Se non mi trovate qui... ecco dove cercarmi!

Se non mi trovate qui...

Ormai sono diversi anni che scrivo pochissimo qui sul blog. Mi dispiace davvero molto e vorrei dire che diventerò più solerte ma... so benis...

martedì 13 settembre 2016

I tre finalisti del concorso per il quinto anno di blog

Come promesso, eccomi qui, in data 13 settembre, come previsto al bando (vi giuro che io me n'ero dimenticata e stavo pubblicando il post l'8, tanto per dire quanto sono sul pezzo in questi giorni), a decretare i tre finalisti per il concorso per il quinto compleanno del mio blog.

In questo post, troverete tutti i 23 racconti partecipanti e l'indicazione dei tre finalisti (in ordine casuale). Costoro devono palesare la loro identità, gli altri sono caldamente invitati a farlo così da poter beneficiare di una maggiore influenza del loro voto. Vi ricordo infatti che i voti dei partecipanti varranno tre punti, mentre quelli degli altri varranno un solo punto. Inoltre, come sapete, le fasi del concorso saranno molte e, anche per i non finalisti, c'è ancora una possibilità di ripescaggio! Ma andiamo con ordine e cominciamo a parlare dei tre finalisti scelti da me.

È stato davvero difficile decidere i tre finalisti (anche se i testi erano 6 meno dell'anno scorso, quindi doveva essere più semplice, no?), perché molti testi mi sono piaciuti in maniera particolare e per ragioni diversi e ogni volta che ne escludevo uno, poi mi venivano rimorsi e ripensamenti. Ma a un certo punto ho dovuto decidermi. Scrivo questo post anche per smettere di fare continui cambi, altrimenti rischio di impazzire. Faccio però a tutti i partecipanti i miei complimenti più sinceri.



I tre testi finalisti
Ecco i tre finalisti (riportati qui in base all'ordine di arrivo dei racconti).


Racconto di Patricia Moll
Ghiaietta, sabbia, vasetti nuovi, piante grasse, paletta.... Mancava solo il terriccio ma quello non era un problema. Bastava soltanto andare in quello che una volta era l'orto ed ora era un campo incolto. Lì, c'era il compost di casa, quello buono, fatto con gli scarti di cucina. Caffè, foglie di insalata, bucce di frutta...
Secchio e paletta e si avviò sorridendo. Come se stesse andando incontro a degli amici.
Di fronte a quello scuro enorme cumulo si inginocchiò.
Lo odorò. Sapeva di umido, quell'aroma forte di sottobosco e foglie marcite.
Vi immerse le mani, le unghie che diventavano nere ma non le importava.
Le sembrava di entrare in profonda sintonia con qualcosa di atavico. Una sensazione carnale. Quasi un ritorno ad un utero materno, dolce e accogliente. Un viaggio a ritroso alle origini della vita. Alla terra madre. Come fondersi nelle radici della vita stessa. Per diventare un tutt'uno con l'intero universo. In mistica simbiosi.
Avrebbe voluto sciogliersi davvero in quella terra. Farne parte completamente. Diventar pianta o fiore o erba.
Venne il buio. Andarono a cercarla. Sparita! Ai margini del cumulo, paletta e secchiello. Di lei, nessuna traccia. Solo un alto anemone blu che si dondolava ad un vento che non c'era. Come in un abbraccio.

Motivazione: Quando ho letto per la prima volta questo racconto, sono riuscita a immaginarmi tutte le scene e i movimenti e a provare un senso di pace profondo, nonostante tutto. Ho subito pensato che mi sarebbe piaciuto trasmettere queste sensazioni con la voce e… così farò!


Eppure di Luca Perri
Paolo ricordava come fosse ieri il primo incontro con Sara.
La coda al bar della stazione. Un sorso di lava bruna per scacciare dalle ossa l’umidità di una giornata piovosa. Gente che sgomitava al bancone mostrando gli scontrini. Una spinta di troppo. Una ragazza bionda che gli volava fra le braccia, accompagnata da una doccia alla caffeina. Gli occhi color giada di lei, mortificati. L’espressione inebetita di lui. L’insistenza di lei per pagare il conto della lavanderia. La finta resistenza di lui a farsi lasciare il numero di cellulare. E, da quella mattina, un treno in corsa: altri incontri al bar, pranzi in pausa lavoro, cene. Non avevano dovuto attendere molto, prima di recarsi al bar insieme, una mattina, alzandosi dallo stesso letto.
Non rimpiangeva nulla: Sara non era una semplice avventura. Eppure non riusciva a scrollarsi di dosso quella sensazione…
Si riscosse dai propri pensieri, volgendo lo sguardo verso il volto di sua moglie Anna. La causa del suo senso di colpa. Zigomi alti, occhi profondi tanto da perdersi circondati da sopracciglia sottili. Era bella, Anna. Un tempo sembrava che nulla avrebbe potuto separarli. Un matrimonio da favola, una splendida figlia… Eppure…
Avrebbe voluto dire qualcosa, urlare ciò che aveva dentro, ma non sarebbe servito a nulla. Forse era solo un ingrato. O forse era arrivato il momento di voltare pagina.
“Andiamo, papà?”
La voce della figlia lo fece trasalire. Gaia lo fissava, inquieta. Quella bambina era identica a sua madre. Tramite lei, il volto della moglie sarebbe stato sempre davanti a lui. Ma forse, un giorno, il senso di colpa sarebbe passato all’improvviso, scomparendo nella notte. Come i fari di quell’auto, due anni prima.
Paolo poggiò due dita sulle proprie labbra. Poi, sul marmo freddo.
“Si amore, andiamo.”
Prese per mano la figlia, avviandosi verso l’uscita del cimitero.

Motivazione: Mi è piaciuto molto il colpo di scena finale. Stavo detestando profondamente il protagonista, quando… niente, all'improvviso ho provato per lui un profondo senso di compassione. È dannatamente difficile andare avanti nella vita… Sto già valutando come scegliere la foto adatta, che non sveli troppo ma che sia anche significativa.


Una porta di Susanna Boccalari 
Una porta. Dietro una porta, oltre una porta…
Cosa si cela dietro una porta chiusa?
Il desiderio di un mondo piccolo, dove i nostri pensieri, le nostre gioie, che ancora non sono pronte per affrontare la confusione dell’universo, possano prendere forza, gironzolando per le stanze alla ricerca di nuove sfumature, di risate, di ricordi.
Una porta che ogni mattina si apre per farci vivere esperienze, conoscere persone, affrontare nuove sensazioni.
La stessa porta che la sera si chiude, per regalarci il silenzio rotto da chiacchiericci leggeri, risate, fruscii di abbracci, parole per crescere, per perdonare piccoli bisticci,
Dietro porte si nascondono desideri, voglie di libertà che non basta aprire quella porta per esserne avvolti, non basta superare quella soglia per avere il coraggio di affrontare le insidie e le cattiverie del mondo.
Una porta come difesa.
Ma com’e’ una porta che nasconde dolore, solitudine, paura, violenze?
Come si riconosce una porta che non ode da tempo una risata di bimbo, che non aspira il profumo di fiori regalati con la leggerezza dell’amore?
Magari si potesse riconoscere questa porta! Per spalancarla, far uscire il buio e il peso di notti passate tra le lacrime e lasciare entrare il sole, l’aria profumata di un’estate calda, la bianchezza purificatrice della neve, le parole gentili di chi comprende e consola.

Motivazione: Su questo racconto sono stata molto combattuta. Estremamente combattuta. Mi piace tantissimo, però… non è un racconto! È più simile a un monologo, a una riflessione. Non c'è una trama, non ci sono personaggi. Insomma, doveva essere escluso a prescindere dai tre racconti finalisti perché non era un racconto, ma mi piace troppo e siccome decido io… fine! Ahah!



ATTENZIONE: Come scritto nel bando, se due o più di questi racconti fossero della stessa persona, l'autore dovrà scegliere quale dei suoi testi diventerà un video, mentre l'altro (o gli altri) verrà sostituito. Ho già stilato un elenco delle posizioni successive a queste tre nella classifica da utilizzare all'occorrenza (non lo pubblico qui, perché non mi sembra appropriato, dato che anche dei primi tre non dico qual è il mio preferito, ma… fidatevi).


Gli altri racconti partecipanti

Ritratto di viaggiatore in lacrime con caffè di Andrea Cabassi
Nella stazione centrale della città dei ponti e delle case strette, un viaggiatore dagli occhi turchi siede solo a gambe ciondoloni su uno sgabello dell'osteria dove anch'io mi trovo di passaggio.
D'aspetto curato, non sembra giovane ma nemmeno tradisce di non esserlo, e alterna sguardi nervosi in lontananza a fredde carezze al proprio bagaglio, un'imponente colonna di valigie nere. Nel pesante cappotto sembra trovare conforto ma i suoi occhi troppo lucidi sussurrano tristezza. Sorseggia veloce il suo caffè senza sentirne il sapore e si frega le mani come per mondarle da qualcosa che lui solo riesce a vedere.
Mentre la sua mente è occupata da altri eventi, dondola le gambe penzolanti come quando era fanciullo. Lui è lì che aspetta da sempre: quando io sono entrato già c'era e anche quando sono uscito si trovava ancora lì, non più solo però: la lacrima che tanto attendeva era arrivata.


Il sorriso della fioraia di Alma Cattleya
C'era in una piccola cittadina una fioraia. Non aveva un suo negozio, ma lavorava per strada e non sempre aveva i fiori che tu desideravi. Però molti chiedevano di lei. Era famosa per il suo sorriso e per la sua propensione a regalare fiori a ignoti passanti.
Nessuno aveva mai capito questo gesto finché un giovane detective, indagando su alcune morti sospette, vide che tutti non avevano punti in comune se non l'aver ricevuto il giorno prima della morte un fiore con tanto di fiocco e nome. Era quello della fioraia.
Subito la donna venne arrestata per omicidio ma molti non potevano credere che lei era un'assassina seriale. Prima lo shock e poi il chiedersi se davvero quella donna era consapevole di lasciare tracce evidenti. Il detective si chiese se prima di quei casi ce ne erano altri e trovò che diversi avevano gettato il fiore e altri lo avevano regalato.
Le morti sembravano avere varie cause e in più si seppe dall'interrogatorio che la fioraia non conosceva di persona la maggior parte delle vittime così come non seppe spiegare il perché di quello che faceva. Sentiva solo che doveva farlo.
Fu giudicata pazza e rinchiusa in un manicomio dove visse finché morì a tarda età.
Fino ad allora tutti i pazienti e dottori ricordavano distintamente il suo sorriso. In particolare uno era sempre sereno e luminoso e lo dava solo a persone che, tu guarda la coincidenza, il giorno dopo morivano sempre.



Manoscritto in lettura  di Susanna Boccalari 
E’ un sapore strano, secco e polveroso: impasta la bocca, che però è asciutta.
Forse è un sapore amaro, ma potrebbe anche essere acido: è un sapore grigio, che non le lascia aprire la bocca, non lascia entrare aria. La soffoca ma non arriva alla gola.
La stanza ha tremato e Lea, immobile, ha paura.
Si guarda in giro ma tutto è tranquillo: forse si è solo addormentata. Quel lavoretto come lettrice per la casa editrice le porta via le ore migliori della notte, ma quei soldi le servono.
Torna ad accoccolarsi sul divano, con quel nuovo manoscritto! Strano: ne ha già lette alcune pagine ma non ne ricorda una sola parola.
Le parole… diventano fosforescenti, un giallo acido bollente e dalle pagine, strisciando, passano alle mani, entrano nel suo corpo, seguono la rete di vene e capillari: artigliano le mani, le braccia. Due respiri affannosi e il terrore arriva al cuore, lo sente pulsare, enorme!
Lea non riesce neanche a urlare, corre in bagno, vomita quel colore giallo o forse è solo il panino di poco prima.
Apre l’acqua nella doccia, tiepida e invitante!
Viscida e verde, odore di stagni puzzolenti, vermi e alghe marce la ricoprono, la pelle si stacca, a brandelli, e finisce nello scarico assieme a capelli e a insetti mostruosi.
Esce dalla doccia, sconvolta. Occhi terrorizzati la fissano dallo specchio: sono i suoi!
Ma ancora una volta intorno a lei è tutto a posto. Tempo due minuti e, ancora umidiccia e frastornata, torna al manoscritto, attratta come da una calamita.
Lo apre con un misto di terrore e di curiosità, attenta a non leggerne una sola parola e arriva velocemente all’ultima pagina.
Poche righe, una calligrafia infantile, innocua e allo stesso tempo minacciosa.
“Ricorda: i manoscritti vanno letti per intero... altrimenti si vendicano.”



- E la notte cede il passo - di Nicola Apolloni
Riflessi lucenti sulla liscia superficie di uno stagno di marmo. L'illusoria profondità dell'acqua: null'altro che il ridursi fisico di una cieca infinità.
Una figura viva inspira l'aria di questo luogo. Espira. Ritmicamente...
Se ne sta ingobbita con l'occhio impresso sull'anello di oricalco che stringe saldamente un concavo di quarzo molato. L'astronomo interpella il cielo stellato mentre per i suoi simili, sospinta dalle burrascose memorie del giorno trascorso, si alza la marea dei sogni.
Nell'ora più buia, egli sembra vedere con più chiarezza.
Proiettato verso immani nebulose, rese fioche da distanze impercorribili, il suo sguardo si fa strada parimenti fra lo spazio e il tempo. Egli brama da una vita intera il rinvenimento d'una pagliuzza dorata sfuggita al setaccio dei cercatori del passato.
Scava e rimesta il limaccio cosmico...
«Troverò ciò che cerco o la clessidra della mia esistenza si esaurirà prima?» si domanda. Quand'è stata la prima volta in cui s'è posto questa domanda? Non lo ricorda...
Scava e rimesta...
Un lampo fende il campo visivo! Eccola! Ma è un attimo: solo il tempo di annotare alcuni simboli confusi che la più brillante tra le luci sorge inesorabile. E la notte cede il passo.
Il Sole ravviva l'inchiostro steso in tutta fretta e l'astronomo sorride osservando quel codice sconnesso. Lo agguanta, ma con delicatezza, senza mai distogliere lo sguardo, quasi possa svanire anch'esso come poco prima è accaduto all'astro.
Si raddrizza: il torpore e la stanchezza cominciano a farsi sentire. E poi l'età... Ma sorride. Lascia volentieri il cielo azzurro ad altri. Solo il breve tempo di una rotazione terrestre. Il suo ninnolo luminoso lo avrebbe aspettato lì, dove il suo bagliore era stato sopraffatto.
Anche lui lo avrebbe aspettato lì
˗ Ingobbito... Sopraffatto... -
e sorride
- Immobile... -
per sempre.



 “Mare verde” di Maria Todesco
Fisso quel mare verde scosso dal vento. Canta.
Il sole mi abbaglia e io mi perdo nei ricordi, quasi affogo, ipnotizzata dall’ondeggiare delle foglie.

Quell’albero dalla folta chioma è l’unico posto che penso si possa definire “mare”. Nuotare non mi è mai piaciuto granché e trovo troppo viscidi i pesci. Ma sui rami di quell’albero ho sognato, viaggiato, riso, pianto. Ho passato i momenti migliori e peggiori.
I miei primi ricordi sono legati a lui, le corde dell’altalena, io che volavo e vedevo solo tutto quel verde su di me. Timore e incanto.
Forse anche i miei ultimi istanti saranno lì, con una nuova corda e un diverso ondeggiare, senza più volare. Ma a spezzare la paura, a far svanire il dolore, a placare l’ansia, ci pensa la natura: un uccellino, l’animale che preferisco, si affaccia dal nido. Si lancia, sembra precipitare, ma infine le ali si aprono e risale.
Il suo coraggio è l’esempio. Respiro a fondo, sorridendo. Volerò anch'io, stavolta da sola, con le mie uniche forze. Vivrò, perché anch'io me lo merito.



Vacanze 2016  di Susanna Boccalari 
APP da spiaggia
Nella prossima vita voglio essere una medusa, molto urticante.
E verrò a cercare voi, sì, proprio voi che state lì in spiaggia col naso dentro al telefonino, per vedere se tra 5 minuti pioverà, per rompere le scatole a chi altrimenti vi ignorerebbe, per farvi dei selfie da vergogna. Rotoli di ciccia unti e bikini da bordello.
E quello lì che mi sta filmando? Avvisare il bagnino no eh? Meglio un filmatino! Saluta con la manina, saluta e annega che poi ti carico su youtube.
Diventerò virale, purtroppo in compagnia della loro tecnologica stupidità user friendly.

Alpinismo da spiaggia
Quest’anno montagna. Basta mare con la sabbia nel panino e negli slip, con il sale che brucia sulla pelle, con formine disperse e rastrelli subdolamente sepolti.
Scelgo a caso: Trentino, media altezza, Cles.
Passeggiata di ambientamento. Giro l’angolo e... sopresa!
Una bellissima piazza trasformata in spiaggia: vasche di legno con sabbia, ombrelloni e sdraio! Bambini con gelati fragola e sabbia, mamme che cospargono di crema solare qualsiasi bimbo incrociano.
Vorrei chiedere “Perché?” a un vigile, ma desisto: sulla camiciola c’è scritto “vigile bagnino” e potrebbe multarmi, per via degli scarponcini da trekking appena comprati.

Il colore del mare
Mi hanno portato al mare.
Strano tipo, il mare. Freddino, forse triste: è salato come le mie lacrime.
Meglio la sabbia, calda e fine. Chiudo gli occhi e ascolto: il risucchio, il frangersi delle onde, il cloc dei sassi portati a passeggio.
Rilassante, fino all’arrivo di un padre petulante che cerca di spiegare al figlio come stendere il salviettone e perché il mare è azzurro.
- E tu, bambino, hai capito? – mi chiede.
- Sì, ma mi descriva l’azzurro.
- Ma sei stordito?
- No, sono cieco.
Cieco, ma vedo lo stesso l’onda che gli annega il salviettone.



BRINA di iara R.M. 
Ad accogliere Luca una porta arcuata con un'infinità di palloncini, assemblati per dare forma a grossi fiori e spiritosi faccioni colorati. Oltrepassa l'ingresso, lo stupore colma lo sguardo. La sala sembra il giardino di un luna park. Luci stroboscopiche gli girano intorno. Festoni lucidi, sospesi alle pareti, sono incorniciati da vivaci bandierine e ciondolanti nastri colorati su cui risalta la scritta: buon compleanno. Sorveglia il buffet, traboccante di prelibatezze, una strabiliante scultura di ghiaccio: un arciere che cavalca un drago. Due simpatici animatori si esibiscono in incredibili trucchi di magia, lasciando il festeggiato e i compagni di scuola con occhi strabuzzati e bocca spalancata. Assaporo l'intenso effluvio di pop-con e zucchero filato. Mio figlio, mi guarda e sorride. Respiro felicità. La musica entra nella testa, nel corpo. Visi e pareti scivolano via, veloci. Trascorre un tempo indefinibile. Ancora pochi minuti e scarterà i regali, ci sarà la torta ed esprimerà il suo desiderio. Deve solo riuscire a spegnere le candeline in un soffio, sette, tutte inseme. Mi distraggo: osservo un palloncino rosso. Si gonfia d'aria e di festa, sempre di più, fino a scoppiare. Sussulto. Il suono della sveglia mi trapassa i timpani. La spengo. E' quasi mezzogiorno. Mi alzo. Ho il solito mal di testa, il cuore indolenzito. Schiaccio il naso contro la finestra. Scruto lontano, verso il parco. Dondola la vita sulle altalene. Sono tre anni che evito di andarci. Scivolo sui ricordi. Un sottile strato di brina accarezza il vetro, offusca la vista. Non sto piangendo. Ritorno a letto; trovo rifugio sotto il piumone. Forse, se mi addormento, lo ritroverò in un altro sogno.

                        

La bambola di terracotta di Menno van Dam
Così questo disgraziato vuol terminare il nostro rapporto? Non mi ha detto nemmeno perché… benissimo…vedrà la mia vendetta senza esserne consapevole. Gli darò questa bambola, la quale avrà ricevuto tutte le vibrazioni negative che io possa darle. Credo che Mauro, sollevato che io alla fine accetti la rottura del nostro rapporto senza troppi casini, senza dubbio prenderà con liberazione il mio regalo d'addio…

…mi sembra strano che Livia non si sia veramente arrabbiata quando le ho detto che non volevo più uscire con lei. Mi aspettavo un scena di quelle! Invece, mi ha dato un regalo! Una bambola di terracotta, così brutta, però, non è il suo stile, quindi non avrei mai pensato che lo avrebbe fatto. Non mi piace questa bambola di cattivo gusto, dipinta di giallo con la faccia come se fosse stata disegnata da un bambino, ma preferisco portarla con me e non avere più niente a che fare con Livia, e basta!

Tuttavia, appena tornato a casa sua, Mauro, lasciò la bambola nel corridoio. Si accorse che non riusciva più a dormire perché gli dava i brividi. Allora, per allontanarla da casa sua decise di portarla al suo lavoro. E poi, tutte le persone che attraversavano il suo ufficio si spaventavano e, senza sapere perché, fuggivano come se avessero visto il diavolo. Una settimana dopo perdeva il lavoro ! Siccome aveva bisogno di svuotare il suo ufficio, prese la bambola e la dette a un’amica come regalo.

È così come misi la bambola in una scatola e la portai a casa sua. Mariana non c’era, quindi la lasciai con lo zio. Mi chiamò appena tornata e mi disse che il pacchetto era vuoto. Niente. Secondo lei, questa bambola non era mai esistita, solo nei miei sogni per evitare il rimorso.



DA CONSUMARSI PREFERIBILMENTE ENTRO IL... di Giuseppe de Micheli
Il Supervisore Ipergalattico esaminava coscienziosamente tutti i pianeti dell’universo alla ricerca di quelli da eliminare.
Da consumarsi preferibilmente entro il…La data di scadenza era già passata: il Supervisore strappò il pianeta dalla sua orbita e lo scaraventò nel buco nero dei rifiuti.
La durata contrattuale di eoni... non è prorogabile. Il pianeta fece la stessa fine degli altri.
Poi il Supervisore passò alla ricerca di quelli deteriorati, da estirpare. Vide un pianeta verde e azzurro ricoperto da estesissime macchie biancastre: silicati di calcio, ferro e alluminio, cioè cemento. Era irrecuperabile, lo scaraventò dentro la sua stella. Il vento solare strappò via l'atmosfera e con essa una moiltitudine di fogli di cellulosa anneriti da pigmenti che formavano figure ricorrenti. Il Supervisore riconobbe che si trattava di un codice di comunicazione. Che si dicevano i mortali di quel pianeta? Raccolse tutti i fogli e cominciò a decifrarli. La lettura era lunga, i fogli erano tanti, ma lui non aveva fretta, aveva tutta l'eternità davanti a sé. Lesse tutto quello che l’umanità aveva scritto, in tutte le lingue. Tra una lettura e l’altra continuava ad annichilire i pianeti fuori corso. “Erano consapevoli di essere mortali, eppure progettavano il futuro ed esprimevano pensieri eterni” esclamò ammirato. “Come hanno potuto?”
La sua mente fu assorbita talmente dal problema che non si accorse che l'universo era arrivato alla sua massima espansione e che il red shift si stava trasformando nel blue shift della contrazione.
Gli rimaneva un ultimo foglio da esaminare. Conteneva poche righe:
Or poserai per sempre
stanco mio cor…
Solo allora si accorse che l'universo collassava ammassando tutte le galassie in un'unica singolarità, lui compreso.
Finalmente capì: …e l'infinita vanità del tutto.
Anche per lui.



Senza titolo (01) di Obsidian Mirror
Questa mattina mi sono infine decisa. Sarei andata a vedere la partita di Roberto. Sono anni che mio marito, tutti i sabati, va a giocare a calcetto con i suoi amici. All’inizio mi chiedeva se mi andava di passare a guardarlo ma io, stupidamente, mi sono sempre rifiutata. Mi sono spesso anche arrabbiata per quella sua assurda mania. Vestiti sporchi, sudati. Perdita di tempo. Quante ore perse dietro quello stupido pallone. Oggi però è un giorno diverso. Mi infilo il piumino, butto quattro cose in borsa e mi fiondo per le scale. Roberto è già andato. Gli farò una sorpresa. O magari poi non gli dirò niente. Vedremo. Salgo in macchina. Riesco a parcheggiare anche poco lontano. Che schifo che sono gli spalti di questo stadio. Sì, stadio, diciamo pure rudere. Tutto è vecchio e arrugginito. Mi tappo il naso e mi metto comoda. Accavallo anche le gambe. Eccoli, stanno scendendo in campo. C’è anche lui. Gli dona proprio quella maglietta rossa. L’arbitro fischia. Inizia. La palla vola subito lontano. Roberto è il più bello di tutti, corre veloce, cade, si alza, impreca. Sembra un eroe greco. Che succede? Ha preso la palla, corre, tira. Grida di esultanza. C’è stato un gol. È stato Roberto. Lo guardo con infinito amore. Si volta dalla mia parte. Sembra mi abbia visto. No, sono sicura che mi ha visto. Adesso corre proprio nella mia direzione. Mi guarda, si porta una mano alle labbra e mi manda un bacio. Mio Dio! Roberto! Quanto ti amo!
Chi è quella donna? – chiede l’uomo delle pulizie al custode. Una spostata – risponde quest’ultimo - Viene qui tutte le mattine da un anno. Entra nello stadio vuoto, si siede laggiù e dopo un’oretta se ne va. Dicono che sia diventata matta il giorno che suo marito l’ha lasciata, poveretta…



Lettera di Patrizia Benetti
Signor Direttore,
con questa lettera Le faccio umilmente una richiesta.
Sono Gianni C. 49 anni e sto qui dentro da quando ne avevo diciassette. All’inizio è stata dura, lo ammetto, ma poi mi sono assuefatto e ora questa è la mia casa. Da quando ho appreso
che sarò messo in libertà con un anno di anticipo per buona condotta non dormo più. Perché volete farmi questo? Io non so nulla di cosa c’è la fuori, ho paura.
Non so fare niente, non ho casa e non ho famiglia.
Mia madre morì di overdose quando avevo sette anni e mio padre non l'ho mai conosciuto.
Ho vissuto di piccoli furti fino al giorno maledetto in cui ho ucciso la cassiera di un negozio.
Aveva solo vent’anni. Il rimorso, anche se placato, continua a perseguitarmi.
Non voglio rubare di nuovo e nemmeno uccidere.
Desidero solo vivere in pace. Voglio rimanere in carcere.
I miei compagni di cella sono amici, così come i secondini. Il mio posto è qui.
La scongiuro di accettare, Signor Direttore.
Gianni.



È DIFFICILE SPIEGARE di Marco Speciale
La donna sosteneva che di posti così a Milano ce ne fossero pochi: quel nuovo negozio di abbigliamento in corso XXII marzo era davvero fashion.
Periodicamente, aveva quindi luogo il rito delle prove di raffinati abitini, pensati per mannequins alimentate per via endovenosa con centrifugati di verdure. Lei, che aveva cinque taglie in più della mitica 38, si guardava nello specchio del camerino, poi usciva per mostrarsi al marito e commentava insoddisfatta: “Mi segna troppo”.
L’uomo, stanco di tediosi defilé, decise che quel giorno avrebbe aspettato fuori dal negozio insieme al figlio di otto anni. Il problema era che il bambino era di quelli affetti da una patologica curiosità, quelli che vogliono capire sempre tutto e a cui le risposte non bastano mai: la razza peggiore.
Il pargolo fu attratto da un aereo in un negozio di modellismo e il padre, di fronte a un fuoco di fila di domande, dovette improvvisarsi ingegnere di volo; poi davanti a una profumeria, vestiti i panni del cosmetologo, dovette illustrargli le essenziali funzioni della spuma per capelli. Il bambino, infine, alzato lo sguardo, fu incuriosito da una lapide, che lesse a voce alta: “Giannino Zibecchi, caduto partigiano della nuova resistenza”.
Il padre lo anticipò e provò a spiegare, con esiti non risolutivi.
- Ma i fascisti sono tutti cattivi? – incalzò il bambino.
- Sì, sono tutti cattivi – tagliò corto il padre.
- E sono stati loro ad ammazzarlo?
- No, la polizia.
- Ma tu mi hai sempre detto che la polizia protegge i buoni dai cattivi!
In quel momento il marito la vide uscire dal negozio, a mani vuote come sempre, e con sollievo la indicò al figlio.
- Chiedi alla mamma, magari lei è più brava di me.
Certe volte è proprio difficile trovare le parole.



Un argomento spinoso di Patrizia Benetti
"Comunicare con un altro essere umano? Certo, vorrei... ma che le dico? Non posso venire a trovare mia sorella. E' inutile. E poi sto troppo male", dicesti così zio Mario, te lo ricordi?
"Come vuoi zio. Nessuno ti obbliga", risposi io concitata. "A mamma ci penso io. Non ho mai chiesto favori a nessuno".
L'anziana donna della quale discutevamo animatamente sedeva su una poltrona immersa di plaid e cuscini, con un'aria assente.
Io aprii bruscamente la porta e ti feci uscire, poi sedetti accanto a mamma le presi la mano, le cantai una canzone che le strappò un sorriso. Alzhaimer, non è facile, ma si deve lottare.
Qualcuno mi ha detto che sei pentito e vuoi tornare. Mi fa piacere.
Quando vuoi. Lei ti aspetta



Senza titolo (02) - La biblioteca di Susanna Boccalari 
Non c’era posto che le piacesse di più al mondo: la Biblioteca, situata in un vecchio e per lei rassicurante edificio. In quelle sale odorose di cera e inchiostro, Sofia si sentiva libera da pensieri e preoccupazioni, dai suoi 16 anni trascorsi a scusarsi di esistere.
Un ambiente in cui, finalmente, si sentiva a suo agio, un rifugio nel quale poteva dimenticarsi di sé stessa ed immergersi nella storia di un altro, vissuto cento anni prima oppure partorito dall’immaginazione di chissà chi.
Nessuno la braccava quando era alla Biblioteca, nessuno le urlava che doveva darsi da fare. E allora, non appena poteva, saliva l’ampia scalinata, attraversava il pesante portone e s’infilava in quel meraviglioso mondo, enorme e silenzioso, dove ogni libro aveva un suo posto. Un giorno trovò il suo posto preferito occupato da un ragazzo dall’aria strana che, vedendola, se ne andò, lasciando un foglio e una matita, quella che lei aveva perso il giorno prima. Sul foglio, le paure ed i sogni di Sofia.
Lo rincorse.
- Chi sei?
- Uno che scrive storie.
Pochi secondi di silenzio per tante storie che lo avevano cambiato, insegnandoli a guardare dentro la gente.
- Le storie vengono a cercarmi, attraverso le cose perdute o dimenticate.
Dicono sia un dono, ma talvolta è una maledizione: le storie mi entrano dentro, sogni bellissimi oppure incubi terrificanti fino a quando non ho finito di scriverle. Poi tutto si quieta: se posso rendo l’oggetto, insieme alla storia, oppure cerco un posto adatto e lascio il tutto, sperando che qualcuno ascolti. La matita era ancora calda quando l’ho trovata. I tuoi pensieri erano lì, a mezza voce. Adesso sono una storia, passata. Il futuro è tuo, scrivilo tu. Il posto giusto lo hai trovato.
Il foglio era bianco, il cuore libero e leggero.



Il diciannove di Luigi Maffezzoli
Non pioveva più, ma il cielo non prometteva niente di buono. Natale con la neve, non aveva l'età per esserne contenta. Le macchine in colonna si suonavano a vicenda in un traffico che in quei giorni di dicembre era al suo massimo. E il diciannove non si vedeva. Le venne l'impulso di farla a piedi, due anni fa non ci avrebbe pensato sopra, ma due fermate erano lunghe, con il bastone e i novantuno prossimi, le gambe che cedevano e un'arietta fredda che asciugava la pioggia e penetrava nelle ossa.

Il vecchio aveva sempre freddo nonostante il riscaldamento al massimo. Ma stando al balcone sembrava non sentirlo. Con due golf sotto la giacca da camera, fissava la piazza. Vedeva i tram passare, ma non la fermata. Così aspettava e calcolava i minuti tra il loro passaggio e il suono del citofono. Se dopo cinque minuti non la vedeva sbucare nella via scuoteva la testa. Tornava in cucina, si appoggiava al tavolo senza sedersi, dava un'occhiata al giallo Mondadori lasciato a metà, brontolava tra sé e tornava al balcone.

Era stanca di aspettare, l'aria fredda aumentava. Un signore parlò di un incidente sulla linea del diciannove, inutile aspettare. Lei gli sorrise mostrandogli il bastone: «Tra due settimane saranno novantuno.» «Complimenti, non li dimostra neanche un po'.» Scosse la testa, l'altro si accomiatò. Ora alla fermata c'era solo lei e una signora cinese, incinta. Le fece un bel sorriso. Passarono altri cinque minuti, era inutile. Pensò: «Quell'uomo. Sarà sul balcone che mi aspetta.» Fece un sospiro, puntò il bastone sull’asfalto e si decise ad andare a piedi. Fu in quel momento che vide il tram in lontananza. Sorrise alla donna. Ancora quattro minuti e avrebbe passato la piazza sotto il balcone dove lui aspettava.



Incubo ricorrente di Elisa Elena Carollo
Cammino tra le facce smorte della gente. I loro volti sono maschere d’indifferenza e so che, se cercassi di chiamarli, non mi parlerebbero nemmeno. Proprio per questo, vorrei urlare. Ma non servirebbe a niente. Vorrei continuare a camminare, ma tutti intorno a me corrono, mi spingono e mi trascinano avanti. Il flusso mi porta giù per una ripida scala, sottoterra. Ma anche qui il mondo brulica di facce smorte, attaccate a corpi che corrono senza sosta. Formano un vortice e mi portano via con loro.
Sono su un treno che corre a tutta velocità e non so dove mi sta portando. Oppure so che mi sta portando proprio dove non voglio andare? Si fa strada dentro di me, prepotente, il bisogno di scendere, ma il treno non si ferma. Deve continuare imperterrito a correre per la sua strada.
Sono arrivato a casa. So che è casa mia, anche se i miei sensi non la riconoscono come tale. Tutti gli oggetti che ci sono qui dentro li ho comprati io, ma non li sento miei.
Sono nel mio letto. Tiro un sospiro di sollievo: è tutto finito. Per oggi, almeno. So che tutto questo si ripeterà domani, e dieci, cento, mille volte ancora. Gli incubi che vivo di giorno sono fin troppo reali, per questo c’è un solo luogo in cui la mia mente si può rifugiare. Finalmente è notte, posso sognare.



Dimmi perché
È colpa tua. Se tu non ci fossi stata, avrei sofferto meno.
Non ricordi? Va bene, penso io a riportarti alla mente tutti gli episodi in cui mi hai ferita, perché sotto questa grinta che indosso come un’armatura, sono fatta di carne e di sangue come tutti.
Ma andiamo con ordine.
Ti ricordi quell’estate di tanti anni fa, quel pomeriggio in cui camminavo con mia sorella sulla stradina assolata che portava al mare? Ti ricordi di zia Maria, che si affacciò al terrazzo e le disse con voce suadente: «Rosalinda, vieni un attimo su…» mentre io rimasi giù ad aspettare?
Ricordo il sole cocente che mi picchiava sulle spalle mentre orgogliosa facevo finta di niente e aspettavo che lei tornasse col suo regalo. Tu c’eri quando io voltai la faccia dall’altra parte per non farle vedere le lacrime, però le hai sentite scorrere una per una a ferirmi il viso. E non hai fatto niente per impedirlo.
E ancora…
Ti ricordi quei Natali in cui l’unico regalo che ricevessi dalle mie care zie – così “amate” che ancora oggi, quaranta anni dopo, se le nomino mi si inacidisce il cuore - era un fazzoletto di cotone? Anche allora io facevo finta. Tu sapevi, però.
E ti ricordi quando il mio cane morì? All’improvviso un’ombra calò nella mia mente e io seppi con assoluta certezza che Axel era morto. Nessuno vide quella nube temporalesca che mi opprimeva il cuore. Ma c’eri anche tu. E non hai fatto niente.
Maledetta!
Ma adesso che posso abbandonarti, oltrepassando gli anni e il dolore che mi hanno condotta qui, dimmi: «Perché dovrei continuare a sopportarti?»

«Perché io sono te. Io sono la tua sensibilità, la tua emozione. Senza di me non saresti mai diventata quella che sei. Io sono la tua parte migliore.»



L'alfabeto che ho perso. di Patrizia Benetti
Si chiama afasia la mia malattia.
Sono svenuta e mi sono risvegliata in un letto d'ospedale.
Mia figlia era accanto a me e mi sorrideva.
"Come stai, mamma?".
E io ricordo il terrore di quel momento in cui le ho risposto
"Ben.. non.. mi.. strano!", e poi sono scoppiata a piangere.
Non ero più capace di parlare. Qualche balbettio.
Mi sentivo impotente e disperata.
Poi son tornata a scuola. La giovane logopedista è gentile,
dice che sto migliorando.
Sto tornando bambina. Una bambina vecchia e indifesa.
Mia figlia mi accarezza dolcemente e mi schiocca un grosso bacio
sulla guancia destra.



MARIA FRAGOLINA di Patrizia Benetti
Cecilia, la sposa di Gesualdo, dopo sette figli maschi finalmente gli donò una bellissima bambina con i capelli colore del grano maturo, la pelle di porcellana e le guanciotte piene e rosse come fragole mature.
Maria Fragolina fu accudita e coccolata come una principessa fino all’età di tre anni. La famiglia però era numerosa e c’era tanto da fare perciò, quando la frugoletta fu in grado di camminare, seguì i fratelli nella campagna in fiore. Li osservava sudare e faticare sotto il sole cocente e attendeva paziente il tramonto, per tornare a casa. La vita scorreva semplice e serena. Maria Fragolina aveva ormai tredici anni, era una bellissima donna in miniatura, con i capelli sciolti sulle spalle, il vestito rosso e un sorriso dolce dipinto sulle labbra. Una sera d’autunno, le venne l’idea di allontanarsi dai fratelli per rincorrere una farfalla variopinta. Senza quasi accorgersene si ritrovò su un sentiero ghiaiato, dove incontrò un omone grande, grosso e sudaticcio, che le si parò davanti. La fanciulla provò un tuffo al cuore e fece per fuggire ma lui non le diede pace e la strinse a sé strofinando forte la barba dura contro il suo volto delicato. Poi le rubò un bacio amaro, che puzzava di vino e d’angoscia e un urlo disperato uscì dalla bocca della poveretta. I suoi fratelli accorsero e cominciarono a tirare pietre contro l’omone che, assediato, fu costretto a fuggire.
Un sasso purtroppo colpì la ragazzina, lacerandole la testa e il sangue sgorgò copioso dalla ferita, rigandole la faccia e andando a mischiarsi al rosso vivo del vestito.
Maria Fragolina si accasciò al suolo, priva di vita, sotto gli sguardi increduli dei fratelli. Giaceva inerte, col cranio spaccato e gli occhi sbarrati sulla terra nera e brulla, a cui l’autunno aveva rubato colori e germogli.



Il veliero del nonno di Elisa Elena Carollo
Mio nonno costruiva le navi. Non le navi vere: quelle sarebbero state troppo grandi. Costruiva dei velieri di legno in miniatura, ma vi posso assicurare che erano anche più belli di quelli veri che attraversano l’oceano. Erano completi di tutto: alberi, cime, sartie e cannoni per difendersi dagli attacchi dei pirati. Non mi sarei sorpresa di vedere, un giorno o l’altro, dei minuscoli marinai sul ponte che correvano ad ammainare le vele.
Il nonno non poteva alzarsi dal divano, perciò quello era diventato il suo laboratorio di falegname. Non costruiva solo i velieri, ma ogni sorta di oggetti: se qualcosa si poteva fabbricare con il legno, allora il nonno era in grado di farlo. Costruiva persino degli strumenti musicali e quelli sì che erano veri: mandolini, violini e chitarre che suonavano e suonano ancora dopo tutti questi anni.
Il nonno era così bravo che era quasi un mago: non ho mai visto nessun altro che sapesse intagliare il legno così bene da far stare un presepe nel guscio di una nocciola. C’erano Maria con la veste dipinta di azzurro, Giuseppe con il mantello marrone e Gesù bambino nella mangiatoia con la paglia gialla, il tutto in uno spazio poco più grande dell’unghia del mio pollice.
L’oggetto che tra tutti mi affascinava di più, però, era sempre il veliero. Lo rivedo così chiaramente, il nonno, mentre mi spiega la funzione di tutti quei minuscoli pezzettini e mi indica la posizione in cui andranno montati. Io non mi azzardo a toccarli perché potrei romperli o perderli, e allora come farebbero i piccoli marinai senza il pezzo mancante?
Immagino spesso questa scena, quando guardo il veliero conservato sulla mensola del salotto, e sono sicura che lui mi avrebbe parlato proprio così, se solo fossi nata in tempo per conoscerlo.


E ora?
Per prima cosa sono curiosa di sapere chi ha scritto cosa, quindi aspetto i vostri commenti sotto questo post. Io intanto ringrazio di vivo cuore tutti i partecipanti (siete stati un po' meno dell'anno scorso ma comunque tanti, quindi sono contenta!) e vi faccio di nuovo i mio complimenti!

Anche quest'anno ho anche deciso, se gli autori vincitori sono d'accordo, di sottoporre i testi a un piccolo e breve editing per sistemare alcune imprecisioni prima della registrazione dell'audio. L'intento è di arrivare a un prodotto finito il più possibile di qualità.

Dato che, come l'anno scorso, realizzerò io le fotografie di sfondo, potrebbe volerci un po', anche se per alcuni ho già delle idee in archivio (devo solo trovarle tra le migliaia di foto scattate in questi mesi).

Insomma, appena riesco comincio a lavorarci e cercherò di pubblicare i video entro fine ottobre (come dichiarato nel bando [fase 3]). Nel prossimo post su questo concorso avrete i tre video da votare e le regole per il voto saranno esposte in modo più chiaro  di quanto abbia fatto oggi (tutto, premi compresi, è comunque specificato nel post del bando).

Solo dopo la pubblicazione dei tre video finalisti e contestualmente alla votazione del vincitore, ci sarà anche il ripescaggio voluto dal pubblico! Quindi, se il vostro racconto non è tra i tre selezionati, non abbandonate le speranze!

Vi ringrazio molto per la partecipazione e l'entusiasmo: avete reso ancora più bello questo quinto compleanno!

E… complimenti ai finalisti!



Aggiornamento del 3/10/2016
Sono ora disponibili i tre video dei racconti finalisti! 
Cliccate sull'immagine per accedere ai tre video.




38 commenti:

  1. Oh dai. Il mio racconto non è stato selezionato ma magari c'è il ripescaggio. Chissà. Inanto congratulazioni ai tre selezionati. Io ho scritto Il sorriso della fioraia.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Era un racconto molto particolare! Io purtroppo ho dovuto sceglierne solo tre. Vediamo cosa succede con il ripescaggio e grazie per aver partecipato!

      Elimina
  2. Il senza titolo 01 era mio. Quelli scelti da te erano indubbiamente meglio... Ciaooo

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Eh, dovevo aspettarmelo da un bibliofilo come te! Non era niente male, comunque. E ti ringrazio per aver partecipato! Magari verrai ripescato!

      Elimina
    2. Sono proprio fusa... il tuo non è quello sulla biblioteca! Scusa!

      Elimina
  3. Ottime scelte! Congratulazioni ai selezionati. Il mio era "E la notte cede il passo".

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Benvenuto sul mio blog e grazie per aver partecipato! È stato molto difficile scegliere: avete scritto tutti cose molto interessanti.

      Elimina
  4. Di chi poteva essere l'ultimo racconto arrivato?
    L'incubo ricorrente e il nonno sono miei.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. "L'incubo ricorrente" mi è piaciuto moltissimo! Grazie per aver partecipato e in bocca al lupo per il ripescaggio!

      Elimina
  5. Congratulazioni ai finalisti!
    Avevo partecipato anch'io con "Mare verde".

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Se ci fossero dei doppioni sul podio, il tuo potrebbe essere uno dei sostituiti. L'ho escluso solo perché abbastanza simile a "Racconto", ma mi è piaciuto molto. Grazie per la partecipazione!

      Elimina
    2. Wow,già solo così mi sento molto lusingata! Comunque niente, a quanto pare questo racconto è destinato ad assomigliare ad altri, anche se giuro che è tutta farina del mio sacco... XD

      Elimina
    3. "Purtroppo" per te i tre racconti finalisti sono di tre autori diversi. Sono sicura che è tutta farina del tuo sacco, erano solo temi simili!

      Elimina
  6. Non avevo mai scritto nulla di così breve. E' stata una bella occasione per sperimentarmi. Grazie!

    RispondiElimina
  7. Dimenticavo: il mio racconto è "E' difficile spiegare".

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Benvenuto sul mio blog e grazie per aver partecipato! Hai trattato un tema molto delicato...
      In bocca al lupo per un eventuale ripescaggio!

      Elimina
  8. WOW!!!!!!
    Io sono tra i finalisti!!!! :)
    Grazie infinite!
    Paletta secchiello e piante grasse.. e chi poteva scrivere di un momento della sua vita se non una che abita in campagna e ha... oltre 100 cicciose?
    Racconto è il mio!
    Sono felicissima e decisamente non ti invidio Romina. SCegliere tra tutti non è stato affatto semplice. Meno dello scorso anno forse ma tutti veramente belli!
    Ciao a tutti e... sono contenta! :)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grande, Pat! Complimenti!
      Appena si palesano tutti, ti contatterò per parlarti delle prossime fasi.
      Scegliere è stato difficilissimo!

      Elimina
    2. Grazie a te! :)
      Attendo tue nuove! Buona giornata a te e a tutti

      Elimina
    3. Nei prossimi giorni vi contatto, promesso!

      Elimina
  9. Risposte
    1. L'anno prossimo devi partecipare anche tu, Nick!

      Elimina
  10. Giuseppe De Micheli14/09/16, 11:58

    Congratulazionissime alle tre vincitrici (o -tori, vedremo più avanti). "Da consumarsi preferibilmente entro..." è mio.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ora posso dire che abbiamo una terna di finalisti mista!
      Grazie per aver partecipato e benvenuto sul blog!

      Elimina
  11. Patrizia Benetti14/09/16, 19:04

    Congratulazioni anche da parte mia. I miei racconti:L'alfabeto che ho perso, Maria Fragolina, Un argomento spinoso, Lettera. La solita logorroica Pat.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie mille per la tua partecipazione, Pat! Quanti bei racconti!

      Elimina
  12. Susanna Boccalari14/09/16, 20:12

    Sono l'autrice del racconto "Una porta", scritto anni fa sulla base di una foto scattata da mia figlia. Complimenti a tutti i partecpanti, i racconti sono tutti molto belli.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Benvenuta sul mio blog, Susanna! E complimenti per il tuo bel racconto!
      Visto che sei nuova, ti chiedo gentilmente di scrivermi una mail così che io abbia un recapito a cui scriverti per le successive fasi. La mia mail è tamericiromina@gmail.com

      Elimina
  13. Ciao Romina. Io ho partecipato con "brina".
    Complimenti ai finalisti.

    RispondiElimina
  14. Susanna Boccalari15/09/16, 14:17

    Buon giorno a tutti, oltre al racconto "La porta" ho partecipato con "Manoscritto in lettura", "App da spiaggia" e "La Biblioteca", caricato come Senza titolo 02". Beh, alla tastiera non resisto, anche se rimanere nel numero di caratteri indicato non è stato facilissimo. Ancora complimenti a tutti

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Sono felice di vedere una tua ampia partecipazione! E te la sei cavata benissimo anche con il limite, direi!

      Elimina
    2. Susanna Boccalari20/09/16, 19:10

      quando sono a tu per tu con la tastiera, finisce che pure l'orologio rinuncia alle lancette

      Elimina
    3. È una bellissima immagine, questa!

      Elimina
  15. Mio Ritratto di viaggiatore ecc.

    RispondiElimina
  16. Scusami Romina, ero passata per rileggere i racconti ancora una volta e poi, sempre qui, avevo lasciato il voto per il ripescaggio. Ho corretto. Ultimamente, le sbaglio tutte! :-)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Stai tranquilla, il voto andava bene anche qui! Comunque grazie!

      Elimina

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...