Oggi sono qui per presentarvi un nuovo post di La
biblioteca dimenticata, rubrica fissa sul mio blog curata da
Davide Rigonat, il blogger che
gestisce La casa della
nebbia e l'autore di La nebbia e altri racconti.
L'elenco dei libri di cui si è occupato nei post precedenti è alla fine
di questo post.
Oggi ci parlerà di La
figlia del Reverendo di George Orwell.
A lui va un grandissimo ringraziamento!
Ora gli cedo subito la parola…
La figlia del Reverendo di George Orwell
Cari
amici,
in
questa puntata de La Biblioteca
Dimenticata ho deciso di parlarvi di un libro scritto da un autore arcinoto
come George Orwell e
precisamente de La Figlia dl Reverendo.
Dell’autore
non vi dirò molto, anzi mi limiterò a pochi cenni sulla sua vita, anche perché perfino
in rete è facile trovare biografie molto dettagliate su di lui.
Eric Arthur Blair (Motihari, 25 giugno 1903 –
Londra, 21 gennaio 1950), vero nome di George Orwell, oltre che romanziere è stato un importante
saggista e giornalista britannico.
Attivista di sinistra di matrice socialista, fu spessissimo in contrasto con le
linee di pensiero ufficiali dei socialisti inglesi, oltre a essere antisovietico e fermo oppositore
dello stalinismo e di tutti i totalitarismi. Questa sua visione politica e
sociale, unita alla sua attenzione per le classi disagiate e le sue proprie
esperienze, spesso in seno ad esse, diverranno elementi fondanti e ricorrenti
in tutti i suoi romanzi.
Cominciò
a pubblicare i suoi romanzi a trent’anni e continuò fino alla prematura
scomparsa. I suoi due maggiori successi giunsero però in epoca tarda: La
Fattoria degli Animali uscì infatti nel 1945 e 1984 del 1948. Il successo e il clamore che sollevarono queste due
opere hanno forse offuscato, nel lettore italiano di oggi, il resto della sua
produzione (o almeno così mi è sembrato facendo qualche domanda in giro…). Ecco
perché ho deciso di parlarvi de La Figlia dl Reverendo. Terzo
romanzo pubblicato in ordine di tempo (1935), esso racconta la storia di Dorothy,
ventottenne figlia di un pastore anglicano del Suffolk che, dopo aver temporaneamente perso la
memoria, si ritrova a condividere la sorte degli straccioni e degli emarginati
finché, grazie all’apatico intervento di un suo cugino ricco e attraverso il
purgatorio di un’esperienza umiliante e spersonalizzante in una scuola pubblica
privata di quart’ordine, ritornerà al punto di partenza. Per spiegarvi meglio
il senso della storia dobbiamo però esaminare
la struttura del testo. Premetto che io non ho letto il romanzo in
lingua originale, ma nella traduzione
di Marcella Bonsanti in un’edizione Oscar Mondadori del 2005: per
alcune mie considerazioni darò però per scontato che la traduttrice abbia reso
in maniera esatta le differenze stilistiche dell’originale.
Il
libro si articola in cinque capitoli,
ognuno dei quali affronta una fase particolare della storia di Dorothy.
1. La vita da figlia del reverendo
Nel
primo capitolo conosciamo la protagonista del romanzo e la sua vita fatta di rassegnazione, continue preoccupazioni e
di incombenze quasi rituali. La sua esistenza si trascina tra visite ai
parrocchiani, lezioni alle Giovani Esploratrici, visite ai malati,
organizzazione delle numerosissime parate in maschera per le quali confeziona
personalmente interminabili montagne di costumi in carta da pacco e colla per
le che, con le Fiere di Beneficienza, dovrebbero portare in cassa le sterline
necessarie a pagare le rate dell’organo o a qualche altro lavoro urgente in
chiesa o altrove. Suo compito
primario è poi accudire il padre, tirannico ecclesiastico fuori dal
tempo che trascorre il suo tempo tra le mansioni del suo ministero, i ricordi
di quando era a scuola a Oxford, il disprezzo per le altre congregazioni
religiose locali, per i suoi parrocchiani e per i suoi creditori. Infine, Dorothy è e vuole essere fervente nella
sua fede, tanto da frequentare tutte le funzioni e dedicarsi spesso
alla contemplazione e alla preghiera e a infliggersi dolorose punizioni
corporali con un grosso spillone ogni qualvolta notasse qualche distrazione o
cedimento dei suoi propositi. L’unico elemento fuori dagli schemi nella sua
vita è rappresentato dal signor
Warburton, un cinquantenne pelato con tre bastardi e una vita scandalosa alle spalle con il quale tuttavia si
è creata una specie di simpatia nonostante i ripetuti tentativi di assalto alla
virtù di Dorothy portati dal navigato edonista. Ed è proprio dopo una serata
passata a casa sua che Dorothy, nonostante l’ora tarda, si rintana nella serra
del rettorato per confezionare almeno un paio di stivali con carta e colla e si
chiude il primo capitolo. Nonostante uno stile un po’ zoppicante nelle prime
pagine, il testo si riprende rapidamente e ci lascia un ritratto chiaro ed
interessante di questa futura zitella
che trascina la sua esistenza sotto il peso dei suoi numerosi e gravosi impegni
svolti in un clima di indifferenza se non di ingratitudine generale, assillata
da mille angosce, da un padre che non da segno di voler porre rimedio al
declino della congregazione, al conto del macellaio che le si presenta alla
mente come un mostro destinato a distruggerli. L’intera narrazione sembra però collocata in un tempo sbagliato. Sebbene la storia si
svolga nel periodo tra le due guerre mondiali, si ha la netta sensazione (o
almeno io l’ho avuta) che essa si svolga a metà del secolo precedente. Molte
infatti sono le analogie con personaggi e situazioni d’intorno tipiche di molti
romanzi inglesi della fine del Settecento o dell’Ottocento, con la descrizione di una società anacronistica
e, in fin dei conti, profondamente ignorante e superstiziosa. Certo potrebbe
essere che Orwell volesse farci capire che la società inglese non si era mossa
negli ultimi cent’anni, ma la sensazione resta, anche alla luce di alcuni
accenni a fatti contemporanei riportati nei capitoli successivi.
2. L'amnesia e il ritorno della memoria
Il
capitolo secondo si apre con Dorothy
completamente priva di memoria che vaga per le strade di Londra. Vi
dico subito che di quest’amnesia
l’autore non darà mai alcuna spiegazione, né mai si saprà cos’è successo
nelle due settimane di buco. Agganciata con l’inganno da tre
disperati in procinto di andare in campagna per la raccolta del luppolo, si
aggrega a loro e parte (a piedi) per un viaggio che si rivelerà un lungo
percorso tra il freddo e la fame in grado di anestetizzare la mente e di
svuotarla completamente. Raggiunti i campi di luppolo, lei e Nobby, ultimo suo
compagno d’avventura sopravvissuto,
riusciranno a trovar un impiego e passeranno le successive settimane a lavorare senza sosta e quasi senza cibo.
Alla fine, rimasta sola, Dorothy riacquisterà
la memoria e, terminata la stagione e riscosso il magro stipendio,
scoprirà che, a causa dei vaneggiamenti di una vecchia pettegola del suo paese
e della penna di alcuni giornalisti senza scrupoli, sui giornali locali era
stato montato per settimane il caso
della figlia del reverendo,
scappata di casa per motivi sentimentali con il vecchio amante pelato e vista
per l’ultima volta in un bordello di Vienna. Per evitare lo scandalo decide
quindi di andare a Londra per cercare un umile impiego sotto falso nome. Presa
in affitto una stanza per una settimana in una stamberga, Dorothy avrà modo di sperimentare il pregiudizio e lo
snobismo delle classi medie rispetto agli umili: la mancanza di
bagaglio e la pronuncia colta vengono giudicati con sospetto e tutte le porte
le vengono chiuse in faccia. Terminati i soldi e pensando di essere reietta
anche da suo padre, che non aveva riposto alle cinque lettere piene di
disperazione che gli aveva inviato, la nostra protagonista si avvia quindi alla vita in strada.
3. Vita in strada
Il
terzo capitolo ci narra dei dieci
giorni di vita in strada che Dorothy sperimentò a Londra. Esso si sviluppa in maniera teatrale,
con continui dialoghi che si intrecciano e si sovrappongono da parte dei vari
personaggi che, nella prima notte all’addiaccio della protagonista, le fanno compagnia in Trafalgar Square. Alcuni di
questi hanno poi curiosamente lo stesso nome di altri già incontrati prima,
anche se mai si dà conferma di questa identità. Grazie a questo artificio
narrativo la scena risulta più immediata e vera
e ci si presenta in tutta la sua drammatica
attualità. Al culmine della disgrazia, dopo dieci giorni Dorothy viene
addirittura pizzicata per
accattonaggio.
4. Critica al sistema scolastico
Il
quarto capitolo affronta un altro dei temi cari a Orwell: l’aspra critica al sistema scolastico privato inglese, che
lui stesso aveva sperimentato in veste di insegnante. Dorothy, liberata dopo
una notte in cella, viene rintracciata dal servitore di un suo cugino
baronetto, sollecitato in tal senso dal padre. Portata a casa del ricco parente
e rimessa in sesto, viene spedita in
un sobborgo di Londra presso una scuola
privata femminile in funzione di maestra, nonostante la totale mancanza
di referenze. Nonostante la padrona della scuola sia una spilorcia maligna e
acida, Dorothy si appassiona al suo lavoro come non avrebbe creduto possibile. Verificata infatti l’abissale ignoranza
in cui versavano le sue ventuno alunne, decide di provare a stimolarle con
nuove attività e nuove letture. Le ragazze, liberate dalla schiavitù di
un sistema scolastico inutile e ingessato che non poteva che definirsi una
farsa, cominciarono ben presto ad amarla e a frequentare la scuola con gioia.
Ben presto però il nuovo corso delle cose si scontra con l’ignoranza, la
bigotteria e l’ottusità dei genitori delle alunne, che le impongono di fatto di tornare allo status quo. Sotto la
pressione della padrona della scuola e sotto la minaccia di perdere il posto,
Dorothy si adatterà alle loro
richieste diventando un clone delle insegnanti precedenti ed attirandosi
l’odio delle ragazze. Arriva perfino a mollare uno scapaccione a una scolara
particolarmente indisciplinata, contravvenendo così a tutti i suoi principi. La
ricompensa al suo uniformarsi sarà però, alla fine dell’anno scolastico, il licenziamento senza preavviso.
5. Ritorno allo status quo
Il
quinto capitolo chiude il cerchio, anche se non vi sarà nessun riscatto finale.
Mentre Dorothy lascia la scuola viene raggiunta dal signor Warburton che le
porta la notizia della sua completa
riabilitazione. Non solo lui, tornato da un lungo viaggio all’estero,
aveva spiegato che loro non erano fuggiti assieme, ma la pettegola era stata condannata per diffamazione contro il
locale direttore di banca, perdendo così ogni dignità agli occhi della comunità
locale, tanto che si era trasferita altrove. Dorothy, felice, parte con lui in
treno. Durante il viaggio Warburton riallaccia una dei loro soliti discorsi, chiedendole se si era finalmente
liberata delle sue superstizioni cristiane. Dorothy ammette di fronte
al vecchio ateo di aver perduto il senso della fede da quando ha recuperato la
memoria e gli spiega come ora il mondo le sembri vuoto. Dopo averla così
tormentata, l’altro si fa serio e chiede
la sua mano, dipingendole davanti agli occhi il suo miserabile futuro
di zitella senza un soldo. Quando però Dorothy, che aveva sempre rifuggito gli
uomini e il matrimonio a causa di un ricordo traumatico della sua infanzia
legato ai suoi genitori, rifiuta la
sua offerta, egli fa spallucce e cambia discorso, senza che si possa
decifrare la vera portata della sua proposta. Dorothy, alla fine delle sue
avventure, non compie alcun atto clamoroso e nessuna rivoluzione interiore:
decide anzi di tornare esattamente alla sua vita di prima, conformandosi anche
all’uso delle pratiche religiose, anche se non ne sentiva più il significato.
Un totale ritorno allo status quo, quindi, senza colpi di scena di sorta.
Conclusione
L’intero
romanzo, da un certo punto di vista, non è che una scusa per l’autore per
trattare alcuni dei suoi temi preferiti, come la denuncia sociale, le condizioni delle classi indigenti e dei
senzatetto, il sistema scolastico inglese, privato e non, e così via.
Nonostante ciò il romanzo non è formato da parti completamente scollegate tra
di loro o unite in maniera esageratamente artificiale, mantiene anzi una specie
di organicità nella circolarità
della vicenda. Inoltre non è proprio vero che per Dorothy non è cambiato
niente: lei e il suo modo di percepire le cose sono cambiati radicalmente,
anche se poi decide scientemente di non mutare di una virgola l’aspetto
esteriore della sua condizione. In definitiva, un romanzo con tante idee dove
trovano origine alcuni spunti che Orwell svilupperà poi in lavori successivi e
che, se anche non ha l’organicità e la complessità dei suoi grandi, ultimi
capolavori, ci mostra comunque il lavorio di una mente in perenne ricerca.
Un libro in cui
troviamo condensati tantissimi temi, legati da una vicenda interessante… come
al solito un ottimo suggerimento da parte del buon Davide! Grazie!
Di seguito i link
a tutti gli altri testi di cui ha parlato Davide:
- "Dafni e Cloe" di Longo Sofista: il più importante romanzo greco
- I libri di Andre Norton: tra fantasy e fantascienza
- "Il Papa" di Giorgio Saviane - Prima parte e Seconda parte
- "Palomar" di Italo Calvino: un viaggio verso la saggezza
- "La vera storia di Ah Q" di Lu Xun: un'ironica ed efficace denuncia sociale
- "Il Conte Lucio" di Giuseppe Marcotti: un romanzo storico tra ipocrisia e corruzione nel 1700
- "Jacques il fatalista" di Denis Diderot - Prima parte e Seconda parte
- "Il grande Meaulnes" di Alain-Fournier: dall'adolescenza all'età adulta
- "Dersu Uzala" di Arsen'ev: l'esploratore e l'uomo della taiga
- "Casa di bambola" di Henrik Ibsen: drammi sociali nel teatro
- "Il paradiso perduto" di John Milton: poema epico con Satana come eroe
- "Centomila gavette di ghiaccio" di Giulio Bedeschi: il dovere del ricordo
- "L'immoralista" di André Gide: un sordo e indistinto bisogno di vivere
Note: La foto usata come sfondo del banner è da
attribuire a Luciano
Caputo (vedi CC nel link).
Hanno parlato di questo articolo:
- "Inferno" di Johan August Strindberg: tra narrativa e autobiografia
- "Amore" di Inoue Yasushi: viaggio nel mondo interiore dei personaggi
- "La biblioteca dimenticata - Un anno e mezzo di recensioni sparse" di Davide Rigonat - ebook gratuito
- "La biblioteca dimenticata - Due anni di recensioni sparse" di Davide Rigonat - ebook gratuito
Eccomi qua!
RispondiEliminaAppena ho letto Orwell non potevo non precipitarmi a leggere di che si trattava!
Dalla recensione capisco perfettamente i dubbi di davide riguardo la collocazione temporale dell'opera, si immagina proprio una situazione tipica di fine '800 piuttosto che ambientata negli anni '30/40, ma appunto potrebbe essere stata sia una scelta stilistica precisa che anche semplicemente un momento di studio/passaggio della scrittura di Orwell in cui ancora certe definizioni di stile dovevano essere rodate ed oleate meglio!
Ottima recensione, approfondita ed interessante! :D
Innanzitutto grazie per i complimenti!
EliminaAnche secondo me il senso di sfasamento temporale che si ha all'inizio è dovuto alla possibile influenza di tutta una parte importante della letteratura inglese precedente che Orwell ovviamente non poteva non conoscere (o magari solo un suo riverbero, visto che, in teoria, Orwell decriveva una serie di situaizoni che aveva vissuto anche in prima persona), oltre che a un momento di sviluppo tecnico dello stile narrativo dell'autore.
Non sono certo un'esperta, però credo proprio che se uno come Orwell fa una cosa del genere di certo non la fa per caso e tanto meno per sbaglio. L'analisi fatta da Davide è come sempre molto precisa e interessante.
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