Oggi sono qui per presentarvi l'ottavo post di La
biblioteca dimenticata, rubrica fissa sul mio blog curata da Davide
Rigonat, il blogger che
gestisce La casa della
nebbia.
Nel suo primo post ci ha parlato di Dafni
e Cloe di Longo Sofista, un importante romanzo greco, nel secondo
ci ha parlato dei libri di Andre Norton al confine tra fantasy e fantascienza.
Poi è stato il turno di due post su Giorgio
Saviane e i suoi libri, il secondo dei quali parlava della sua opera
Il
Papa. Dopo un post su Palomar
di Italo Calvino, e uno su Lu Xun, autore di La vera storia di Ah Q, un racconto contenente un’ironica ma forte
denuncia sociale, ci ha parlato del romanzo storico Il
Conte Lucio di Giuseppe Marcotti.
Questo mese invece ci regala la prima parte di un interessante discorso
su Diderot e la sua opera Jacque il fatalista. La seconda parte la potrete leggere il
mese prossimo.
Ringrazio tanto Davide e gli lascio subito la parola…
Jacques il fatalista di Denis Diderot - Prima parte
Cari amici,
questo mese e il prossimo vi voglio parlare di un
romanzo di Diderot: Jacques
il fatalista (o, con traduzione più aderente all'originale, Jacques
il fatalista e il suo padrone). Come vedrete, questo è un libro
molto particolare e, in realtà, molto complesso. Esso può infatti avere
numerose chiavi di lettura a causa del fine lavoro di cesello (anzi, direi
piuttosto di uncinetto) che l'autore ha fatto intersecando tra loro motivi letterari,
stilistici, filosofici… Per non trasformare la presentazione di questo libro in
un trattato lunghissimo e restare nei limiti della decenza, sappiate quindi che
sorvolerò su gran parte delle implicazioni filosofiche e che opererò una estrema semplificazione della trama e
dell'analisi del testo.
Ed ora, se questa piccola premessa non vi ha del tutto
atterriti, entriamo nel vivo del post!
Come sempre, innanzitutto due parole sull'autore. Diderot (Denis Diderot –
Langres, 5 ottobre 1713 – Parigi, 31 luglio 1784) è noto a tutti (o per lo meno
dovrebbe esserlo) per essere stato il promotore, editore e, di fatto, maggior
artefice dell'Encyclopédie, opera fondamentale che ha segnato una svolta nel concetto di diffusione della
cultura, che , nelle intenzioni degli autori, doveva finalmente essere accessibile a tutti. Oltre a
ciò egli fu però anche critico d'arte, filosofo e, cosa che a noi più interessa
in questo momento, scrittore.
Per la sua biografia, per stavolta mi limito a rimandarvi all'onnipresente
Wikipedia. Quello che è importante sapere, per noi, è che Jacques
il fatalista è stato il suo ultimo romanzo e che, pubblicato
a puntate tra la fine del 1778 e la metà del 1780, verrà pubblicato
integralmente e senza censure solo postumo. Dal punto di vista filosofico, pur
nella complessità e nell'evoluzione del pensiero diderottiano, semplifichiamo
(e banalizziamo) e ricordiamoci che, verso la fine dei suoi giorni, egli era ormai ateo e materialista e
deciso negatore di qualunque meccanicismo o determinismo tanto in campo
morale che in campo naturale. Per gli
amanti della filosofia, in molti dei suoi personaggi si possono infatti
ritrovare le sue posizioni derivate da una personale interpretazione di
Spinoza, così come a volte lui stesso ci dice in maniera abbastanza esplicita.
Il romanzo e le
opinioni della critica
La prima cosa da chiarire è che tipo di libro sia Jacques il fatalista: è sicuramente un romanzo filosofico, così come
esplicitamente dichiarato dall'autore stesso, che con quest'opera voleva discutere intorno all'etica materialista,
ma non solo. Esso è infatti anche un'opera letteraria molto complessa e, a mio
avviso, raffinata, in cui Diderot sperimenta
molteplici e diverse tecniche narrative, tematiche e stili, il tutto
intrecciato in maniera a prima vista inestricabile. A causa di questa sua
natura plurima e indefinita, il romanzo non trovò l'appoggio della critica, che
solo molto recentemente si è ricreduta sul suo reale valore. Se i critici filosofici ritenevano lo scritto troppo romanzesco, i critici letterari gli
imputavano infatti la rottura di praticamente tutte le unità consolidate del
romanzo: trama, inizio, fine, stile, intreccio. Qualcuno lo ha anche paragonato
a una sorta di anti-romanzo…
Tra l'altro, io ho sempre trovato interessante notare come la critica, dopo le
battaglie secolari per superare i concetti fissi in letteratura, quali le unità
aristoteliche nel teatro, non ammettesse la rottura di regole analoghe
formatesi nei secoli in tema di narrativa.
La trama e la
struttura
Se da un certo punto di vista il protagonista è Jacques, personaggio attraverso i cui
dialoghi con il suo padrone l'autore veicola il suo discorso filosofico,
dall'altro dobbiamo ammettere che i
protagonisti sono molti o, meglio, non ve n'è nessuno in particolare.
Dal punto di vista letterario potremmo anzi affermare che il protagonista è il racconto stesso. Jacques il fatalista è infatti l'insieme
di numerose storie che si intersecano e si intrecciano su diversi piani
narrativi. L'episodio principale è la narrazione del viaggio di Jacques e del suo padrone fatta direttamente dal
narratore a un generico lettore (il narratore racconta in realtà sei storie, di
cui quella del viaggio è la prima e che serve da spunto per tutte le altre).
Del viaggio in sé sappiamo in verità ben poco, non essendo spiegato né da dove
vengano, né dove vadano o perché. E questa mancanza di informazioni viene messa
in evidenza già nelle prime righe. Il romanzo si apre infatti con una serie di domande che il lettore pone al
narratore:
Come s'erano incontrati? Per caso, come tutti. Come si chiamavano? E che ve ne importa? Donde venivano? Dal luogo più vicino. Dove andavano? Si sa forse dove si va? Che dicevano? Il padrone non diceva nulla, e Jacques diceva che il suo capitano diceva che tutto ciò che di bene o di male ci capita quaggiù, stava scritto lassù. […]
Semplificando molto, durante il viaggio, però, Jacques e
il suo padrone parlano e si
raccontano delle storie. Incontrano anche altre persone (in particolare
l'Ostessa del Gran Cervo e il
marchese des Arcis), i quali a loro volta raccontano delle storie. Questi racconti sono però spesso
interrotti, in maniera spesso apparentemente casuale, da commenti e
aneddoti narrati dagli altri. Spesso poi si aprono delle storie nelle storie, in
quanto i protagonisti delle varie narrazioni raccontano a loro volte degli
altri aneddoti. A differenza quindi dei Racconti
di Canterbury di Chaucer e del Decameron
di Boccaccio, le varie storie (da 28 a 32, a seconda dei commentatori e della
dignità che si vuole assegnare a certi aneddoti) si sovrappongono e si
compenetrano con un effetto molto
simile a quello del teatro nel teatro o, se mi permettete, a quello di
certi dialoghi da osteria o da
parrucchiera in cui i protagonisti divagano aprendo un'infinità di
parentesi e di parentesi all'interno di altre parentesi (vi è mai capitato di
prestare attenzione a questi fantastici dialoghi? C'è da domandarsi come
facciano a non perdere il filo iniziale!).
Il romanzo non ha nemmeno un vero finale, ma anzi ne propone ben tre, nessuno dei
quali di particolare peso o risolutivo. Potremmo quindi ben dire che esso è in
realtà solo la narrazione di uno spezzone di un viaggio e degli avvenimenti
accaduti in quel limitato lasso di tempo. Come molti hanno in passato
obiettato, si potrebbe quindi concludere che il libro non ha una storia degna
di questo nome. Le cose non stanno, ovviamente, così. L'anima del libro sta nel racconto stesso e nelle idee in esso
esposte che pungolano il lettore ad una attenta riflessione.
Per oggi è tutto, ma anche dal punto di vista tecnico e
stilistico, come vedremo la prossima volta, il testo è scritto molto bene e si
lascia leggere con piacere.
Ringrazio ancora
una volta Davide per il post e vi ricordo che il mese prossimo potrete leggere la
seconda parte del suo intervento su questo libro che sarà orientato soprattutto
su il filo conduttore, il tema filosofico e lo stile…
Hanno parlato di questo articolo:
- "Jacques il fatalista" di Denis Diderot - Seconda parte
- "Il grande Meaulnes" di Alain Forunier: dall'adolescenza all'età adulta
- "Dersu Uzala" di Arsen'ev: l'esploratore e l'uomo della taiga
- "Casa di bambola" di Henrik Ibsen: drammi sociali nel teatro
- "Il paradiso perduto" di John Milton: poema epico con Satana come eroe
- "Centomila gavette di ghiaccio" di Giulio Bedeschi: il dovere del ricordo
- "L'immoralista" di André Gide: un sordo e indistinto bisogno di vivere
- "La figlia del Reverendo" di George Orwell: cambiare se stessi e non cambiare niente
- "Inferno" di Johan August Strindberg: tra narrativa e autobiografia
- "Amore" di Inoue Yasushi: viaggio nel mondo interiore dei personaggi
- "La biblioteca dimenticata - Un anno e mezzo di recensioni sparse" di Davide Rigonat - ebook gratuito
- "La biblioteca dimenticata - Due anni di recensioni sparse" di Davide Rigonat - ebook gratuito
Possiedo questo libro da anni senza averlo mai letto. Una vocina nel mio inconscio mi ha sempre suggerito di rimandare. Forse è il caso di affrontarlo anche se ammetto che in
RispondiEliminaeffetti questa prima parte mi ha un po' atterrito.
Atterrito?! Ma no, dai, lo scopo del post non era questo!
EliminaSe lo leggi, poi facci sapere, eh!
Niente paura, Obsidian M!
RispondiEliminaIl libro in realtà si legge che è un piacere e, alla fine, quelli a cui l'ho consigliato in passato mi hanno prima maledetto, ma poi hanno dovuto ricredersi e ammettere che era molto interessante.
Ciao!
Stai cercando di convincerlo a leggerlo o... ahah! Lo stai spaventando!
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