Visto che sono stata particolarmente polemica qualche
tempo fa parlando della serie Netflix Afflicted
(che vi consiglio nuovamente di non guardare, al più rileggetevi
il mio post sul tema in cui spiego il perché), oggi torno a parlare di un prodotto Netflix sul tema della malattia. Consideratela
una sorta di rivincita per il portale di streaming, ok?
Scherzi a parte, oggi voglio parlarvi di Brain
on fire, un film originale Netflix del 2016, scritto e diretto da
Gerard Barrett e basato sull'omonima
autobiografia di Susannah Cahalan, una giovane giornalista che si è
trovata a combattere con una rara
malattia autoimmune al cervello.
Purtroppo questa recensione non sarà priva di spoiler, perché quello che
voglio dirvi riguarda in gran parte il finale, quindi, se volete vederla e
temete lo spoiler, vi consiglio di rimandare la lettura di questo mio post,
anche se, essendo una storia vera, conta più il come viene raccontata che la
sorpresa finale (altrimenti nessuno guarderebbe mai un film su Gandhi, per
esempio, dato che si sa che muore). Ma mi sto perdendo in chiacchiere…
Brain on fire è
un film molto bello, secondo
me. Mi sono piaciute molto la regia
e l'interpretazione
(soprattutto della protagonista), ma quello che più mi ha colpito è il messaggio di fondo di questa pellicola,
soprattutto per chi si trova a convivere
con una malattia dalla diagnosi difficile. Ed è di questo che vi voglio
parlare.
Quando Susannah inizia ad avere dei disturbi, sembra solo stanca, irascibile,
paranoica, mentalmente disturbata. Per i medici è facile dare la colpa a un bicchiere di vino di
troppo e, in un'ultima analisi, dare
la colpa a lei. Fa una vita sregolata, la carriera la preoccupa, beve:
insomma, è un problema suo. Ma lei non ha affatto un problema con l'alcool.
Smette senza problemi di bere alcolici, ma i
suoi sintomi peggiorano, allora la colpa la danno a presunte crisi di
astinenza. Ma, niente, la sua salute continua a peggiorare. Gli esami sono perfetti, nessun'indagine
diagnostica evidenzia un problema oggettivo. E allora ecco i medici
subito pronti ad attribuirle problemi
mentali: è bipolare, soffre di personalità multipla, è schizofrenica…
insomma, ogni medico dice la sua, ma, dato che non trovano niente nel suo corpo
che non va, il problema deve essere altrove: nella psiche. Ancora una volta, ciò che non è visibile, semplicemente
non esiste. Susannah è in un letto, incapace ormai persino di parlare o
muoversi in autonomia e i medici consigliano semplicemente di spostarla in una clinica psichiatrica,
dove probabilmente avrebbe passato il resto della sua vita. Ma come
dice il suo fidanzato, lei è ancora lì, da qualche parte.
Ed ecco la vera
grande fortuna di Susannah: un fidanzato e, soprattutto, due genitori,
pienamente dalla sua parte, che sbattono i pugni sul tavolo (letteralmente!)
per far sì che i medici non si arrendano.
E la svolta, nel film ma anche nella sua vita, si ha
proprio quando un medico promette
alla ragazza che la ritroverà, che la riporterà indietro, capendo cosa
non va. Sì, perché Susannah non era pazza, ma affetta da un terribile e rara malattia autoimmune del cervello: l'encefalite
del recettore anti-NMDA.
La sua storia, che ha avuto il coraggio di
raccontare, ha consentito a molte altre persone di trovare una diagnosi e potersi
curare.
C'è una frase del film che mi ha colpita così tanto da
spingermi a scrivere questo articolo, perché ho sentito qualcosa vibrare dentro
di me e gridare. Ve la riporto qui sotto, è un pensiero della protagonista nei
minuti finali del film.
Sono fortunata, in un sistema che non vede le persone come me, grazie al dottor Najjar, mi hanno trovata. Mi ha trovata lui. Il mio organismo attaccava il cervello. Distruggeva completamente la mia capacità di agire. A quante persone nella storia avranno diagnosticato schizofrenia, psicosi, il disturbo bipolare, magari la semplice pazzia, mentre avevano una cosa così semplice da diagnosticare?
Ho letto recensioni molto critiche su questo film. Io non
ho ancora letto il libro (ma lo farò!), quindi non so quanto sia rispettoso
della vera storia, ma posso solo dire che, anche solo per questo messaggio, io
ne consiglio la visione. La consiglio a chi è malato di una malattia sfuggente,
a chi si è sentito dare del malato di
mente o del pazzo, per riscoprire
che non siamo soli e che, un giorno, potremmo essere ritrovati anche noi. La consiglio a parenti e amici di chi è malato
per mettersi per un attimo nei suoi panni, per provare a capire cosa significa
ritrovarsi in una vita che non è quella che si voleva, in cui tutto va pian
piano in frantumi e in cui tutti non
perdono occasione di buttartene addosso la colpa, perché non trovano
spiegazioni. In un mondo in cui ci sono malattie di serie B, poco conosciute o
di non grande interesse, è una lezione importante che tutti dovremmo imparare e
poi continuare a ripeterci.
Il post mi è piaciuto per il senso che gli hai dato, una grande verità: il film non l'ho visto ma giro che mi hai incuriosito^^
RispondiEliminaMoz-
Io ho parlato di quello che ci ho visto, non so se la mia interpretazione sia condivisibile (ripeto, in molti ne hanno parlato male). Se ti ha incuriosito, guardalo e poi dimmi, se ti va!
EliminaNemmeno io ho visto il film, ma ben vengano film come questi: per molti, purtroppo, le cose diventano reali solo quando se ne parla in televisione... e questo è tanto più vero quanto più l'argomento è 'scomodo', come nel caso della malattia.
RispondiEliminaDi solito i film sulla malattia sono sul cancro, o è solo una mia impressione? Ogni tanto è bene parlare di malattie diverse, soprattutto se sono rare e farle conoscere può aiutare qualcuno!
EliminaUn film denuncia utile per approfondire non solo l’argomento ma l’approccio alle persone. Grazie. Buona giornata.
RispondiEliminasinforosa
Esatto, soprattutto per far capire cosa vivono i malati quando non vengono creduti e, per questo, rischiano di non ricevere le cure adeguate!
EliminaNanni Moretti in " Caro Diario" diceva che i medici sanno parlare ma non sanno ascoltare i pazienti. In cuor mio da sempre gli ho dato ragione.
RispondiEliminaVero, troppo vero. Non conoscevo questa frase, ma è maledettamente vera, purtroppo!
EliminaIl film è molto interessante mi è piaciuto molto. A 30 sono andato la prima volta da un medico per capire se avevo qualcosa.
RispondiEliminaDormivo un sacco ma mi svegliavo già stanco. Ero pigro, mi hanno detto
Non sentivo gli odori. Fumavo,!?! Perché stupirmi?
Sudavo e tremavo .Ansia e pamico. Giù con ansiolitici. Provai a dire non sarà il Parkinson? Ma mi risposero malamente "Impossibile troppo giovane".
Nel 2013 a 41 anni 5 medici, tempo e soldi spesi in esami e farmaci, mi hanno diagnosticato il Parkinson. Non che sia felice . Ma avevo ragiome io.
Il Parkinson, in effetti, è una malattia che si associa spesso agli anziani, ma non è affatto vero, anzi, è molto peggio quando vengono colpiti i giovani come te, perché condiziona di più le scelte di vita.
EliminaConosci il film "Amore e altri rimedi"? Parla proprio di una ragazza che ha il Parkinson ed è molto giovane. C'è il particolare una scena in cui un uomo anziano che ha la moglie malata di Parkinson che cerca di convincere il ragazzo della giovane malata a lasciarla, che fa davvero molto riflettere su quanto sia dura. È un film tutto sommato dal taglio "leggero", ma che mette in luce molte dinamiche complicate di un problema di cui si sa ancora abbastanza poco, come confermi anche tu (il Parkinson giovanile).
Io ho dei problemi ai polmoni che per molto tempo non mi hanno curato dicendo che era solo ansia, data dalla fibromialgia. Sono dovuta arrivare al punto di non riuscire più a parlare e a dormire seduta per far sì che ammettessero che "forse" un problema c'era. Avere ragione fa schifo, a volte, ma non essere ascoltati lo fa ancora di più. Mi spiace sapere che hai attraversato un percorso così tortuoso per poi avere anche una risposta difficile...
Ma e' stato tradotto?
RispondiEliminaIl film sì, il libro non lo so, sinceramente.
EliminaBenvenuto/a sul blog!