Oggi sono ancor più lieta del solito di presentarvi il quinto post di La
biblioteca dimenticata, rubrica fissa sul mio blog curata Davide
Rigonat, il blogger che
gestisce La casa della
nebbia. Tra poco capirete perché!
Nel suo primo post ci ha parlato di Dafni
e Cloe di Longo Sofista, un importante romanzo greco, nel secondo
ci ha parlato dei libri di Andre Norton al confine tra fantasy e fantascienza.
Poi è stato il turno di due post su Giorgio
Saviane e i suoi libri, il secondo dei quali parlava della sua opera
Il
Papa.
Oggi però Davide ci parla di uno dei miei scrittori preferiti: Italo Calvino!
Sul blog io ne ho parlato spesso (per esempio, per il
suo compleanno due
volte, per l'opera
Sulla fiaba, per un mio
video su Se una notte d'inverno un
viaggiatore e un'analisi,
per I
nostri antenati), ma non ho mai scritto un post su Palomar, il libro di
cui oggi vi parla Davide, quindi lascio subito a lui la parola, ringraziandolo
per il bel contenuto.
Ben trovati, cari lettori di libri dimenticati!
Oggi voglio parlarvi di un romanzo di un autore molto
noto: Italo Calvino. Il libro
che ho scelto è Palomar.
Palomar di
Italo Calvino
Chi ama Calvino (e mi sembra siano in molti, vero
Romina?) probabilmente lo conoscerà già, ma dalla mia esperienza personale ho
notato che quasi tutti quelli che conosco non l'hanno letto, fermando la
propria conoscenza degli scritti di Calvino ai soliti Marcovaldo e
dintorni di scolastica memoria. Così ho deciso di proporvelo.
Prima di parlare di Palomar,
lasciatemi spendere due parole introduttive
su Calvino e la sua opera (veramente sintetiche, tanto noto è il
personaggio). Per quanto riguarda la biografia pura, per questa volta mi
permetto di rimandarvi
direttamente a Wikipedia, dove trovate più o meno tutto (la sua storia
dovrebbe essere abbastanza nota, se non altro per motivi scolastici).
Per quanto riguarda la mia posizione personale rispetto
all'opera di Calvino, devo confessarvi che io non sono un suo grande fan. Se da
un lato ne riconosco lo stile interessante, dall'altro sono spesso rimasto
insoddisfatto dal punto di vista della trattazione delle tematiche e
dell'originalità. Certo è possibile che questa mia sensazione sia in parte figlia di eventi fortuiti che mi hanno
in qualche modo reso prevenuto verso Calvino. Per esempio, ricordo che Marcovaldo,
a scuola, è stata forse la lettura che meno mi ha interessato. Quando poi decisi
di leggere la trilogia de I nostri antenati, cominciai,
con ordine, da Il visconte dimezzato. Nonostante tutte le
interpretazioni in merito al ragionamento sulla necessità di equilibrio
dell'animo umano che Calvino voleva trasmettere e così via, questo libro a me
non è subito sembrato che una rivisitazione - e neanche tra le migliori - de Lo
strano caso del dott. Jekill e del signor Hyde di Stevenson,
peraltro molto telefonata, visto che
già dopo poche pagine avevo intuito come sarebbe andata a finire. Questa
lettura mi ha in parte guastato
quella degli altri due capitoli della trilogia, peraltro meno scontati.
Ma allora, forse vi chiederete, perché proporre un libro
di un autore che non apprezzo particolarmente? La risposta è semplice: Palomar
è un libro diverso (e di
fatto, assieme all'idea che sta dietro a Se
una notte d'inverno un viaggiatore, una delle cose più interessanti
concepite da Calvino). Esso è un
libro intelligente nella struttura e
nella costruzione. In esso Calvino crea un percorso logico in grado di guidare il lettore verso un progressivo
approfondimento della riflessione e del ragionamento. Ma andiamo con ordine.
Questo romanzo parla delle avventure (o,
meglio, speculazioni) intellettuali del signor Palomar. Già il nome del
protagonista, dichiaratamente mutuato da quello del monte che ospita il noto
radiotelescopio, ci fa capire come questi sia un osservatore. Un osservatore dell'uomo, della natura e del
mondo. Sì, perché in tutto il libro il
protagonista non fa che osservare e ragionare. Le sue interazioni con il resto della società (comprese sua moglie e
sua figlia) sono pressoché nulle e si riducono all'emissione di qualche
monosillabo. Palomar osserva ciò che lo circonda e cerca di capire, catalogare,
interpretare, ma nessuno dei suoi
ragionamenti giunge a buon fine, minato dal dubbio e dall'insicurezza.
Dal punto di vista sociale, egli è sostanzialmente un disadattato, incapace di rapportarsi con gli altri in
maniera normale a causa del persistente dubbio insito in sé circa la
correttezza degli atteggiamenti da tenere, delle cose da dire e da non dire e
delle conseguenze di queste. Le continue e spesso inconcludenti riflessioni
(che, diciamocelo pure, in più occasioni sembrano quasi degli esempi di pippa mentale) costituiscono l'essenza
stessa del protagonista. Non voglio qui raccontarvi il contenuto dei singoli
racconti, alcuni dei quali molto interessanti, alcuni quasi fantozziani, altri piatti e, se non
presi con il giusto spirito, noiosi. Preferisco invece parlarvi dell'organizzazione del libro.
Dal punto di vista della struttura, Palomar è un romanzo anomalo, nel senso che esso è composto da tre parti, a loro volta
divise in tre parti, a loro volta divise in tre parti, per un totale di 27
racconti a sé stanti (ognuno di essi potrebbe infatti essere letto
singolarmente, oppure tutti potrebbero essere letti in un ordine diverso da
quello proposto dall'autore, perdendo però in questo caso il valore specifico
della loro collocazione). Eppure esso non
è una raccolta di racconti, ma un romanzo vero e proprio in cui la
struttura è tutt'altro che casuale. Calvino utilizza una numerazione significativa
dei capitoli utilizzando i numeri 1, 2 e 3, organizzati con lo stesso principio
con cui oggi si organizzano ad esempio le relazioni tecniche: 1.1.1, 2.1.3,
3.1.3, ecc. I numeri non sono casuali. Ogni
numero rappresenta un approfondimento maggiore rispetto al precedente:
- Il numero 1 rappresenta un'esperienza esterna, spesso visiva o descrittiva.
- Il numero 2 sposta l'osservazione più all'interno, sull'uomo, sul linguaggio, sui simboli e la loro interpretazione.
- Il numero 3 caratterizza speculazioni meditative su temi più profondi, quali l'io, il mondo, la mente.
Questa divisione viene poi riproposta all'interno di ognuna delle tre parti ed ancora
al livello inferiore. Ecco così che il
capitolo 1.1.1 (Lettura di un'onda) è
il più leggero: Palomar osserva
delle onde e si pone delle domande sul loro numero, sulla loro forma e sulla
loro origine. Alla fin fine, null'altro che una (per certi versi alienante)
lunga e sostanzialmente inutile osservazione di un fenomeno naturale. Il capitolo 1.2.3 (Il prato infinito), pur nell'ambito delle osservazioni più esteriori e naturalistiche (quella di un filo d'erba), affronta tematiche più complesse, tanto che, una volta
sfumato il suo tentativo di classificazione del sistema-prato a causa di un
colpo di vento, Palomar comincia a pensare all'infinito. Ecco allora che, in
questo schema narrativo, l'ultimo
capitolo (3.3.3 - Come imparare ad essere
morto) rappresenta il massimo livello di astrazione generale e
metafisica del ragionamento del protagonista.
Con questo artificio, Calvino è riuscito a creare una
sorta di romanzo a spirale che, come già detto, conduce il lettore
attraverso piani di approfondimento e speculazione intellettuale via via
crescenti, alla ricerca della verità e della saggezza, senza peraltro che essa
possa essere raggiunta neanche dal protagonista, che alla fine deciderà di far
finta di essere morto. Come ebbe a dire lo stesso Calvino, questo libro parla
di un viaggio verso la saggezza, non
del raggiungimento della stessa.
Che i singoli episodi possano piacere o meno (e, a dir
la verità, a me erano piaciuti quasi tutti), la lettura di Palomar è senz'altro molto stimolante e intrigante. Mi sento perciò
di consigliare a tutti di fare un piccolo sforzo e affrontare questo testo.
Alla fine sono sicuro che ve ne resterà qualcosa di piacevole.
Un'ultima curiosità: molti critici hanno evidenziato una
sorta di neanche troppo velata autobiograficità di questo che è l'ultima opera
di Calvino. I luoghi che Palomar visita, la famiglia, la critica alle parole e
l'elogio del silenzio, addirittura la miopia… tutti elementi comuni tra l'autore e il suo personaggio. Voi
che ne pensate?
Alla prossima!
Un grazie a Davide
che, pur non essendo un fan di Calvino, ha saputo parlare magistralmente di
questo libro che, posso confessarlo?, nel mio caso è uno di quelli che ho amato
meno dello scoiattolo della penna,
pur avendo tantissimi pezzi davvero belli! Che dire? I gusti non si discutono
mai!
Hanno parlato di questo articolo:
- "La vera storia di Ah Q" di Lu Xun: un'ironica ed efficace denuncia sociale
- "Il Conte Lucio" di Giuseppe Marcotti: un romanzo storico tra ipocrisia e corruzione nel 1700
- "Jacques il fatalista" di Denis Diderot - Prima parte
- "Jacques il fatalista" di Denis Diderot - Seconda parte
- "Il grande Meaulnes" di Alain Forunier: dall'adolescenza all'età adulta
- "Dersu Uzala" di Arsen'ev: l'esploratore e l'uomo della taiga
- "Casa di bambola" di Henrik Ibsen: drammi sociali nel teatro
- "Il paradiso perduto" di John Milton: poema epico con Satana come eroe
- "Centomila gavette di ghiaccio" di Giulio Bedeschi: il dovere del ricordo
- "L'immoralista" di André Gide: un sordo e indistinto bisogno di vivere
- "La figlia del Reverendo" di George Orwell: cambiare se stessi e non cambiare niente
- "Inferno" di Johan August Strindberg: tra narrativa e autobiografia
- "Amore" di Inoue Yasushi: viaggio nel mondo interiore dei personaggi
- "La biblioteca dimenticata - Un anno e mezzo di recensioni sparse" di Davide Rigonat - ebook gratuito
- "La biblioteca dimenticata - Due anni di recensioni sparse" di Davide Rigonat - ebook gratuito
Molto interessante come sempre. Mi ha incuriosito molto la suddivisione in capitoli, sottocapitoli e sottosottocapitoli.
RispondiEliminaDevo dire di non aver letto molto di Calvino, alcuni estratti dalle sue opere più famose, ma in un certo qual modo gli sono legato: Ivano Landi infatti ha già notato delle affinità tra Il castello dei destini incrociati e Arcani, il mio prossimo libro, anche se in effetti, anche se il tema è lo stesso, la struttura è più simile all'Uomo illustrato di Bradbury.
Ho due collaboratori e uno non ama Calvino e uno ha letto poco di lui? Incredibile! Però è la dimostrazione che le collaborazioni funzionano anche (e forse soprattutto) quando si hanno interessanti e costruttive divergenze di opinione.
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