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    1. Racconto ammesso al concorso. Grazie per aver partecipato.

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  11. “Mare verde”

    Fisso quel mare verde scosso dal vento. Canta.
    Il sole mi abbaglia e io mi perdo nei ricordi, quasi affogo, ipnotizzata dall’ondeggiare delle foglie.
    Quell’albero dalla folta chioma è l’unico posto che penso si possa definire “mare”. Nuotare non mi è mai piaciuto granché e trovo troppo viscidi i pesci. Ma sui rami di quell’albero ho sognato, viaggiato, riso, pianto. Ho passato i momenti migliori e peggiori.
    I miei primi ricordi sono legati a lui, le corde dell’altalena, io che volavo e vedevo solo tutto quel verde su di me. Timore e incanto.
    Forse anche i miei ultimi istanti saranno lì, con una nuova corda e un diverso ondeggiare, senza più volare. Ma a spezzare la paura, a far svanire il dolore, a placare l’ansia, ci pensa la natura: un uccellino, l’animale che preferisco, si affaccia dal nido. Si lancia, sembra precipitare, ma infine le ali si aprono e risale.
    Il suo coraggio è l’esempio. Respiro a fondo, sorridendo. Volerò anch'io, stavolta da sola, con le mie uniche forze. Vivrò, perché anch'io me lo merito.

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    1. Racconto ammesso al concorso. Grazie per aver partecipato.

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  12. Vacanze 2016
    APP da spiaggia

    Nella prossima vita voglio essere una medusa, molto urticante.
    E verrò a cercare voi, sì, proprio voi che state lì in spiaggia col naso dentro al telefonino, per vedere se tra 5 minuti pioverà, per rompere le scatole a chi altrimenti vi ignorerebbe, per farvi dei selfie da vergogna. Rotoli di ciccia unti e bikini da bordello.
    E quello lì che mi sta filmando? Avvisare il bagnino no eh? Meglio un filmatino! Saluta con la manina, saluta e annega che poi ti carico su youtube.
    Diventerò virale, purtroppo in compagnia della loro tecnologica stupidità user friendly.

    Alpinismo da spiaggia
    Quest’anno montagna. Basta mare con la sabbia nel panino e negli slip, con il sale che brucia sulla pelle, con formine disperse e rastrelli subdolamente sepolti.
    Scelgo a caso: Trentino, media altezza, Cles.
    Passeggiata di ambientamento. Giro l’angolo e... sopresa!
    Una bellissima piazza trasformata in spiaggia: vasche di legno con sabbia, ombrelloni e sdraio! Bambini con gelati fragola e sabbia, mamme che cospargono di crema solare qualsiasi bimbo incrociano.
    Vorrei chiedere “Perché?” a un vigile, ma desisto: sulla camiciola c’è scritto “vigile bagnino” e potrebbe multarmi, per via degli scarponcini da trekking appena comprati.

    Il colore del mare
    Mi hanno portato al mare.
    Strano tipo, il mare. Freddino, forse triste: è salato come le mie lacrime.
    Meglio la sabbia, calda e fine. Chiudo gli occhi e ascolto: il risucchio, il frangersi delle onde, il cloc dei sassi portati a passeggio.
    Rilassante, fino all’arrivo di un padre petulante che cerca di spiegare al figlio come stendere il salviettone e perché il mare è azzurro.
    - E tu, bambino, hai capito? – mi chiede.
    - Sì, ma mi descriva l’azzurro.
    - Ma sei stordito?
    - No, sono cieco.
    Cieco, ma vedo lo stesso l’onda che gli annega il salviettone.

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    1. Racconto ammesso al concorso. Grazie per aver partecipato.

      P.S. Io lo considero un unico racconto diviso in tre parti e non tre racconti diversi. Se sbaglio, l'autore me lo segnali (sempre firmandosi come "anonimo"), grazie.

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    2. Giusto è un solo racconto, con tre protagonisti alle prese con le vacanze... al mare o giù di lì

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    3. Ok, grazie, allora avevo capito bene!

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  13. ATTENZIONE: Ho aggiornato il bando spiegando meglio che si può partecipare con più racconti, ma a determinate condizioni.

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  14. Eppure

    Paolo ricordava come fosse ieri il primo incontro con Sara.
    La coda al bar della stazione. Un sorso di lava bruna per scacciare dalle ossa l’umidità di una giornata piovosa. Gente che sgomitava al bancone mostrando gli scontrini. Una spinta di troppo. Una ragazza bionda che gli volava fra le braccia, accompagnata da una doccia alla caffeina. Gli occhi color giada di lei, mortificati. L’espressione inebetita di lui. L’insistenza di lei per pagare il conto della lavanderia. La finta resistenza di lui a farsi lasciare il numero di cellulare. E, da quella mattina, un treno in corsa: altri incontri al bar, pranzi in pausa lavoro, cene. Non avevano dovuto attendere molto, prima di recarsi al bar insieme, una mattina, alzandosi dallo stesso letto.
    Non rimpiangeva nulla: Sara non era una semplice avventura. Eppure non riusciva a scrollarsi di dosso quella sensazione…
    Si riscosse dai propri pensieri, volgendo lo sguardo verso il volto di sua moglie Anna. La causa del suo senso di colpa. Zigomi alti, occhi profondi tanto da perdersi circondati da sopracciglia sottili. Era bella, Anna. Un tempo sembrava che nulla avrebbe potuto separarli. Un matrimonio da favola, una splendida figlia… Eppure…
    Avrebbe voluto dire qualcosa, urlare ciò che aveva dentro, ma non sarebbe servito a nulla. Forse era solo un ingrato. O forse era arrivato il momento di voltare pagina.
    “Andiamo, papà?”
    La voce della figlia lo fece trasalire. Gaia lo fissava, inquieta. Quella bambina era identica a sua madre. Tramite lei, il volto della moglie sarebbe stato sempre davanti a lui. Ma forse, un giorno, il senso di colpa sarebbe passato all’improvviso, scomparendo nella notte. Come i fari di quell’auto, due anni prima.
    Paolo poggiò due dita sulle proprie labbra. Poi, sul marmo freddo.
    “Si amore, andiamo.”
    Prese per mano la figlia, avviandosi verso l’uscita del cimitero.

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    1. Racconto ammesso al concorso. Grazie per aver partecipato.

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  15. BRINA

    Ad accogliere Luca una porta arcuata con un'infinità di palloncini, assemblati per dare forma a grossi fiori e spiritosi faccioni colorati. Oltrepassa l'ingresso, lo stupore colma lo sguardo. La sala sembra il giardino di un luna park. Luci stroboscopiche gli girano intorno. Festoni lucidi, sospesi alle pareti, sono incorniciati da vivaci bandierine e ciondolanti nastri colorati su cui risalta la scritta: buon compleanno. Sorveglia il buffet, traboccante di prelibatezze, una strabiliante scultura di ghiaccio: un arciere che cavalca un drago. Due simpatici animatori si esibiscono in incredibili trucchi di magia, lasciando il festeggiato e i compagni di scuola con occhi strabuzzati e bocca spalancata. Assaporo l'intenso effluvio di pop-con e zucchero filato. Mio figlio, mi guarda e sorride. Respiro felicità. La musica entra nella testa, nel corpo. Visi e pareti scivolano via, veloci. Trascorre un tempo indefinibile. Ancora pochi minuti e scarterà i regali, ci sarà la torta ed esprimerà il suo desiderio. Deve solo riuscire a spegnere le candeline in un soffio, sette, tutte inseme. Mi distraggo: osservo un palloncino rosso. Si gonfia d'aria e di festa, sempre di più, fino a scoppiare. Sussulto. Il suono della sveglia mi trapassa i timpani. La spengo. E' quasi mezzogiorno. Mi alzo. Ho il solito mal di testa, il cuore indolenzito. Schiaccio il naso contro la finestra. Scruto lontano, verso il parco. Dondola la vita sulle altalene. Sono tre anni che evito di andarci. Scivolo sui ricordi. Un sottile strato di brina accarezza il vetro, offusca la vista. Non sto piangendo. Ritorno a letto; trovo rifugio sotto il piumone. Forse, se mi addormento, lo ritroverò in un altro sogno.

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    1. Racconto ammesso al concorso. Grazie per aver partecipato.

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  16. La bambola di terracotta

    Così questo disgraziato vuol terminare il nostro rapporto? Non mi ha detto nemmeno perché… benissimo…vedrà la mia vendetta senza esserne consapevole. Gli darò questa bambola, la quale avrà ricevuto tutte le vibrazioni negative che io possa darle. Credo che Mauro, sollevato che io alla fine accetti la rottura del nostro rapporto senza troppi casini, senza dubbio prenderà con liberazione il mio regalo d'addio…

    …mi sembra strano che Livia non si sia veramente arrabbiata quando le ho detto che non volevo più uscire con lei. Mi aspettavo un scena di quelle! Invece, mi ha dato un regalo! Una bambola di terracotta, così brutta, però, non è il suo stile, quindi non avrei mai pensato che lo avrebbe fatto. Non mi piace questa bambola di cattivo gusto, dipinta di giallo con la faccia come se fosse stata disegnata da un bambino, ma preferisco portarla con me e non avere più niente a che fare con Livia, e basta!

    Tuttavia, appena tornato a casa sua, Mauro, lasciò la bambola nel corridoio. Si accorse che non riusciva più a dormire perché gli dava i brividi. Allora, per allontanarla da casa sua decise di portarla al suo lavoro. E poi, tutte le persone che attraversavano il suo ufficio si spaventavano e, senza sapere perché, fuggivano come se avessero visto il diavolo. Una settimana dopo perdeva il lavoro ! Siccome aveva bisogno di svuotare il suo ufficio, prese la bambola e la dette a un’amica come regalo.

    È così come misi la bambola in una scatola e la portai a casa sua. Mariana non c’era, quindi la lasciai con lo zio. Mi chiamò appena tornata e mi disse che il pacchetto era vuoto. Niente. Secondo lei, questa bambola non era mai esistita, solo nei miei sogni per evitare il rimorso.

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    1. Racconto ammesso al concorso. Grazie per aver partecipato.

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  17. DA CONSUMARSI PREFERIBILMENTE ENTRO IL...

    Il Supervisore Ipergalattico esaminava coscienziosamente tutti i pianeti dell’universo alla ricerca di quelli da eliminare.
    Da consumarsi preferibilmente entro il…La data di scadenza era già passata: il Supervisore strappò il pianeta dalla sua orbita e lo scaraventò nel buco nero dei rifiuti.
    La durata contrattuale di eoni... non è prorogabile. Il pianeta fece la stessa fine degli altri.
    Poi il Supervisore passò alla ricerca di quelli deteriorati, da estirpare. Vide un pianeta verde e azzurro ricoperto da estesissime macchie biancastre: silicati di calcio, ferro e alluminio, cioè cemento. Era irrecuperabile, lo scaraventò dentro la sua stella. Il vento solare strappò via l'atmosfera e con essa una moiltitudine di fogli di cellulosa anneriti da pigmenti che formavano figure ricorrenti. Il Supervisore riconobbe che si trattava di un codice di comunicazione. Che si dicevano i mortali di quel pianeta? Raccolse tutti i fogli e cominciò a decifrarli. La lettura era lunga, i fogli erano tanti, ma lui non aveva fretta, aveva tutta l'eternità davanti a sé. Lesse tutto quello che l’umanità aveva scritto, in tutte le lingue. Tra una lettura e l’altra continuava ad annichilire i pianeti fuori corso. “Erano consapevoli di essere mortali, eppure progettavano il futuro ed esprimevano pensieri eterni” esclamò ammirato. “Come hanno potuto?”
    La sua mente fu assorbita talmente dal problema che non si accorse che l'universo era arrivato alla sua massima espansione e che il red shift si stava trasformando nel blue shift della contrazione.
    Gli rimaneva un ultimo foglio da esaminare. Conteneva poche righe:
    Or poserai per sempre
    stanco mio cor…
    Solo allora si accorse che l'universo collassava ammassando tutte le galassie in un'unica singolarità, lui compreso.
    Finalmente capì: …e l'infinita vanità del tutto.
    Anche per lui.

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    1. Racconto ammesso al concorso. Grazie per aver partecipato.

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  18. Una porta

    Una porta. Dietro una porta, oltre una porta…
    Cosa si cela dietro una porta chiusa?
    Il desiderio di un mondo piccolo, dove i nostri pensieri, le nostre gioie, che ancora non sono pronte per affrontare la confusione dell’universo, possano prendere forza, gironzolando per le stanze alla ricerca di nuove sfumature, di risate, di ricordi.
    Una porta che ogni mattina si apre per farci vivere esperienze, conoscere persone, affrontare nuove sensazioni.
    La stessa porta che la sera si chiude, per regalarci il silenzio rotto da chiacchiericci leggeri, risate, fruscii di abbracci, parole per crescere, per perdonare piccoli bisticci,
    Dietro porte si nascondono desideri, voglie di libertà che non basta aprire quella porta per esserne avvolti, non basta superare quella soglia per avere il coraggio di affrontare le insidie e le cattiverie del mondo.
    Una porta come difesa.
    Ma com’e’ una porta che nasconde dolore, solitudine, paura, violenze?
    Come si riconosce una porta che non ode da tempo una risata di bimbo, che non aspira il profumo di fiori regalati con la leggerezza dell’amore?
    Magari si potesse riconoscere questa porta! Per spalancarla, far uscire il buio e il peso di notti passate tra le lacrime e lasciare entrare il sole, l’aria profumata di un’estate calda, la bianchezza purificatrice della neve, le parole gentili di chi comprende e consola.

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  19. Questa mattina mi sono infine decisa. Sarei andata a vedere la partita di Roberto. Sono anni che mio marito, tutti i sabati, va a giocare a calcetto con i suoi amici. All’inizio mi chiedeva se mi andava di passare a guardarlo ma io, stupidamente, mi sono sempre rifiutata. Mi sono spesso anche arrabbiata per quella sua assurda mania. Vestiti sporchi, sudati. Perdita di tempo. Quante ore perse dietro quello stupido pallone. Oggi però è un giorno diverso. Mi infilo il piumino, butto quattro cose in borsa e mi fiondo per le scale. Roberto è già andato. Gli farò una sorpresa. O magari poi non gli dirò niente. Vedremo. Salgo in macchina. Riesco a parcheggiare anche poco lontano. Che schifo che sono gli spalti di questo stadio. Sì, stadio, diciamo pure rudere. Tutto è vecchio e arrugginito. Mi tappo il naso e mi metto comoda. Accavallo anche le gambe. Eccoli, stanno scendendo in campo. C’è anche lui. Gli dona proprio quella maglietta rossa. L’arbitro fischia. Inizia. La palla vola subito lontano. Roberto è il più bello di tutti, corre veloce, cade, si alza, impreca. Sembra un eroe greco. Che succede? Ha preso la palla, corre, tira. Grida di esultanza. C’è stato un gol. È stato Roberto. Lo guardo con infinito amore. Si volta dalla mia parte. Sembra mi abbia visto. No, sono sicura che mi ha visto. Adesso corre proprio nella mia direzione. Mi guarda, si porta una mano alle labbra e mi manda un bacio. Mio Dio! Roberto! Quanto ti amo!
    Chi è quella donna? – chiede l’uomo delle pulizie al custode. Una spostata – risponde quest’ultimo - Viene qui tutte le mattine da un anno. Entra nello stadio vuoto, si siede laggiù e dopo un’oretta se ne va. Dicono che sia diventata matta il giorno che suo marito l’ha lasciata, poveretta…

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  20. Lettera
    Signor Direttore,
    con questa lettera Le faccio umilmente una richiesta.
    Sono Gianni C. 49 anni e sto qui dentro da quando ne avevo diciassette. All’inizio è stata dura, lo ammetto, ma poi mi sono assuefatto e ora questa è la mia casa. Da quando ho appreso
    che sarò messo in libertà con un anno di anticipo per buona condotta non dormo più. Perché volete farmi questo? Io non so nulla di cosa c’è la fuori, ho paura.
    Non so fare niente, non ho casa e non ho famiglia.
    Mia madre morì di overdose quando avevo sette anni e mio padre non l'ho mai conosciuto.
    Ho vissuto di piccoli furti fino al giorno maledetto in cui ho ucciso la cassiera di un negozio.
    Aveva solo vent’anni. Il rimorso, anche se placato, continua a perseguitarmi.
    Non voglio rubare di nuovo e nemmeno uccidere.
    Desidero solo vivere in pace. Voglio rimanere in carcere.
    I miei compagni di cella sono amici, così come i secondini. Il mio posto è qui.
    La scongiuro di accettare, Signor Direttore.
    Gianni.


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  21. È DIFFICILE SPIEGARE
    La donna sosteneva che di posti così a Milano ce ne fossero pochi: quel nuovo negozio di abbigliamento in corso XXII marzo era davvero fashion.
    Periodicamente, aveva quindi luogo il rito delle prove di raffinati abitini, pensati per mannequins alimentate per via endovenosa con centrifugati di verdure. Lei, che aveva cinque taglie in più della mitica 38, si guardava nello specchio del camerino, poi usciva per mostrarsi al marito e commentava insoddisfatta: “Mi segna troppo”.
    L’uomo, stanco di tediosi defilé, decise che quel giorno avrebbe aspettato fuori dal negozio insieme al figlio di otto anni. Il problema era che il bambino era di quelli affetti da una patologica curiosità, quelli che vogliono capire sempre tutto e a cui le risposte non bastano mai: la razza peggiore.
    Il pargolo fu attratto da un aereo in un negozio di modellismo e il padre, di fronte a un fuoco di fila di domande, dovette improvvisarsi ingegnere di volo; poi davanti a una profumeria, vestiti i panni del cosmetologo, dovette illustrargli le essenziali funzioni della spuma per capelli. Il bambino, infine, alzato lo sguardo, fu incuriosito da una lapide, che lesse a voce alta: “Giannino Zibecchi, caduto partigiano della nuova resistenza”.
    Il padre lo anticipò e provò a spiegare, con esiti non risolutivi.
    - Ma i fascisti sono tutti cattivi? – incalzò il bambino.
    - Sì, sono tutti cattivi – tagliò corto il padre.
    - E sono stati loro ad ammazzarlo?
    - No, la polizia.
    - Ma tu mi hai sempre detto che la polizia protegge i buoni dai cattivi!
    In quel momento il marito la vide uscire dal negozio, a mani vuote come sempre, e con sollievo la indicò al figlio.
    - Chiedi alla mamma, magari lei è più brava di me.
    Certe volte è proprio difficile trovare le parole.

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  22. Un argomento spinoso

    "Comunicare con un altro essere umano? Certo, vorrei... ma che le dico? Non posso venire a trovare mia sorella. E' inutile. E poi sto troppo male", dicesti così zio Mario, te lo ricordi?
    "Come vuoi zio. Nessuno ti obbliga", risposi io concitata. "A mamma ci penso io. Non ho mai chiesto favori a nessuno".
    L'anziana donna della quale discutevamo animatamente sedeva su una poltrona immersa di plaid e cuscini, con un'aria assente.
    Io aprii bruscamente la porta e ti feci uscire, poi sedetti accanto a mamma le presi la mano, le cantai una canzone che le strappò un sorriso. Alzhaimer, non è facile, ma si deve lottare.
    Qualcuno mi ha detto che sei pentito e vuoi tornare. Mi fa piacere.
    Quando vuoi. Lei ti aspetta

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  23. Non c’era posto che le piacesse di più al mondo: la Biblioteca, situata in un vecchio e per lei rassicurante edificio. In quelle sale odorose di cera e inchiostro, Sofia si sentiva libera da pensieri e preoccupazioni, dai suoi 16 anni trascorsi a scusarsi di esistere.
    Un ambiente in cui, finalmente, si sentiva a suo agio, un rifugio nel quale poteva dimenticarsi di sé stessa ed immergersi nella storia di un altro, vissuto cento anni prima oppure partorito dall’immaginazione di chissà chi.
    Nessuno la braccava quando era alla Biblioteca, nessuno le urlava che doveva darsi da fare. E allora, non appena poteva, saliva l’ampia scalinata, attraversava il pesante portone e s’infilava in quel meraviglioso mondo, enorme e silenzioso, dove ogni libro aveva un suo posto. Un giorno trovò il suo posto preferito occupato da un ragazzo dall’aria strana che, vedendola, se ne andò, lasciando un foglio e una matita, quella che lei aveva perso il giorno prima. Sul foglio, le paure ed i sogni di Sofia.
    Lo rincorse.
    - Chi sei?
    - Uno che scrive storie.
    Pochi secondi di silenzio per tante storie che lo avevano cambiato, insegnandoli a guardare dentro la gente.
    - Le storie vengono a cercarmi, attraverso le cose perdute o dimenticate.
    Dicono sia un dono, ma talvolta è una maledizione: le storie mi entrano dentro, sogni bellissimi oppure incubi terrificanti fino a quando non ho finito di scriverle. Poi tutto si quieta: se posso rendo l’oggetto, insieme alla storia, oppure cerco un posto adatto e lascio il tutto, sperando che qualcuno ascolti. La matita era ancora calda quando l’ho trovata. I tuoi pensieri erano lì, a mezza voce. Adesso sono una storia, passata. Il futuro è tuo, scrivilo tu. Il posto giusto lo hai trovato.
    Il foglio era bianco, il cuore libero e leggero.

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  24. Il diciannove


    Non pioveva più, ma il cielo non prometteva niente di buono. Natale con la neve, non aveva l'età per esserne contenta. Le macchine in colonna si suonavano a vicenda in un traffico che in quei giorni di dicembre era al suo massimo. E il diciannove non si vedeva. Le venne l'impulso di farla a piedi, due anni fa non ci avrebbe pensato sopra, ma due fermate erano lunghe, con il bastone e i novantuno prossimi, le gambe che cedevano e un'arietta fredda che asciugava la pioggia e penetrava nelle ossa.

    Il vecchio aveva sempre freddo nonostante il riscaldamento al massimo. Ma stando al balcone sembrava non sentirlo. Con due golf sotto la giacca da camera, fissava la piazza. Vedeva i tram passare, ma non la fermata. Così aspettava e calcolava i minuti tra il loro passaggio e il suono del citofono. Se dopo cinque minuti non la vedeva sbucare nella via scuoteva la testa. Tornava in cucina, si appoggiava al tavolo senza sedersi, dava un'occhiata al giallo Mondadori lasciato a metà, brontolava tra sé e tornava al balcone.

    Era stanca di aspettare, l'aria fredda aumentava. Un signore parlò di un incidente sulla linea del diciannove, inutile aspettare. Lei gli sorrise mostrandogli il bastone: «Tra due settimane saranno novantuno.» «Complimenti, non li dimostra neanche un po'.» Scosse la testa, l'altro si accomiatò. Ora alla fermata c'era solo lei e una signora cinese, incinta. Le fece un bel sorriso. Passarono altri cinque minuti, era inutile. Pensò: «Quell'uomo. Sarà sul balcone che mi aspetta.» Fece un sospiro, puntò il bastone sull’asfalto e si decise ad andare a piedi. Fu in quel momento che vide il tram in lontananza. Sorrise alla donna. Ancora quattro minuti e avrebbe passato la piazza sotto il balcone dove lui aspettava.

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    2. Sono l'autore di questo racconto.

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    3. Grazie mille per aver partecipato!

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  25. Incubo ricorrente

    Cammino tra le facce smorte della gente. I loro volti sono maschere d’indifferenza e so che, se cercassi di chiamarli, non mi parlerebbero nemmeno. Proprio per questo, vorrei urlare. Ma non servirebbe a niente. Vorrei continuare a camminare, ma tutti intorno a me corrono, mi spingono e mi trascinano avanti. Il flusso mi porta giù per una ripida scala, sottoterra. Ma anche qui il mondo brulica di facce smorte, attaccate a corpi che corrono senza sosta. Formano un vortice e mi portano via con loro.
    Sono su un treno che corre a tutta velocità e non so dove mi sta portando. Oppure so che mi sta portando proprio dove non voglio andare? Si fa strada dentro di me, prepotente, il bisogno di scendere, ma il treno non si ferma. Deve continuare imperterrito a correre per la sua strada.
    Sono arrivato a casa. So che è casa mia, anche se i miei sensi non la riconoscono come tale. Tutti gli oggetti che ci sono qui dentro li ho comprati io, ma non li sento miei.
    Sono nel mio letto. Tiro un sospiro di sollievo: è tutto finito. Per oggi, almeno. So che tutto questo si ripeterà domani, e dieci, cento, mille volte ancora. Gli incubi che vivo di giorno sono fin troppo reali, per questo c’è un solo luogo in cui la mia mente si può rifugiare. Finalmente è notte, posso sognare.

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  26. Dimmi perché


    È colpa tua. Se tu non ci fossi stata, avrei sofferto meno.
    Non ricordi? Va bene, penso io a riportarti alla mente tutti gli episodi in cui mi hai ferita, perché sotto questa grinta che indosso come un’armatura, sono fatta di carne e di sangue come tutti.
    Ma andiamo con ordine.
    Ti ricordi quell’estate di tanti anni fa, quel pomeriggio in cui camminavo con mia sorella sulla stradina assolata che portava al mare? Ti ricordi di zia Maria, che si affacciò al terrazzo e le disse con voce suadente: «Rosalinda, vieni un attimo su…» mentre io rimasi giù ad aspettare?
    Ricordo il sole cocente che mi picchiava sulle spalle mentre orgogliosa facevo finta di niente e aspettavo che lei tornasse col suo regalo. Tu c’eri quando io voltai la faccia dall’altra parte per non farle vedere le lacrime, però le hai sentite scorrere una per una a ferirmi il viso. E non hai fatto niente per impedirlo.
    E ancora…
    Ti ricordi quei Natali in cui l’unico regalo che ricevessi dalle mie care zie – così “amate” che ancora oggi, quaranta anni dopo, se le nomino mi si inacidisce il cuore - era un fazzoletto di cotone? Anche allora io facevo finta. Tu sapevi, però.
    E ti ricordi quando il mio cane morì? All’improvviso un’ombra calò nella mia mente e io seppi con assoluta certezza che Axel era morto. Nessuno vide quella nube temporalesca che mi opprimeva il cuore. Ma c’eri anche tu. E non hai fatto niente.
    Maledetta!
    Ma adesso che posso abbandonarti, oltrepassando gli anni e il dolore che mi hanno condotta qui, dimmi: «Perché dovrei continuare a sopportarti?»

    «Perché io sono te. Io sono la tua sensibilità, la tua emozione. Senza di me non saresti mai diventata quella che sei. Io sono la tua parte migliore.»

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  27. L'alfabeto che ho perso.

    Si chiama afasia la mia malattia.
    Sono svenuta e mi sono risvegliata in un letto d'ospedale.
    Mia figlia era accanto a me e mi sorrideva.
    "Come stai, mamma?".
    E io ricordo il terrore di quel momento in cui le ho risposto
    "Ben.. non.. mi.. strano!", e poi sono scoppiata a piangere.
    Non ero più capace di parlare. Qualche balbettio.
    Mi sentivo impotente e disperata.
    Poi son tornata a scuola. La giovane logopedista è gentile,
    dice che sto migliorando.
    Sto tornando bambina. Una bambina vecchia e indifesa.
    Mia figlia mi accarezza dolcemente e mi schiocca un grosso bacio
    sulla guancia destra.

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  28. MARIA FRAGOLINA
    Cecilia, la sposa di Gesualdo, dopo sette figli maschi finalmente gli donò una bellissima bambina con i capelli colore del grano maturo, la pelle di porcellana e le guanciotte piene e rosse come fragole mature.
    Maria Fragolina fu accudita e coccolata come una principessa fino all’età di tre anni. La famiglia però era numerosa e c’era tanto da fare perciò, quando la frugoletta fu in grado di camminare, seguì i fratelli nella campagna in fiore. Li osservava sudare e faticare sotto il sole cocente e attendeva paziente il tramonto, per tornare a casa. La vita scorreva semplice e serena. Maria Fragolina aveva ormai tredici anni, era una bellissima donna in miniatura, con i capelli sciolti sulle spalle, il vestito rosso e un sorriso dolce dipinto sulle labbra. Una sera d’autunno, le venne l’idea di allontanarsi dai fratelli per rincorrere una farfalla variopinta. Senza quasi accorgersene si ritrovò su un sentiero ghiaiato, dove incontrò un omone grande, grosso e sudaticcio, che le si parò davanti. La fanciulla provò un tuffo al cuore e fece per fuggire ma lui non le diede pace e la strinse a sé strofinando forte la barba dura contro il suo volto delicato. Poi le rubò un bacio amaro, che puzzava di vino e d’angoscia e un urlo disperato uscì dalla bocca della poveretta. I suoi fratelli accorsero e cominciarono a tirare pietre contro l’omone che, assediato, fu costretto a fuggire.
    Un sasso purtroppo colpì la ragazzina, lacerandole la testa e il sangue sgorgò copioso dalla ferita, rigandole la faccia e andando a mischiarsi al rosso vivo del vestito.
    Maria Fragolina si accasciò al suolo, priva di vita, sotto gli sguardi increduli dei fratelli. Giaceva inerte, col cranio spaccato e gli occhi sbarrati sulla terra nera e brulla, a cui l’autunno aveva rubato colori e germogli.


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  29. Il veliero del nonno

    Mio nonno costruiva le navi. Non le navi vere: quelle sarebbero state troppo grandi. Costruiva dei velieri di legno in miniatura, ma vi posso assicurare che erano anche più belli di quelli veri che attraversano l’oceano. Erano completi di tutto: alberi, cime, sartie e cannoni per difendersi dagli attacchi dei pirati. Non mi sarei sorpresa di vedere, un giorno o l’altro, dei minuscoli marinai sul ponte che correvano ad ammainare le vele.
    Il nonno non poteva alzarsi dal divano, perciò quello era diventato il suo laboratorio di falegname. Non costruiva solo i velieri, ma ogni sorta di oggetti: se qualcosa si poteva fabbricare con il legno, allora il nonno era in grado di farlo. Costruiva persino degli strumenti musicali e quelli sì che erano veri: mandolini, violini e chitarre che suonavano e suonano ancora dopo tutti questi anni.
    Il nonno era così bravo che era quasi un mago: non ho mai visto nessun altro che sapesse intagliare il legno così bene da far stare un presepe nel guscio di una nocciola. C’erano Maria con la veste dipinta di azzurro, Giuseppe con il mantello marrone e Gesù bambino nella mangiatoia con la paglia gialla, il tutto in uno spazio poco più grande dell’unghia del mio pollice.
    L’oggetto che tra tutti mi affascinava di più, però, era sempre il veliero. Lo rivedo così chiaramente, il nonno, mentre mi spiega la funzione di tutti quei minuscoli pezzettini e mi indica la posizione in cui andranno montati. Io non mi azzardo a toccarli perché potrei romperli o perderli, e allora come farebbero i piccoli marinai senza il pezzo mancante?
    Immagino spesso questa scena, quando guardo il veliero conservato sulla mensola del salotto, e sono sicura che lui mi avrebbe parlato proprio così, se solo fossi nata in tempo per conoscerlo.

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  30. Questa fase del concorso è ufficialmente conclusa. Tra pochi giorni vi comunicherò i tre finalisti!
    Grazie a tutti per la partecipazione!

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