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Ormai sono diversi anni che scrivo pochissimo qui sul blog. Mi dispiace davvero molto e vorrei dire che diventerò più solerte ma... so benis...

martedì 30 settembre 2014

"I buoni brutti libri" - guest post di Salomon Xeno

Ecco a voi il misterioso guest post annunciato a inizio mese.
Salomon Xeno del blog Argonauta Xeno, ritorna su queste pagine, dopo che io sono andata a farmi un giretto sulle sue per parlare di Sherlock Holmes contro Dracula. Il suo precedente intervento sul mio blog (che risale al 2012!), riguardava l'uso del condizionale. Oggi ci parlerà invece di buoni brutti libri.

Lo ringrazio tanto e gli cedo subito la parola!



I buoni brutti libri

Sono un lettore assiduo e chi mi conosce sa che il mio genere letterario preferito è il fantastico, in molte delle sue declinazioni. Questo genere è stato per decenni considerato minore, popolare* e di evasione; il contrario cioè di una letteratura che abbia pretese letterarie, che possa arricchire la mente e quant'altro. La buona letteratura c'è sempre stata, ma io credo che sia in qualche modo la storia a promuovere un libro e retrocederne un altro, senza badare troppo al genere. Per quale ragione, altrimenti, La Metamorfosi di Kafka e buona parte di Calvino non compaiono negli scaffali, rispettivamente, del weird e del fantasy**? Nel secondo caso, bisognerebbe aprire una parentesi che non sono in grado di sostenere, mentre nel primo è chiaro che la novella è stata attirata dagli altri romanzi, di diritto entrati nel novero dei classici moderni.
Ma come si diventa un classico? È un club privato, a cui si è ammessi solo se si è predisposti? Esiste davvero una buona letteratura a priori, oppure è il tempo*** a decretare il salto di stato di taluni libri anziché altri?


George Orwell, autore di un paio di classici, in un articolo del '45 parla dei buoni brutti libri. La definizione a dire il vero è di Chesterton e si riferisce a quei libri scritti senza pretese letterarie, che però continuano a essere leggibili (quindi anche stampati e letti) anche quando i coevi più seri (o seriosi) si sono ormai eclissati. Un genere che andava molto tra fine Ottocento e la prima parte del Novecento, di cui Orwell lamenta la scomparsa nella letteratura inglese a lui contemporanea.
Fra i buoni brutti libri figurano sicuramente le storie di Sherlock Holmes e il Dracula di Stoker. Due esempi a caso? No, perché si tratta di libri noti e perché Romina, che gentilmente mi ospita ha recentemente letto e recensito Sherlock Holmes contro Dracula, un cross-over scritto quarant'anni fa che dimostra come i due personaggi non solo siano sopravvissuti, ma siano anche entrati a far parte dell'immaginario collettivo in maniera più che persistente.
Il discorso di Orwell però non è limitato alla fantasia. Ci sono i libri cosiddetti di evasione, ma anche libri scritti con intenti più seri, che mostrano la capacità del romanziere di immedesimarsi nei propri personaggi e di trasmettere qualcosa al lettore, senza ostacoli di finezza intellettuale. L'esistenza di una buona brutta letteratura, sostiene Orwell, ricorda che c'è una differenza tra arte e quello che definisce cerebralismo.

Tra i romanzieri è difficile stabilire il rapporto fra intelligenza e forza creativa, e ogni autore è un mondo a sé stante; basta andare a una presentazione o fare due chiacchiere con uno di loro, se ne avete modo, e ve ne renderete conto. Ci sono mille modi di intendere la scrittura e altrettanti risultati che potreste trovare fra le mani. C'è tuttavia qualcosa che prescinde dagli aspetti del mestiere che vanno a formare uno stile pregevole ma non bastano a dare sufficiente vigore a una storia ed è proprio la vis creativa. Avevo incontrato una simile distinzione anche nella poetica di Coleridge, quando distingue tra fantasia (fancy) e immaginazione (imagination), la facoltà propria del poeta di ri-creare la realtà, appunto.
Chi è quindi che sopravvive ai decenni e continua a essere letto? Perché sopravvivono Doyle e Burroughs (Edgar Rice) e tutti gli altri che non sembravano predestinati a essere pubblicati anche oggi? Perché hanno una forza che permette loro di sopravvivere. E non credete che sia un fenomeno così recente, perché salvo gli esponenti più antichi, per i quali la selezione è stata fatta da guerre, catastrofi e censure, non è quasi mai l'intelligenza, laddove precipita nella cerebralità, a decretare il successo duraturo di un libro.

L'idea di scrivere questo articolo nasce dalla lettura di un saggio di Orwell. Nonostante l'attività di saggista e recensore sia stata molto importante, forse predominante, nella sua carriera di scrittore, credo siano reperibili solo un'edizione Bompiani e una Mondadori di Letteratura palestra di libertà, in cui è presente anche Buoni brutti libri. La lettura dei saggi è difficile perché presuppone una conoscenza approfondita della letteratura inglese, ma grazie alle note è comunque possibile apprezzare la poetica di uno degli autori più importanti del Novecento.

Vi ringrazio per l'attenzione.

_____
* Scritto per il popolo. E un po' anche nell'altro senso, suvvia...
** Le Città Invisibili, per esempio, che negli Stati Uniti fu finalisti al Premio Nebula per la narrativa fantasy e di fantascienza.
*** Oppure la capacità di raccontare un'epoca, di rappresentare la commedia umana, tutto ciò, insomma, che i lettori contemporanei possono trovare ancora di loro interesse.



E io chiudo ringraziando ancora Salomon Xeno per questa bellissima riflessione che ha voluto regalarci. 

Vi ricordo che, se volete pubblicare un articolo sul mio blog, potete trovare informazioni nella pagina dedicata ai guest post (c'è anche l'elenco di tutti quelli apparsi qui).




18 commenti:

  1. Post interessantissimo (complimenti all'ospite e alla padrona di casa ;-) e argomento che si presta bene a discussione.
    In effetti a me capita spesso di intervallare le letture di libri impegnativi con dei "buoni brutti libri". La lettura continuata di Pirandello, Dostoevskj, Kundera, Houellebecq etc. sarebbe insostenibile se non venisse intervallata da letture non dico di serie B, ma comunque meno... cerebrali. Molti criticano i racconti della Yoshimoto e della Tamaro ritenendoli banali, io invece li trovo a modo loro sinceri, raccontano emozioni reali, e pazienza se non sono paragonabili a scrittori più "elevati".
    Per contro, il tanto celebrato Eco non mi piace affatto proprio perché troppo freddamente cerebrale persino per narrare una banalità (scusate l'assurdità del concetto ma questo è ciò che penso).

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    1. Questo mi ricorda un'estate in cui tra un libro di Kafka e uno di Pirandello (mi pare, ma potrei sbagliarmi), mi sono concessa uno Sparks. Credo sia uno dei pochi autori "leggeri" che mi piace molto in quasi tutto quello che scrive. E sa essere romantico senza scadere nel "romanticume": cosa che io trovo difficilissima.
      Ormai sono anni che non leggo niente di suo, ma... boh, non so se siano "buoni brutti libri" i suoi, comunque sono piacevoli letture senza troppe complicazioni. Avventure (letterarie!) estive, dai, niente di troppo serio.

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    2. Se penso a Il pendolo di Foucalt, che pure ho apprezzato molto, non posso che darti ragione. Orwell parla proprio di "narratori nati", che magari pubblicano libri di qualità altalenante, ma in essi si riconosce una capacità nel raggiungere il lettore che probabilmente tu riscontri leggendo Yoshimoto e Tamaro.

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    3. E Romina in Sparks, naturalmente!

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    4. Be', no, non esageriamo... non credo che Sparks sia paragonabile ad altri, però sa il fatto suo. Ah!

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  2. Credo sia solo il tempo (e spesso la mortalità del suo autore) a decretare l'immortalità di un libro. O forse semplicemente gli scrittori di un tempo erano davvero migliori dei contemporanei.

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    1. Vero, infatti molti contemporanei di ieri sono già scomparsi. Ma credo sia perché i contemporanei sono sempre troppi, in ogni epoca.

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    2. Il tempo è un buon esame per ogni libro. Se viene dimenticato in poche generazioni, evidentemente, non era destinato a duratura fama.
      Come dice Manzoni, "ai posteri l'ardua sentenza".

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  3. Ah, che annosa questione: appena aperto il blog avevo parlato dei diffusi pregiudizi contro la letteratura fantastica, da molti (accademici, snob e intellettualoidi) considerata di serie B solo per il suo genere, mentre, come ricordi tu stesso, Calvino compare in quello stesso novero, pur essendo considerato già un classico. E che dire della difficoltà di capire cosa rende un classico un classico (e anche qui Calvino insegna)? Penso che Romina abbia ragione quando cita Manzoni: il tempo decreterà la bontà di un libro e non necessariamente per la cerebralità... basti pensare che Dickens o Dumas oggi sono classici, ma al loro tempo erano autori di bestseller e letteratura di consumo. Un libro, fortunatamente, ha una carta d'identità molto più profonda di certi giudizi sommari: possiamo passare tutta la vita a chiederci perché un certo testo e non un altro abbia raggiunto il successo e non saremo mai tutti d'accordo su chi veramente lo meritasse o no. Intanto noi leggiamo quel che ci piace e anch'io, in questo caso, cerco di alternare romanzi concettualmente ponderosi a letture più rilassanti.

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    1. Dickens è un ottimo esempio. Nella stessa raccolta c'è un'estensiva recensione dei suoi romanzi e Orwell lo cita tra i "romanzieri nati". Sarebbe più corretto dire che il discorso sui buoni brutti libri, piuttosto tardo, nasce dai suoi studi sugli autori inglesi.

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    2. @Athenae Noctua: Benvenuta sul mio blog! Mi piace molto la tua riflessione e, soprattutto, la tua conclusione: noi leggiamo ciò che ci piace.

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  4. Bellissimo post, tocca un tema a me alquanto caro!
    Come sempre possono solo rimanere speculazioni, ma mi trovate d'accordo su quanto avete detto. Bravo Salomon. :)

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    1. Grazie. Possiamo trarre insegnamento dalla storia della letteratura. :)

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    2. @Maria Todesco: Sì, è proprio un tema che ci tocca tutti un po' sul vivo. E concordo sul fatto che Salomon Xeno è stato bravo nell'affrontarlo.

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  5. Complimenti per il post, Salomon.
    Per una coincidenza ho aperto il post che sto scrivendo adesso per il mio blog con una citazione di Henry Miller che sembra in tema. Eccola:

    "Chiunque ami i libri, può nominare una dozzina di titoli, che in quanto gli disserrano l’anima, gli aprono gli occhi alla realtà, per lui sono libri preziosi. Non ha alcuna importanza quale stima ne facciano gli studiosi e i critici, gli specialisti e le autorità: per colui che ne sia toccato nel profondo, questi libri sono il non plus ultra".

    Si può quindi dire che siano i libri che hanno la capacità di toccare più gente possibile nel profondo, indipendentemente dai giudizi di tipo accademico, quelli che sopravvivono al tempo?

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    1. Bellissima citazione, Ivano!
      Per quanto riguarda la domanda... be', forse è proprio così.

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    2. Interessante notare come anche Miller sia oggetto di una recensione esaustiva, inclusa nello stesso volume. Si chiama Nel ventre della balena e dà il titolo alla raccolta Bompiani, ed è uno dei passaggi fondamentali nella riflessione orwelliana sul rapporto fra scrittore e politica (meno ovvia di quanto possa sembrare).

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    3. Grazie della notizia, Salomon :) Io sono un collezionista di Miller, quindi andrò in biblioteca a dare un'occhiata al libro (e decidere se leggerlo soltanto o se farlo anche entrare nella prossima lista della spesa).

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