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Ormai sono diversi anni che scrivo pochissimo qui sul blog. Mi dispiace davvero molto e vorrei dire che diventerò più solerte ma... so benis...

sabato 25 maggio 2013

Il che polivalente


Il che polivalente: usi concessi e come evitare troppe ripetizioni.

Oggi vi voglio parlare della congiunzione che e del suo uso attuale, facendo qualche divagazione sulla storia della lingua italiana. Il post mi è stato richiesto da AlmaCattleya del blog Farfalle Eterne che ringrazio per lo spunto di discussione.


Per parlare dell’uso attuale del che bisogna tener presente il concetto di italiano neostandard e quindi preferisco partire con una breve trattazione sull’argomento, proverò a essere sintetica (se poi l’argomento vi interessa posso scrivere un post dedicato).  Se la vicenda storica non vi interessa, potete saltare il paragrafo seguente.

La questione della lingua e l’italiano neostandard
In Italia, prima ancora della sua unificazione, c’è sempre stato il problema di una lingua comune. Il tema è però diventato piuttosto rilevante in un periodo compreso tra il 1510 e il 1530 circa, quando è scoppiata la cosiddetta questione della lingua, per decidere quale lingua i letterati dovessero utilizzare nei loro testi per essere certi di poter essere letti da più persone possibili in Italia. La discussione si era assestata su tre posizioni principali:
  • La teoria cortigiana: utilizzare la lingua parlata a corte, cercando di eliminare gli elementi troppo locali che rendevano le lingue di corte diverse tra loro. Tra i sostenitori c’era Baldassarre Castiglione.
  • Il fiorentino vivo: utilizzare il fiorentino parlato nel ‘500. Il sostenitore più importate è stato Machiavelli.
  • Il fiorentino letterario trecentesco: utilizzare il fiorentino che era in uso nel ‘300. Il fautore dell’ipotesi fu Pietro Bembo.
Alla fine fu la terza ipotesi a prevalere, perché era l’unica basata su modelli che i letterati potevano studiare (in particolare le tre Corone del ‘300: Dante, Petrarca e  Boccaccio).

Dopo il termine della diatriba sulla questione della lingua, la lingua letteraria sembrava aver trovato le sue norme, ma la lingua è qualcosa di vivo che si evolve e l’italiano è sempre stato molto incline ai cambiamenti, tanto che nel 1987 il linguista Gaetano Berruto ha ritenuto necessario definire le caratteristiche dell’italiano neostandard, perché ormai molto differenti dai vecchi standard, soprattutto per quanto concerne la lingua parlata.  Il neostandard considera accettabili alcune espressioni e forme sintattiche prima considerate errate sia nello scritto sia nel parlato. Altre forme, correntemente usate, vengono però tuttora considerate errate (si parla in questo caso di italiano substandard).

Lo so, lo so, vi state chiedendo cosa c’entra tutto questo con il che… portate ancora un attimo di pazienza.

Il che polivalente nell’italiano neostandard
Una delle novità più importanti introdotte dall’italiano neostandard riguarda l’uso del che polivalente, cioè del che utilizzato come subordinatore in modalità sovraestesa (che detto in parole povere, significa un che che viene utilizzato come congiunzione anche dove normalmente si sarebbero usate altre congiunzioni). Questo nell’italiano standard era considerato un errore, mentre nell’italiano neostandard è accettato sempre nel parlato e occasionalmente nello scritto (solo se informale). Si dice dunque che il che polivalente gode nell’italiano neostandard di una maggiore legittimazione d’uso.

Un tratto dell’italiano neostandard è proprio l’utilizzo del che come subordinatore generico al posto di un sub ordinatore più specifico.

Es. Sbrigati che se no me ne vado.
Questo che nella lingua orale è accettabile secondo il neostandard, mentre non lo è nello scritto, perché la congiunzione corretta sarebbe perché (se si vuole si può scrivere ché che è la forma abbreviata).

Es. Sono partito che non pioveva, per questo non ho l’ombrello!
Questo che nella lingua orale è accettabile secondo il neostandard, mentre non lo è nello scritto, perché la congiunzione corretta sarebbe quando.

Il che polivalente nell’italiano substandard
Il neostandard ha dato maggiore legittimità d’uso al che polivalente nella lingua orale, ma questo non significa che si possa usarlo sempre! È tuttora considerato un errore utilizzarlo come sostitutivo di pronome relativo obliquo. Farlo non è accettato né nell’italiano parlato né tantomeno in quello scritto, per questo si configura come un tratto substandard (cioè al di sotto dello standard) e caratterizza l’italiano popolare.
Si può trovare questo uso del che nello scritto solo quando l’intento è proprio quello di rappresentare il parlato diastraticamente basso (cioè parlato dal popolo poco colto).

Per pronome relativo obliquo si intendono: a cui, di cui,  in cui, del quale, della quale…
Sono quindi i pronomi relativi preceduti da una preposizione semplice o articolata.

Vediamo alcuni esempi.

Es. Milano è una città che non resterei per più di un giorno!
Questo che non è accettabile secondo il neostandard nemmeno nella lingua parlata e si configura come un tratto substandard, perché sostituisce il relativo obliquo in cui o nella quale.

Es. Mario è uno che non ho timore.
Questo che non è accettabile secondo il neostandard nemmeno nella lingua parlata e si configura come un tratto substandard, perché sostituisce il relativo obliquo di cui.

Es. Anna è la ragazza che conosco il fidanzato.
Questo che non è accettabile secondo il neostandard nemmeno nella lingua parlata e si configura come un tratto substandard, perché sostituisce il relativo obliquo di cui.

Lo so, sembrano esempi incredibili, ma se ci fate caso nel parlato sono piuttosto frequenti, nonostante non siano accettabili.

Come evitare i troppi che
Dopo questo post spero vi sia chiaro quando si può usare il che nella lingua parlata e quando no (se qualcosa non è chiaro, chiedete, il tema è piuttosto complesso). Il rischio della maggiore legittimazione d’uso conferita dal neostandard è di ritrovarsi a leggere anche dei testi intrisi di che, soprattutto dalle persone che scrivono meramente trascrivendo il parlato.

Se anche voi tendete a usare tanti che io vi consiglio di pensare bene al senso della frase e di  utilizzare un subordinatore meno generico oppure di riformulare un po’ la frase.

Più che spiegarvi come, preferisco farvi un esempio.

Prendiamo una frase con un utilizzo eccessivo di che (ovviamente non si potrebbe scrivere, ma dire solo a voce).

Laura, che conosco dai tempi della scuola, viene sempre al bar che è ora di andare via e poi si lamenta che non le si dà retta, il che a volte è vero che non si può sopportare sempre i suoi ritardi che sono frutto solo della sua pigrizia.

E ora guardate la mia versione:
Laura, conosciuta quando ancora andavo a scuola, viene sempre al bar quando è ora di andare via e poi si lamenta poiché non le si dà retta e a volte è vero perché non si può sopportare sempre i suoi ritardi dovuti unicamente alla sua pigrizia.

Conclusione
Io adoro la linguistica italiana, perdonatemi se mi sono dilungata un po’. Spero di avere fatto chiarezza sull’uso del che e ora aspetto le vostre domande, se ne avete! 



Hanno parlato di questo articolo:



17 commenti:

  1. grazie, grazie infinite. Spero di non essere l'unica che usa troppi "che" e non sa come fare.
    Mi congratulo poi con te per il tuo sapere. Si vede che ti piace.

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    1. Di certo non sei l'unica, tranquilla!
      Sì, mi piacciono molto questi argomenti. Ho cercato di semplificare un po', ma non so se ci sono riuscita!

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  2. Condivido in pieno, però è anche vero che la lingua parlata spesso è molto informale. La cosa negativa è vedere questa preponderanza del "che" in sostituzione di altre congiunzioni anche nell'italiano scritto dei temi scolastici... quello che mi ha sempre impressionato è constatare quanta gente - anche giovani studenti - non sa né parlare né scrivere correttamente in italiano.

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    1. La lingua parlata può essere informale (per questo ci sono tratti neostandard accettati nel parlato che non lo sono nello scritto), però è bene sapere fin dove ci si può spingere. E, concordo, è davvero molto triste vedere che tanti italiani non sanno l'italiano!

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  3. Anche io adoro la linguistica italiana e un ripassino veloce non fa mai male, quindi ho letto volentieri questo post :)

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    1. Conosco ben poche persone con questa passione! La prossima volta che ci vediamo potremo fare una bella chiacchierata su questi argomenti! Ah!

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  4. Oh, bellissimo post! :D
    Ho la tendenza sfrenata ad usare i "che"... Non in quel modo orripilante non accettato da nessuna parte, ma scivolo spesso nello scritto sul "che" accettato solo nel parlato... Devo cercare di essere più fantasiosa e rimodificare più spesso le frasi. :D Grazie delle spiegazioni e degli esempi (amo gli esempi), e brava per come ti sei spiegata. Sei veramente chiara!
    E se vorrai fare un post sulla lingua, io lo leggerò! E' veramente interessante.

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    1. P.S. Ah, per capire: come si fa a sapere quali "che" sono accettati solo nel parlato?

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    2. Grazie per i complimenti...

      Il "che" nella lingua italiana può essere un pronome o una congiunzione. Si usa come pronome nelle frasi in cui potresti inserire "il quale" (anche nelle sue forme femminile e plurale). Si usa come congiunzioni nelle frasi dichiarative (cioè dopo i verbi del "dire": "affermare", "dichiarare", "pensare", "supporre"). Si usa poi con il congiuntivo.

      Al di fuori di questi casi (spero di non averne dimenticato qualcuno), in genere si tratta di usi neostandard (accettati solo nel parlato) o substandard (non accettati).
      Te ne rendi conto perché in quelle frasi in genere il "che" viene sostituito da congiunzioni con valore semantico diverso (es. "quando", "perché"...).

      Il post sulla lingua prima o poi lo farò, spero, così magari potrò raccontarvi molte cose sulla nascita della nostra meravigliosa lingua (ma mi sa che dovrò fare un post a puntate per non scrivere un papiro!).

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    3. Oh, ecco, così è decisamente più chiaro. Grazie mille! :)
      Creo un collegamento al post nel mio blog.

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  5. Volevo chiederti (uso il tuo esempio):
    "Sbrigati che se no me ne vado."
    E' possibile mettere il che accentato (contrazione quindi di perchè o in alternativa al dato che)?
    E' corretto, scorretto oppure è un arcaismo ormai in disuso e superato o addirittura un modo poetico?
    Esempio: "Continua, ché la meta è ormai vicina"

    Marco Lazzara

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    1. Come ho scritto nel post, la forma "ché" è accettata come abbreviazione di "perché", io in genere però la uso solo nel parlato o nello scritto informale (per esempio in chat). "Che" è "sbagliato" (nel senso che è accettato solo all'orale) in quelle frasi perché è utilizzato al posto di "perché", se però si utilizza "ché" di fatto ha lo stesso significato di "perché", quindi dovrebbe essere accettato.

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    2. Ok, quindi dici che non è sbagliato. Era una cosa che mi sono sempre chiesto. Secondo te è un modo un po' arcaico o forse poetico? Non è usato molto spesso, forse solo dai toscani.

      M.L.

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    3. Io lo uso spesso e non sono toscana, a me sembra un uso informale anche se utilizzato in passato anche nel linguaggio poetico.

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  6. La spiegazione storica è molto interessante, per veri appassionati.

    L'italiano è una lingua ricchissima, l'importante è non svilirla con un parlare quotidiano piatto e omologato, e spesso scorretto.

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    1. Sì, l'italiano è una lingua meravigliosa che andrebbe valorizzata di più!

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