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sabato 9 gennaio 2016

"Quer pasticciaccio brutto de via Merulana" di Carlo Emilio Gadda: un romanzo corale in lingua gaddiana

Oggi sono qui per presentarvi un nuovo post di La biblioteca dimenticata, rubrica fissa sul mio blog curata da Davide Rigonat, il blogger che gestisce La casa della nebbia e l'autore di La nebbia e altri racconti. 

Oggi ci parlerà di Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Carlo Emilio Gadda.

Come sempre lo ringrazio di cuore e gli lascio la parola così che vi possa raccontare tutto ciò che c'è da sapere su questo libro!


Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Carlo Emilio Gadda

Cari amici,
in questa nuova puntata  de La Biblioteca Dimenticata ho deciso di parlarvi di un autentico capolavoro, scritto da quello che, secondo me, è uno dei più grandi prosatori italiani del secolo scorso: sto parlando de Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Carlo Emilio Gadda.


Devo dire che ero molto indeciso se proporvi o meno questo testo all’interno di questa rubrica: Gadda infatti è, al pari per esempio di Calvino, un autore che tutti dovremmo conoscere, se non altro per scolastiche rimembranze; il Pasticciaccio, poi, DOVREBBE essere altrettanto noto… eppure, a chiedere in giro, l’impressione è che non lo sia poi così tanto. E allora, che Pasticciaccio sia.

L'autore
Sull’autore solo qualche accenno, ché reperire una sua biografia completa ed esaustiva, tra internet e vecchi libri scolastici, è davvero facile. Gadda nasce a Milano nel 1893 da una famiglia borghese: il padre era infatti un imprenditore tessile. A seguito di alcuni investimenti avventati e poi della morte del padre nel 1909, Gadda comincia a sperimentare il senso del dolore che tanta parte avrà nella sua maturazione letteraria e umana. Lasciate cadere le sue ambizioni letterarie, già emerse al Liceo, seguendo le aspirazioni materne, si iscrive alla facoltà di Ingegneria di quello che oggi è il Politecnico di Milano. Partito per la guerra nel '15, fu catturato in seguito alla disfatta di Caporetto e internato in Germania. Durante questo periodo scrisse il Giornale di guerra e di prigionia. Tornato in Italia, si laureò ingegnere e cominciò a lavorare per varie ditte, cominciando nel frattempo la collaborazione con varie riviste per cui pubblicò racconti, saggi, articoli tecnici
Nel 1921 abbandona il Partito Fascista, di cui diventò in seguito grande oppositore e detrattore, opinione che poi verrà riversata a piene mani nei suoi romanzi successivi. A seguito di varie vicende anche famigliari, nel 1940 abbandona la professione di ingegnere per dedicarsi a tempo pieno alla letteratura. Personaggio particolare e completamente fuori dagli schemi, fu solo grazie alla tenacia di Garzanti che si mise (quasi) con metodo a rivedere degli scritti precedenti e a completarli e pubblicarli: negli anni successivi vennero così pubblicate molte sue opere, tra cui vanno sicuramente ricordati Quer pasticciaccio brutto de via Merulana (1957) e La cognizione del dolore (1963). Trascorse gli ultimi anni alla ricerca di una riservatezza totale, lontano dai riflettori e dall’invadenza di ammiratori e adulatori. Morì a Roma nel 1973.

L'opera
Veniamo ora al Pasticciaccio. Sulla trama, solo due parole: Gadda prende spunto da alcuni fatti di sangue avvenuti a Roma nel 1946 (delitto Stern) o, secondo altri, nel 1945 (delitto Barrucca) per dare il là a un romanzo, all’apparenza, poliziesco. Siamo nel 1927, a Roma. A distanza di pochi giorni, nel caseggiato di via Merulana 219 vengono commessi due crimini: prima viene derubata di tutti i suoi ori la contessa Menegazzi, poi viene uccisa e derubata la signora Lilliana Balducci, dell’appartamento di fronte a quello della contessa. Il commissario Ingravallo, detto don Ciccio, conosce bene quella casa: era infatti spesso ospite dei Balducci, famiglia di cui ammirava segretamente soprattutto la malinconica padrona di casa. Don Ciccio comincia così le indagini per sbrogliare i due casi, affiancato dal suo capo, il dottor Fumi, dal Biondone, dallo Sgranfia e da altri agenti di polizia, oltre che dai carabinieri guidati dal maresciallo Santarella e dal brigadiere Pestalozzi. Le indagini procedono, a volte a tentoni a volte in maniera più razionale, e presto gli inquirenti riusciranno a individuare alcuni sospetti. Mentre il Pestalozzi riesce a recuperare la refurtiva sottratta alla Menegazzi e a individuarne la ricettatrice, Ingravallo e il resto della questura si concentra sull’omicidio, fino all’individuazione del possibile colpevole, o comunque del suo complice. Il romanzo non ha però un finale risolutore: se la refurtiva della contessa è stata recuperata e il ladro individuato e ricercato, non è dato sapere se e come siano poi riusciti a catturarlo; allo stesso modo, l’ultimo capitolo si chiude con il sospettato d’omicidio che, all’accusa di Ingravallo, risponde con decisione di non essere il colpevole. Tra l’altro, il finale fu cambiato molte volte nelle varie stesure, modificando sempre anche il colpevole. C’è da dire che alcuni ritengono ci fosse il progetto di un seguito alla storia…

Il Pasticciaccio è un romanzo che potremmo definire corale: non c’è infatti un protagonista assoluto, anche se Ingravallo sembra, soprattutto nella prima parte dell’opera, essere colui che più ci si avvicina. I veri protagonisti del romanzo sono infatti il popolo, la società, le Istituzioni, gli ambienti, i rumori, gli odori di Roma e dintorni. Nel racconto veniamo catapultati nella realtà del periodo, tra strade infangate, miseria, puzzo, fame, scarsezza di mezzi, grandi proclami: un grande gioco delle parti tra investigatori e poveri diavoli, spesso delinquenti di mezza tacca per necessità o ignoranza.
Il racconto ha quindi per filo conduttore la necessità di risolvere lo gnommero, il gran garbuglio di quei delitti, scusa che permette a Gadda di parlarci, spesso in chiave ironica, dell’organizzazione della polizia, del presunto sviluppo tecnico e morale dell’epoca (da ricordare l’episodio dei discorsi telefonici tra inquirenti, disturbati continuamente da interferenze e da comunicazioni altrui), senza tuttavia rinunciare a sviluppi non scontati nell’analisi psicologia dei personaggi singoli e della folla.

Gadda sfrutta ogni occasione per interrompere il filo principale del racconto con descrizioni, metafore e aneddoti incentrati su qualsiasi cosa gli capiti a tiro: una strada, un oggetto, una gallina, e così via. Descrizioni infarcite di considerazioni di senso comune, filosofiche, d’analisi degli istinti e delle pulsioni, tecniche, e chi più ne ha più ne metta. Considerazioni che sono affidate di volta in volta ai vari personaggi o al Gadda narratore, che, per conto suo, le riferisce al passato o al presente del racconto, o al presente o passato di lui scrivente (e quindi futuro agli eventi narrati) con gran maestria e disinvoltura. Non si deve però pensare che tutto ciò appesantisca il filo narrativo o sia avulso da esso: il risultato finale è una descrizione precisa, profonda del tutto, consentendo una piena immersione del lettore nell’ambiente narrativo.
Ancora più notevole è l’uso della lingua, che non a caso molti critici hanno definito gaddiana: Gadda stravolge nono solo gli schemi del romanzo tradizionale, ma anche la costruzione sintattica del testo. L’autore alterna infatti costrutti in perfetto italiano con altri tipici del parlato, come per esempio l’utilizzo delle spiegazioni annidate, che rende grazie all’uso ripetuto dei due punti, la ripetizione dei termini in funzione rafforzativa, ecc. Allo stesso modo, Gadda mescola poi l’italiano con il dialetto, per lo più romano, e con qualche citazione in tedesco o francese; il linguaggio comune è mescolato con suoni onomatopeici e con terminologia prettamente aulica, tecnica o filosofica, senza contare i numerosi e strepitosi neologismi di cui è infarcito l’intero romanzo. Un esempio a caso:
Pestalozzi cenò di buon appetito a ‘o tavolino de marmo: a via der Gesù: dal Maccheronaro: dove ce l’aveva accompagnato Pompé: lo Sgranfia, come lo chiamavano; che fungeva pure da maestro de cerimonie, a Santo Stefano, l’opportunità richiedendo.
 E come dimenticare infatti l’acuta analisi del meccanismo delle telefonate dall’alto, da sempre in uso in Italia ma in particolar modo a quei tempi, quando era stata decisa per decreto la moralizzazione dell’Urbe, per cui
La cascatella delle telefonate gerarchesche, come ogni cascatella che si rispetti, era ed è irreversibile in un determinato campo di forze, qual è il campo gravidico, o il campo ossequenziale-scaricabarilistico.
E di queste perle è pieno il romanzo.
Anche i nomi delle cose e delle persone mutano poi a seconda delle persona che ne parla, del suo status sociale e culturale. Ecco allora che i topazi rubati alla contessa diventano, a seconda delle situazioni, topazi, topazzi o topacci; la Menegazzi diventa invece Menecacci, Menecazzi, Manegazzi o Mamagazzi; e così via.
Da segnalare infine le feroci invettive contro il fascismo e, più nello specifico, contro Mussolini, per il quale non si contano le definizioni e gli epiteti, quali ad esempio il mascellone autarchico, quer tale, il Merda e contro l’asservimento della stampa, delle Istituzioni e delle opinioni al volere der potenziatore d’Italia, come quando, ad esempio, ci racconta che
gli occhi spiritati dell’eredoluetico oltreché luetico in proprio, le mandibole da sterratore analfabeta del rachitoide acromegalico riempivano di già l’Italia Illustrata.
Concludendo, non posso che consigliarvi vivamente, se già non l’avete fatto, di leggervi questo autentico pezzo di bravura.
Alla prossima!


Anche se è un libro di cui ogni tanto si sente parlare a scuola, devo dire che nessuno me ne aveva mai parlato con tanta cura! Grazie, Davide!

Vi ricordo che quasi tutti post precedenti di questa rubrica sono finiti in un bellissimo ebook che potete scaricare gratuitamente da varie piattaforme (al link maggiori informazioni).
Oppure li potete trovare sul blog, cliccando sulla rubrica La biblioteca dimenticata - rubrica di Davide Rigonat, dove trovate anche quelli non incluso nell'ebook (perché usciti successivamente):


Ancora un grande grazie a Davide per i suoi bellissimi contributi! Vi aspettiamo per il prossimo appuntamento con questa rubrica tra un mese esatto!



Note: La foto usata come sfondo del banner è da attribuire a Luciano Caputo (vedi CC nel link).

3 commenti:

  1. Io mi vergogno ad ammetterlo, ma il libro ce l'ho, ho provato a leggerlo, ma non sono riuscita ad andare più avanti delle prime tre pagine. Anche il mio professore di italiano l'ha tanto elogiato e mi ha consigliato di leggerlo, a suo tempo, ma io purtroppo non riesco a capirci una parola...

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    1. Penso sia successo a moltissimi... la lingua usata non è affatto semplice. Io me ne sono resa conto anche solo leggendo le citazioni scelte da Davide.

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    2. Ma no, dai... basta leggerlo con mente "libera". E poi dovete sapere che la parte centrale, più ricca di dialoghi (o monologhi) e più scorrevole dell'inizio. Insomma,Elisa, se ce l'hai, riprova a leggerlo e vedrai che, appena entrerai nello "schema" gaddiano, ti darà più di qualche soddisfazione.

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