Il che polivalente: usi
concessi e come evitare troppe ripetizioni.
Per parlare dell’uso attuale del che bisogna tener presente il concetto di italiano neostandard e
quindi preferisco partire con una breve trattazione sull’argomento, proverò a
essere sintetica (se poi l’argomento vi interessa posso scrivere un post
dedicato). Se la vicenda storica non vi
interessa, potete saltare il paragrafo seguente.
La questione
della lingua e l’italiano neostandard
In Italia, prima ancora della sua unificazione, c’è
sempre stato il problema di una
lingua comune. Il tema è però diventato piuttosto rilevante in un periodo compreso tra il 1510 e il 1530
circa, quando è scoppiata la cosiddetta questione
della lingua, per decidere quale lingua i letterati dovessero
utilizzare nei loro testi per essere certi di poter essere letti da più persone
possibili in Italia. La discussione si era assestata su tre posizioni
principali:
- La teoria cortigiana: utilizzare la lingua parlata a corte, cercando di eliminare gli elementi troppo locali che rendevano le lingue di corte diverse tra loro. Tra i sostenitori c’era Baldassarre Castiglione.
- Il fiorentino vivo: utilizzare il fiorentino parlato nel ‘500. Il sostenitore più importate è stato Machiavelli.
- Il fiorentino letterario trecentesco: utilizzare il fiorentino che era in uso nel ‘300. Il fautore dell’ipotesi fu Pietro Bembo.
Dopo il termine della diatriba sulla questione della
lingua, la lingua letteraria sembrava aver trovato le sue norme, ma la lingua è qualcosa di vivo che si
evolve e l’italiano è sempre stato molto incline ai cambiamenti, tanto
che nel 1987 il linguista Gaetano Berruto ha ritenuto
necessario definire le caratteristiche dell’italiano neostandard, perché ormai molto differenti dai
vecchi standard, soprattutto per quanto concerne la lingua parlata. Il neostandard considera accettabili alcune espressioni
e forme sintattiche prima considerate errate sia nello scritto sia nel parlato.
Altre forme, correntemente usate, vengono però tuttora considerate errate (si
parla in questo caso di italiano substandard).
Lo so, lo so, vi state chiedendo cosa c’entra tutto
questo con il che… portate ancora un
attimo di pazienza.
Il che polivalente
nell’italiano neostandard
Una delle novità più importanti introdotte dall’italiano
neostandard riguarda l’uso del che polivalente, cioè del che utilizzato come subordinatore in
modalità sovraestesa (che detto in parole povere, significa un che che viene utilizzato come
congiunzione anche dove normalmente si sarebbero usate altre congiunzioni).
Questo nell’italiano standard era considerato un errore, mentre nell’italiano neostandard è accettato
sempre nel parlato e occasionalmente nello scritto (solo se informale).
Si dice dunque che il che polivalente
gode nell’italiano neostandard di una maggiore
legittimazione d’uso.
Un tratto dell’italiano neostandard è proprio l’utilizzo
del che come subordinatore generico al posto di un sub ordinatore più
specifico.
Es. Sbrigati che se no me ne vado.
Questo che nella
lingua orale è accettabile secondo il neostandard, mentre non lo è nello
scritto, perché la congiunzione corretta sarebbe perché (se si
vuole si può scrivere ché che è la
forma abbreviata).
Es. Sono partito che non pioveva, per questo non ho l’ombrello!
Questo che nella
lingua orale è accettabile secondo il neostandard, mentre non lo è nello
scritto, perché la congiunzione corretta sarebbe quando.
Il che
polivalente nell’italiano substandard
Il neostandard ha dato maggiore legittimità d’uso al che polivalente nella lingua orale, ma
questo non significa che si possa usarlo sempre! È tuttora considerato un errore utilizzarlo come sostitutivo di
pronome relativo obliquo. Farlo non è accettato né nell’italiano
parlato né tantomeno in quello scritto, per questo si configura come un tratto substandard (cioè al di
sotto dello standard) e caratterizza l’italiano popolare.
Si può trovare questo uso del che nello scritto solo
quando l’intento è proprio quello di rappresentare
il parlato diastraticamente basso (cioè parlato dal popolo poco colto).
Per pronome relativo obliquo si intendono: a cui, di cui, in cui, del quale, della quale…
Sono quindi i pronomi
relativi preceduti da una preposizione semplice o articolata.
Vediamo alcuni esempi.
Es. Milano è una città che non resterei per più di un giorno!
Questo che non
è accettabile secondo il neostandard nemmeno nella lingua parlata e si
configura come un tratto substandard, perché sostituisce il relativo obliquo in
cui o nella quale.
Es. Mario è uno che non ho timore.
Questo che non
è accettabile secondo il neostandard nemmeno nella lingua parlata e si
configura come un tratto substandard, perché sostituisce il relativo obliquo di
cui.
Es. Anna è la ragazza che conosco il fidanzato.
Questo che non
è accettabile secondo il neostandard nemmeno nella lingua parlata e si
configura come un tratto substandard, perché sostituisce il relativo obliquo di
cui.
Lo so, sembrano esempi incredibili, ma se ci fate caso
nel parlato sono piuttosto frequenti, nonostante non siano accettabili.
Come evitare i
troppi che
Dopo questo post spero vi sia chiaro quando si può usare
il che nella lingua parlata e quando
no (se qualcosa non è chiaro, chiedete, il tema è piuttosto complesso). Il
rischio della maggiore legittimazione d’uso conferita dal neostandard è di
ritrovarsi a leggere anche dei testi intrisi di che, soprattutto dalle persone che scrivono meramente trascrivendo
il parlato.
Se anche voi tendete a usare tanti che io vi consiglio di pensare bene al senso della frase e di utilizzare
un subordinatore meno generico oppure di riformulare un po’ la frase.
Più che spiegarvi come, preferisco farvi un esempio.
Prendiamo una frase con un utilizzo eccessivo di che (ovviamente non si potrebbe
scrivere, ma dire solo a voce).
Laura, che conosco dai tempi della scuola, viene sempre al bar che è ora di andare via e poi si lamenta che non le si dà retta, il che a volte è vero che non si può sopportare sempre i suoi ritardi che sono frutto solo della sua pigrizia.
E ora
guardate la mia versione:
Laura, conosciuta quando ancora andavo a scuola, viene sempre al bar quando è ora di andare via e poi si lamenta poiché non le si dà retta e a volte è vero perché non si può sopportare sempre i suoi ritardi dovuti unicamente alla sua pigrizia.
Conclusione
Io adoro
la linguistica italiana, perdonatemi se mi sono dilungata un po’. Spero di
avere fatto chiarezza sull’uso del che
e ora aspetto le vostre domande, se ne avete!
Hanno parlato di questo articolo:
Hanno parlato di questo articolo:
- I post di giugno 2013!
- Dal latino volgare... l'italiano
- Frasi sintatticamente contorte
- Congiunzioni inappropriate
- La questione della lingua
- Italiano neostandard
grazie, grazie infinite. Spero di non essere l'unica che usa troppi "che" e non sa come fare.
RispondiEliminaMi congratulo poi con te per il tuo sapere. Si vede che ti piace.
Di certo non sei l'unica, tranquilla!
EliminaSì, mi piacciono molto questi argomenti. Ho cercato di semplificare un po', ma non so se ci sono riuscita!
Condivido in pieno, però è anche vero che la lingua parlata spesso è molto informale. La cosa negativa è vedere questa preponderanza del "che" in sostituzione di altre congiunzioni anche nell'italiano scritto dei temi scolastici... quello che mi ha sempre impressionato è constatare quanta gente - anche giovani studenti - non sa né parlare né scrivere correttamente in italiano.
RispondiEliminaLa lingua parlata può essere informale (per questo ci sono tratti neostandard accettati nel parlato che non lo sono nello scritto), però è bene sapere fin dove ci si può spingere. E, concordo, è davvero molto triste vedere che tanti italiani non sanno l'italiano!
EliminaAnche io adoro la linguistica italiana e un ripassino veloce non fa mai male, quindi ho letto volentieri questo post :)
RispondiEliminaConosco ben poche persone con questa passione! La prossima volta che ci vediamo potremo fare una bella chiacchierata su questi argomenti! Ah!
EliminaOh, bellissimo post! :D
RispondiEliminaHo la tendenza sfrenata ad usare i "che"... Non in quel modo orripilante non accettato da nessuna parte, ma scivolo spesso nello scritto sul "che" accettato solo nel parlato... Devo cercare di essere più fantasiosa e rimodificare più spesso le frasi. :D Grazie delle spiegazioni e degli esempi (amo gli esempi), e brava per come ti sei spiegata. Sei veramente chiara!
E se vorrai fare un post sulla lingua, io lo leggerò! E' veramente interessante.
P.S. Ah, per capire: come si fa a sapere quali "che" sono accettati solo nel parlato?
EliminaGrazie per i complimenti...
EliminaIl "che" nella lingua italiana può essere un pronome o una congiunzione. Si usa come pronome nelle frasi in cui potresti inserire "il quale" (anche nelle sue forme femminile e plurale). Si usa come congiunzioni nelle frasi dichiarative (cioè dopo i verbi del "dire": "affermare", "dichiarare", "pensare", "supporre"). Si usa poi con il congiuntivo.
Al di fuori di questi casi (spero di non averne dimenticato qualcuno), in genere si tratta di usi neostandard (accettati solo nel parlato) o substandard (non accettati).
Te ne rendi conto perché in quelle frasi in genere il "che" viene sostituito da congiunzioni con valore semantico diverso (es. "quando", "perché"...).
Il post sulla lingua prima o poi lo farò, spero, così magari potrò raccontarvi molte cose sulla nascita della nostra meravigliosa lingua (ma mi sa che dovrò fare un post a puntate per non scrivere un papiro!).
Oh, ecco, così è decisamente più chiaro. Grazie mille! :)
EliminaCreo un collegamento al post nel mio blog.
Bene!
EliminaGrazie mille.
Volevo chiederti (uso il tuo esempio):
RispondiElimina"Sbrigati che se no me ne vado."
E' possibile mettere il che accentato (contrazione quindi di perchè o in alternativa al dato che)?
E' corretto, scorretto oppure è un arcaismo ormai in disuso e superato o addirittura un modo poetico?
Esempio: "Continua, ché la meta è ormai vicina"
Marco Lazzara
Come ho scritto nel post, la forma "ché" è accettata come abbreviazione di "perché", io in genere però la uso solo nel parlato o nello scritto informale (per esempio in chat). "Che" è "sbagliato" (nel senso che è accettato solo all'orale) in quelle frasi perché è utilizzato al posto di "perché", se però si utilizza "ché" di fatto ha lo stesso significato di "perché", quindi dovrebbe essere accettato.
EliminaOk, quindi dici che non è sbagliato. Era una cosa che mi sono sempre chiesto. Secondo te è un modo un po' arcaico o forse poetico? Non è usato molto spesso, forse solo dai toscani.
EliminaM.L.
Io lo uso spesso e non sono toscana, a me sembra un uso informale anche se utilizzato in passato anche nel linguaggio poetico.
EliminaLa spiegazione storica è molto interessante, per veri appassionati.
RispondiEliminaL'italiano è una lingua ricchissima, l'importante è non svilirla con un parlare quotidiano piatto e omologato, e spesso scorretto.
Sì, l'italiano è una lingua meravigliosa che andrebbe valorizzata di più!
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